L’antisemitismo va identificato e combattuto in tutte le sue forme
Ecco perché la definizione operativa IHRA è importante e contrastarla significa legittimare il presunto diritto di diffondere istigazione all'odio e al razzismo contro gli ebrei
Editoriale del Jerusalem Post
“L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso ebrei o non ebrei e/o le loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto”.
Questa è la definizione operativa di antisemitismo redatta dalla International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA). Ad oggi questa definizione è stata adottata da 31 paesi, oltre a istituzioni accademiche, amministrazioni locali e anche dalla Premier League inglese. La definizione consente a paesi e istituzioni di identificare l’antisemitismo e di adoperarsi per contrastarlo e sradicarlo attraverso il sistema giudiziario e le sanzioni di legge, ma anche mediante pedagogia e istruzione.
Eppure negli Stati Uniti una coalizione di gruppi ebraici, che si dichiara progressista ma dimostra un atteggiamento incredibilmente retrogrado, si oppone a questa definizione. Il Progressive Israel Network, che include una serie di organizzazioni ebraiche di estrema sinistra come J Street, New Israel Fund e T’ruah (già “Rabbini per i diritti umani”), si è espresso martedì contro l’adozione della definizione IHRA. Il Progressive Israel Network afferma di opporsi “al tentativo di incorporare [la definizione] nel diritto e nella politica istituzionale” dei paesi. Il gruppo si dice particolarmente preoccupato per la casistica fornita dall’IHRA assieme alla definizione, nella quale figurano esempi come: “sostenere che l’esistenza dello stato di Israele è un’operazione razzista” e “pretendere da Israele un comportamento che non ci si aspetta né si richiede a nessun altro stato democratico”.
Il rischio, secondo i gruppi riuniti nel Progressive Israel Network, è che la definizione IHRA venga utilizzata per “sopprimere la legittima libertà di espressione, le critiche alle azioni del governo israeliano e la difesa dei diritti dei palestinesi”. E citano come un caso di “pericolosa esagerazione” la dichiarazione del Segretario di stato americano Mike Pompeo secondo cui “l’anti-sionismo è antisemitismo” e la campagna BDS (per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele e israeliani) è una forma di antisemitismo che il Dipartimento di stato si assicurerà di non supportare. I gruppi sostengono anche che l’uso della definizione IHRA è “principalmente finalizzato a proteggere da ogni critica l’attuale governo israeliano e la sua occupazione”.
In realtà, un’attenta lettura della definizione in questione e degli esempi ad essa associati (facilmente reperibili online in varie lingue) rivela che non si tratta in alcun modo di limitare le critiche al governo israeliano o a chiunque altro (la definizione stessa introduce la casistica precisando inequivocabilmente che “critiche verso Israele simili a quelle rivolte a qualsiasi altro paese non possono essere considerate antisemite” ndr). Non si tratta in alcun modo di limitare le critiche al governo israeliano a meno che questi gruppi non intendano sostenere che paragonare israeliani e nazisti costituisca una “legittima critica alle politiche del governo”: paragoni che non sono altro che un modo per sminuire o negare gli abominevoli orrori della Shoà. O forse, nel loro zelante sostegno all’autodeterminazione palestinese, ritengono che sia legittimo negare lo stesso diritto agli ebrei e solo agli ebrei.
Come giornalisti e cittadini, condividiamo l’appello di questi gruppi a vigilare sulla libertà di espressione e crediamo che un dibattito libero e aperto sia sempre importante. Ma il testo dell’IHRA afferma esplicitamente che la sua definizione operativa di antisemitismo non è “giuridicamente vincolante”, il che significa che non sta codificando limiti alla libertà di espressione, bensì indicazioni pratiche per identificare, monitorare e correggere il fenomeno in base alle leggi esistenti.
La Costituzione degli Stati Uniti prevede ampissime protezioni alla libertà di parola, forse le più ampie al mondo. Ad esempio, l’incitamento all’odio non è illegale negli Stati Uniti. Ma anche in America, nelle pratiche di assunzione non si può discriminare in base a razza, colore, origine nazionale, religione, sesso, disabilità, età o stato di cittadinanza. La campagna BDS per definizione discrimina gli israeliani in base alla loro origine nazionale. Per Mike Pompeo, garantire che i fondi pubblici non vadano a gruppi che sostengono il BDS è un riflesso delle categorie protette dal diritto statunitense.
Nessuno sta togliendo a questi gruppi ebraici o ai loro alleati palestinesi il diritto di criticare le politiche d’Israele nel modo più aspro e severo che desiderano. Ciò che i governi del mondo cercano di fare, invece, è combattere il linguaggio antisemita e i comportamenti discriminatori, quando ci sono, innanzitutto identificandoli. Al contrario, come ha giustamente osservato il Ministero degli esteri israeliano, la presa di posizione del Progressive Israel Network è “vento nelle vele” per i “movimenti antisemiti che cercano di preservare il loro presunto diritto di continuare a diffondere istigazione all’odio e al razzismo nei confronti degli ebrei”, e dunque offre “un’apertura alla legittimazione di varie forme di antisemitismo”.
I gruppi e le organizzazioni che giustamente denunciano l’antisemitismo estremista di destra dovrebbero rendersi conto che una definizione come quella dell’International Holocaust Remembrance Alliance è importante e utile, e dovrebbero prendere coscienza del fatto che l’antisemitismo deve essere combattuto in tutte le sue forme e su tutti i versanti della mappa politica.
(Da: Jerusalem Post, 14.1.21)