L’araba israeliana che rompe i soffitti di vetro nel campo del management sportivo

Da atleta ad arbitro, dal master della FIFA alla direzione eventi sportivi: quella di Sanaa Bader è una storia esemplare di emancipazione e integrazione

Di Idan Zonshine

Sanaa Bader

Sanaa Bader è una donna dai molti primati. All’età di 18 anni è diventata la prima arbitro araba in assoluto ad esercitare nei campionati di calcio israeliani di quarto e terzo livello. Quattro anni dopo ha lasciato l’arbitraggio per diventare la prima impiegata araba nell’Associazione israeliana per lo sport scolastico, e poi la prima donna araba israeliana a studiare nel master esclusivo della FIFA in Management, diritto e scienze umane dello sport. Il tutto prima di compiere 30 anni.

L’anno scorso, dopo aver terminato il programma del master, è tornata nell’Associazione israeliana per lo sport scolastico, al culmine della seconda ondata della pandemia di coronavirus, questa volta come direttrice di eventi sportivi.

Domenica in una telefonata con il Jerusalem Post, Sanaa Bader  ha parlato delle sfide che ha dovuto affrontare durante la sua carriera e dei suoi obiettivi per il futuro dello sport israeliano. “In questo momento nel nostro lavoro – dice – è tutto in pausa”. Ma per portare avanti il lavoro dell’ufficio, Bader ha contribuito a sviluppare l’iniziativa “Pacchetto Casa Digitale”, un canale di contenuti on-line settimanale che offre suggerimenti per l’allenamento in casa, conferenze, dibattiti, podcast e altro con lo scopo di aiutare migliaia di giovani atleti e le scuole in tutto il paese ad affrontare le difficoltà della pandemia. Lei è concentrata in particolare sulle Olimpiadi Speciali.

Nata nella città di Arraba, nel nord di Israele, primogenita di sette fratelli, Sanaa Bader ha iniziato la carriera come atleta studentessa, provenendo da un background di calcio e atletica leggera, prima di iniziare un corso come allenatore di calcio nel vicino villaggio di Deir Hanna.

Sanaa Bader al Leicester City FC King Power Stadium di Leicester, Inghilterra

E’ lì che è nata l’idea di diventare arbitro. “Mi piaceva la professione e mi sono detta: ci provo. Non sapevo davvero come fosse, non avevo mai sentito niente di simile per una donna araba musulmana. Entro un anno ho iniziato ad arbitrare in Lega B”, la quarta divisione del calcio professionistico in Israele.

Nel 2014 ha lasciato l’arbitraggio per iniziare il suo corso di laurea presso il Wingate Institute di Netanya, dove ha incontrato suo marito Luay, che l’ha esortata a iniziare a raccontare la sua storia a altre donne. Alla fine ha incontrato l’iniziativa “Parla con fiducia”, pensata per dare modo alle donne arabe di parlare in pubblico.

Nel 2018 ha deciso di lasciare, dopo quattro anni, l’Associazione israeliana per lo sport scolastico per seguire il master negli Stati Uniti, ed è poi diventate la prima israeliana araba musulmana ad entrare nell’esclusivo programma della FIFA (Federazione internazionale di calcio) in Inghilterra, Italia e Svizzera. Alla domanda se ha incontrato del razzismo nella sua posizione all’ISSA (International Sports Sciences Association), risponde che le sue esperienze sono state per lo più positive. “All’inizio era strano – dice – Essendo la prima donna araba a ricoprire un ruolo importante, non conoscevano la mia cultura. L’ebraico è la mia seconda lingua e non bevo alcolici, quindi non potevo uscire con gli altri per un drink dopo il lavoro”. Aggiunge che col tempo, lei e i suoi colleghi hanno trovato un terreno comune lavorando insieme e che i suoi colleghi hanno imparato a vederla “come qualcosa di più che non semplicemente una donna araba musulmana”.

Alla domanda su quale sia il suo messaggio più importante oggi per i ragazzi e le ragazze, Sanaa Bader sottolinea che le donne non devono per forza sacrificare le loro credenze o tradizioni religiose per seguire i propri sogni: “La gente mi diceva: ‘nessun uomo vorrebbe mai una donna che guadagna più di loro, che è troppo concentrata sulla carriera dimenticandosi della famiglia’. Voglio che le donne sappiano che non è vero”.

(Da: Jerusalem Post, 7.3.21)