L’archeologa israeliana che leggeva le pietre come un libro aperto

Eilat Mazar (1956 - 2021) ha fatto scoperte straordinarie, ma i suoi avversari non le hanno mai perdonato d’aver documentato l'autenticità della storia ebraica a Gerusalemme

Di Jonathan S. Tobin

Jonathan S. Tobin, autore di questo articolo

Tutto in Israele riguarda la politica. Ma poche cose hanno risvolti politici così profondi come l’archeologia. Il che avviene perché nel momento stesso in cui si conficca una pala nel terreno in un posto come Gerusalemme e si inizia a scavare, inevitabilmente ci si imbatte nella storia ebraica e questo è qualcosa che non possono sopportare coloro che etichettano Israele come un’impresa colonialista che ha “defraudato gli abitanti indigeni”. Ecco perché la figura di Eilat Mazar, una degli archeologi più illustri e importanti di Israele, è rimasta controversa per tutta la sua carriera.

Mazar, professoressa all’Istituto di Archeologia dell’Università di Gerusalemme, deceduta lo scorso 25 maggio all’età di 64 anni, ha suscitato le critiche di vari colleghi che non condividevano le sue interpretazioni del suo lavoro, così come di molti arabi che, come ebbero a dire al New York Times nel 2019, negano l’intera esistenza dell’antica storia ebraica. E’ un dato di fatto che Abu Mazen, il capo “moderato” dell’Autorità Palestinese, ha più volte sostenuto che non è mai esistito un tempio biblico su quello che gli ebrei chiamano il Monte del Tempio, dove successivamente i musulmani costruirono le loro moschee, e che tutti i legami fra l’ebraismo e luoghi nella città come il Muro Occidentale (“del pianto”) sarebbero pura finzione. In questo senso, negare il valore storico dei reperti che Mazar ha scoperto in siti come il Parco Nazionale della Città di David non ha tanto a che fare con un’onesta discussione accademica quanto con il cuore stesso dei tentativi di delegittimare l’esistenza di Israele. Pertanto, sebbene Mazar fosse una studiosa e non un politico, il suo lavoro non si limita a gettare uno sguardo affascinante sull’antico passato di Israele: costituisce anche una parte essenziale della risposta seria e documentata che va data a coloro che cercano continuamente di negare i diritti degli ebrei su qualunque porzione della loro patria storica.

L’archeologa Eilat Mazar e alcune delle sue straordinarie scoperte. In alto a sinistra, un’impronta di sigillo in argilla di 2.700 anni fa che potrebbe essere appartenuta al profeta Isaia. Sotto, un medaglione con menorà in oro massiccio di epoca bizantina trovato da Mazar nel 2013 vicino alla parete meridionale del Monte del Tempio (clicca per ingrandire)

In Mazar la passione per l’archeologia nacque in modo naturale. Era la nipote di Benjamin Mazar, una delle figure pionieristiche nel campo, già presidente dell’Università di Gerusalemme. Lei gli fece da assistente durante i suoi scavi lungo le mura meridionali e occidentali della Città Vecchia, compreso l’Ophel, l’area tra la Città di David e il Monte del Tempio, resi possibili negli anni ’70 dalla riunificazione della città (la cui parte est era rimasta occupata dai giordani per 19 anni). In seguito, sarebbe diventata lei stessa una figura importante grazie ai suoi ritrovamenti storici in quello che era il luogo dove sorgeva la città durante il periodo del Regno Davidico, circa 3.000 anni fa, appena a sud delle attuali mura ottomane della Città Vecchia, nell’area conosciuta come Silwan. Sebbene il suo lavoro sia durato decenni, è conosciuta soprattutto per aver scoperto nell’agosto 2005 il sito di quello che ha ritenuto potesse essere il palazzo di re David. Quando ebbi l’occasione di intervistarla, pochi giorni dopo il primo annuncio della scoperta, mi descrisse i lunghi anni di studio, di scritti e di preparazione prima dell’inizio degli scavi. “Ma una volta che ho iniziato a scavare – mi disse – è stato come se non avessi scritto nulla. Ora saranno le pietre a parlare, non io”. Eccome, se hanno parlato.

Ciò che Mazar ha portato alla luce sono i resti di quello che per l’epoca doveva essere un enorme edificio. Scavando sotto la struttura, trovò una quantità di reperti in terracotta databili all’XI e al XII secolo a.e.v., quella che gli studiosi chiamano Prima Età del Ferro. Ciò significa che l’edificio venne costruito più tardi, il che lo colloca proprio al tempo di Davide. La datazione del materiale ha chiarito che non risaliva all’era dei Gebusei. A proposito degli studiosi che sostengono che il regno di David è un mito creato dalla Bibbia ebraica, Mazar affermava: “Questo fantastico edificio è una risposta grande ed evidente a coloro che affermano che Gerusalemme era un insediamento di nessuna importanza”. Altri manufatti trovati da Mazar confermarono ulteriormente le sue conclusioni. Tra questi, bullae o sigilli risalenti all’era del Primo Tempio con i nomi di figure espressamente menzionate nella Bibbia, un’ulteriore smentita delle tesi secondo cui la Bibbia non conterrebbe alcun elemento storico, a parte essere alla base della fede ebraica e cristiana. Coloro che vogliono ad ogni costo bollare la presenza ebraica a Gerusalemme come un’intrusione aliena non sono in grado di spiegare in alcun modo reperti che menzionano un ministro del re Sedechia e altri che probabilmente sono appartenuti al re Ezechia e al profeta Isaia.

Eilat Mazar davanti agli scavi dell’Ophel nel 2010

Sebbene nessuno potesse seriamente mettere in discussione l’erudizione di Mazar e l’integrità dei suoi scavi, molti critici contestavano il fatto che per lei, come per il suo illustre nonno, la Bibbia non era semplicemente una fonte di ispirazione religiosa o letteraria. E’ anche un’essenziale fonte di informazioni sulla storia. Fu proprio dalla lettura di un versetto cruciale del libro 2 Samuele (5:17) che decise che se Davide era “sceso” da dove si trovava verso la sua fortezza, allora Silwan era il luogo dove si poteva trovare la dimora di David.

Mazar ha cercato di tenersi fuori dalla politica, ma inevitabilmente la politica si è intromessa nel suo lavoro. È stata una capofila dello sforzo per fermare il disastroso vandalismo al Monte del Tempio attuato dal Waqf, l’ente del patrimonio islamico che lo amministra, che fece scavare con le ruspe alcune parti dell’antico, delicatissimo sito per poi scaricare il materiale da riporto fuori dalle mura della città come fossero detriti senza importanza. Mazar fu tra coloro che capeggiarono lo sforzo per dare vita al titanico progetto di setacciatura di migliaia di tonnellate di quell’inestimabile materiale ad opera di decine di migliaia di volontari, grazie ai quali sono trovati e salvati numerosi e importanti reperti storici dei periodi del primo e secondo Tempio, anche se è chiaro che molti altri tesori sono andati irrimediabilmente distrutti dai devastanti lavori del Waqf.

Mazar è stata anche una voce impegnata nel preservare altri siti archeologici, come l’Arco di Robinson che comprende parti del Muro Occidentale verso il Tempio. Ebbe inoltre il merito di rivolgersi ai cristiani che amano Israele per aiutarli a capire che preservare la storia ebraica di Gerusalemme è qualcosa di importante anche per la loro fede.

Oggi, i visitatori della Città di David possono vedere coi loro occhi la struttura scoperta da Mazar e una quantità di altro materiale che lei e altri archeologi hanno portato alla luce. Ma i nemici del suo lavoro non sono interessati a queste affascinanti scoperte perché tutto ciò che può comprovare i legami dell’ebraismo con quest’area fa infuriare gli arabi del posto, secondo i quali questo patrimonio storico è solo un ostacolo al loro intento di dividere Gerusalemme e sottrarne agli ebrei come minimo tutta la parte storica e più antica. Lo sforzo di delegittimare il lavoro di Mazar e dei suoi colleghi nello scavo della Città di David ha a che fare con un nodo fondamentale: se riesci a contestare la storia ebraica nel luogo in cui David e i suoi discendenti governavano il loro antico regno, allora puoi negare la storia ebraica e i diritti degli ebrei in tutto il paese. Ed è esattamente ciò che i palestinesi continuano a fare. Il loro continuo tentativo di qualificare la Città di Davide, e persino il Muro Occidentale (“del pianto”), come “miti ebraici”, anziché come l’inizio della civiltà ebraica, è indissolubilmente legato al loro rifiuto di riconoscere la legittimità di uno stato ebraico dovunque vengano tracciati i suoi confini.

I colleghi di Mazar hanno ricordato come abbia aiutato a crescere un’intera nuova generazione di archeologi, e di come abbia contribuito ad aprire la strada ad altre donne in un campo che un tempo era ritenuto esclusivamente maschile. Ma per anti-sionisti e post-sionisti le straordinarie scoperte di Mazar sono solo motivo di costante irritazione. Eppure lei sarà ricordata molto più a lungo di loro per il ruolo che ha svolto nel documentare l’autenticità della storia ebraica. Grazie a lei e a coloro che hanno contribuito a finanziare il suo lavoro, i negatori dei legami storici fra ebraismo e Gerusalemme sono relegati al livello dei terrapiattisti, indipendentemente da quanto sostegno possano ottenere in ambienti cinici o analfabeti.

(Da: jns.org, 26.5.21)

Si veda anche:

L’antica Israele e il passo falso dello storico Barbero, di Samuele Rocca

Gerusalemme vs Tel Aviv: l’eterno, appassionante dibattito sull’archeologia biblica in Israele