L’arma segreta di Israele, quella vera

Le parole di Golda Meir sono più attuali che mai e le due settimane di mini-guerra con Hamas, con il picco di antisemitismo in Occidente, non fanno che confermarle

Di Lahav Harkov

Lahav Harkov, autrice di questo articolo

C’è un aneddoto che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha raccontato molte volte nel corso degli anni, relativo al suo primo viaggio in Israele. Nel 1973, senatore fresco di nomina, Biden ottenne un incontro con l’allora primo ministro israeliano Golda Meir la quale, insieme all’allora ambasciatore Yitzhak Rabin, informò Biden delle numerose minacce che incombevano su Israele, mostrandogli una serie di mappe. “Immagino che mi abbia letto in viso un profondo senso di apprensione – racconta Biden – Infatti mi disse: senatore, non sia così preoccupato. Noi israeliani abbiamo un’arma segreta. E io pensavo che stesse per rivelare solo a me questa nuova arma segreta”. Dunque qual è l’arma segreta di Israele, chiese Biden ansioso. “E’ che non abbiamo nessun altro posto dove andare”, rispose Golda Meir.

Oggi, nel 2021, quando gli israeliani viaggiano per il mondo e hanno successo in una vasta gamma di campi, mentre tecnologia e globalizzazione danno la sensazione a un ampio – ma privilegiato – segmento della popolazione globale di avere il mondo nelle proprie mani, alcuni potrebbero pensare che quell’affermazione di Golda Meir non sia più attuale. Invece, quelle parole sono oggi più rilevanti che mai, e le due recenti settimane di un’ennesima mini-guerra con Hamas con il conseguente picco di antisemitismo non fanno che confermarle.

Golda Meir e Joe Biden nel 1973

Noi, popolo ebraico, non abbiamo nessun altro posto dove andare. Gli israeliani, e la stragrande maggioranza degli ebrei nel mondo che si sentono fortemente legati a Israele, ovviamente lo sapevano già. Basta fermare un qualsiasi passante per la strada in Israele e chiedere se pensa che sarebbe vivo, oggi, se non ci fosse lo stato d’Israele. La risposta più probabile è “no, non sarei vivo”. La maggior parte degli ebrei israeliani, discendenti dagli 850.000 profughi della pulizia etnica degli ebrei perpetra nel Nord Africa e in Medio Oriente, con l’unica eccezione del nostro piccolo angolo nella regione, ha buone ragioni per rispondere “no”. E anch’io risponderei di no. È stato l’yishuv, la comunità ebraica in Terra d’Israele prima dello stato, che ha impedito a tutti e quattro i miei bisnonni materni di subire il destino mortale dei loro parenti per mano dei perpetratori di pogrom e, poi, dei nazisti. E ci sono innumerevoli israeliani con un’analoga storia famigliare.

Ma tutto questo evidentemente sfugge a Hamas, ai suoi accoliti e agli utili idioti che in Occidente fanno eco allo statuto del gruppo terroristico gridando lo slogan genocida “dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”. Quando i palestinesi paragonano Israele ai crociati, intendono dire che non siamo altro che un contrattempo nella storia, destinati ad essere cacciati da un eroico esercito guidato dai musulmani come avvenne coi crociati dopo 88 anni. Ma quando i palestinesi, facendo proprio il gergo dei progressisti, presentano Israele come una illegittima “colonia di colonialisti”, dimenticano la differenza fondamentale tra Israele e le vere colonie dei colonialisti. Quando i crociati europei conquistarono Gerusalemme, quando i francesi si stabilirono in gran parte del Nord Africa, quando gli inglesi presero il controllo dell’India, per citare solo alcuni casi, si trattava pur sempre di satelliti di un paese d’origine, di una madrepatria, anche se vi rimasero per generazioni. Quando le rivolte nelle colonie a metà del XX secolo divennero troppo violente e costose, i governi europei fecero i bagagli e se ne andarono, sgomberando i loro cittadini.

Profughi ebrei iracheni in un campo d’assorbimento in israele negli anni ’50

Noi siamo in Israele proprio per non dover fare mai più le valigie e ripartire, per non dover tenere più la proverbiale valigia pronta vicino alla porta: perché è Israele il nostro paese d’origine, la nostra madrepatria storica e attuale, e non un satellite. I palestinesi e i loro sostenitori amano ingiungere agli israeliani di “tornarsene” in Polonia o in Russia o in qualche altro posto, e non citano mai la parte del mondo – il Medio Oriente – da cui origina in realtà la maggior parte degli israeliani. Ma, naturalmente, quei luoghi non sono la nostra casa, e le circostanze in cui molti dei nostri progenitori se ne andarono dimostrano che quei luoghi non sono mai stati la nostra casa.

Nelle ultime due settimane c’è stato un aumento del 500% degli incidenti antisemiti registrati nel Regno Unito secondo il Community Security Trust, mentre un’ondata di aggressioni, vandalismi e molestie contro gli ebrei ha colpito le città del Nord America, da Montreal a New York a Tucson a Los Angeles. Nell’Europa occidentale l’antisemitismo è sempre presente e lo è da anni. E’ assai improbabile che questo aumento della violenza in Occidente dia vita a un’ondata di immigrazione ebraica da Israele. Non viviamo in un mondo in cui gli ebrei possono stare in sicurezza dove vogliono. Non è mai stato così. L’aumento degli attacchi antisemiti proviene da coloro che sostengono di difendere i palestinesi. C’è qualcosa di profondamente paradossale in queste persone che vogliono “liberare la Palestina” attaccando gli ebrei nella diaspora. Rivolgendo la loro violenza contro gli ebrei al di fuori di Israele manifestano il loro desiderio di “purificare etnicamente” dagli ebrei i paesi occidentali. Ma lo sanno dove vanno gli ebrei quando sono in pericolo, quando rischiano la pulizia etnica? Vanno in Israele, proprio il luogo da cui quegli odiatori vorrebbero scacciare gli ebrei.

La realtà è che non siamo come i crociati. Siamo qui, 73 anni dopo la nascita dello stato, e nessuna quantità di razzi di Hamas ci farà andare via, né i 4.000 lanciati in 11 giorni, né gli attacchi antisemiti contro i nostri fratelli e sorelle nella diaspora. E il motivo è che abbiamo ancora la nostra arma segreta: non abbiamo un altro posto dove andare, non abbiamo un altro paese oltre allo stato d’Israele.

(Da: Jerusalem Post, 23.5.21)