L’arroganza e l’ipocrisia di quella reazione del Dipartimento di stato americano

“La casa di una famiglia non deve essere demolita per l'azione di un individuo” ha pontificato Washington, ed era solo l'inizio di un comunicato spudorato

Di Nitsana Darshan-Leitner

Nitsana Darshan-Leitner, autrice di questo articolo

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha fatto sfoggio di grottesca ipocrisia quando le Forze di Difesa israeliane hanno demolito la casa di un terrorista palestinese che aveva assassinato a colpi d’arma da fuoco un adolescente e reso invalido un altro, e l’ambasciata Usa a Gerusalemme ha ritenuto di dover diffondere un comunicato ufficiale in cui critica aspramente l’azione israeliana. “La casa di un’intera famiglia non deve essere demolita per l’azione di un individuo”, hanno pontificato gli americani. Ed era solo l’inizio della spudoratezza, giacché il comunicato proseguiva asserendo che “tutte le parti [devono] astenersi dal compiere passi unilaterali che esasperano le tensioni e vanificano gli sforzi volti a promuovere una soluzione negoziata a due stati, e questo include certamente la demolizione punitiva di case palestinesi”.

Passi unilaterali? Cosa ci può essere di più unilaterale di un 44enne palestinese che decide di passare in auto davanti a una fermata di autobus e aprire il fuoco su un gruppo di ebrei? In termini puramente giuridici, il terrorista ha commesso un omicidio di primo grado (volontario ndr) con l’aggravante della premeditazione. Lo ha fatto all’inizio di maggio. Il terrorista, Muntasir Shalabi originario di Turmus Ayya in Cisgiordania, ha messo in un’auto un’arma automatica e ha percorso le strade nei pressi dello svincolo di Tapuah alla ricerca di israeliani da uccidere. Si è imbattuto in tre studenti di yeshiva in attesa dell’autobus per andare a scuola, e ha esploso una raffica micidiale. Yehuda Guetta, 19 anni, è stato ucciso sul colpo. Benaya Peretz, anche sui 19enne, è stato colpito alla schiena ed è rimasto paralizzato.

La casa del terrorista Muntasir Shalabi, a Turmus Ayya (Cisgiordania)

Nella mia qualità di presidente di Shurat HaDin, un gruppo legale che si batte per i diritti umani delle vittime del terrorismo, rappresento le famiglie Guetta e Peretz. Ho visto l’angoscia negli occhi dei genitori in lutto. Ho percepito la sofferenza di un giovane che viene a sapere che non si potrà mai più separare dalla sedia a rotelle. Che vergognosa sfrontatezza quella di un’amministrazione americana che, nella sua reazione, mette sullo stesso piano l’assassinio premeditato a sangue freddo di giovani innocenti con misure punitive che vengono utilizzate con successo da anni, sin dai tempi del Mandato Britannico, per punire coloro che commettono atti di omicidio terroristico e dissuadere coloro che potrebbero seguirne l’esempio.

In uno scenario in cui i terroristi si preoccupano ben poco della propria vita e fanno saltare in aria autobus, prendono ostaggi e uccidono ebrei, la demolizione della casa di un terrorista obbliga coloro che intendono indossare un giubbotto esplosivo o sparare agli adolescenti a una fermata a pensarci due volte prima di compiere queste azioni omicide. Vi sono innumerevoli esempi di padri palestinesi che hanno portato i loro figli all’attenzione dei servizi di sicurezza dell’Autorità Palestinese perché temevano che stessero per perpetrare un attentato che, alla fine, avrebbe condotto alla distruzione della casa di famiglia. Il potere deterrente è indiscutibile, e tale deterrenza salva vite umane. Il Dipartimento di Stato si è arrabbiato per la perdita di un edificio. Com’è che non si erano arrabbiati per la perdita di una vita umana? Un edificio può essere riparato e ricostruito. Yehuda Guetta è morto e Benaya Peretz rimarrà paralizzato per tutta la vita. Le loro vite sì che sono state demolite per sempre.

Va sottolineato che le case dei terroristi non vengono demolite per capriccio. E’ il risultato di un lungo iter giudiziario che deve soddisfare i criteri del tribunale. La decisione deve superare numerosi passaggi militari e giudiziari prima che venga emesso l’ordine di demolizione. Vi sono processi d’appello davanti alla magistratura. Non c’è niente di unilaterale in tutto questo. Nel caso di Shalabi è stata presentata una petizione alla Corte Suprema per fermare i genieri dell’esercito. Ma è stata respinta ed è stato dato l’ordine di far saltare in aria la casa. L’ambasciata degli Stati Uniti si è spinta al punto di inviare dei rappresentanti per osservare il dibattimento in aula e assicurarsi che fosse condotto nel rispetto della legge alla lettera. Così è stato, ovviamente, e lo sforzo legale per fermare la demolizione non ha avuto successo.

Studenti dell’Università palestinese Birzeit Uniersity in visita alla casa demolita del terrorista Muntasir Shalabi

Ma qui siamo al colmo dell’ipocrisia, giacché l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme non ha inviato dei rappresentanti a porgere le condoglianze alla famiglia Guetta, né un suo emissario all’ospedale per sedersi al capezzale di Benaya. Non ci sono state dichiarazioni pubbliche per esprimere la collera dell’amministrazione americana per l’attentato, e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti non si è mai preso la briga di condannare l’assassinio spietato e insensato di un adolescente innocente fermo alla fermata dell’autobus. Perché mai dovrebbe? Che gli israeliani siano vittime di attacchi terroristici è diventato un fatto troppo banale per giustificare qualsiasi interesse da parte del governo americano o quello di altri paesi che continuano a considerare le vittime ebree come perdite del tutto accettabili nel quadro della più ampia partita dell’appeasement.

L’unica azione unilaterale che c’è stata in questa tragica vicenda è stata l’omicidio a sangue freddo di un adolescente e la riduzione alla paralisi di un altro, ad opera di un terrorista palestinese. Le azioni di Israele sono state reattive e misurate, concepite per limitare i danni collaterali e il dolore per altri uomini, donne e bambini innocenti assassinati.

(Da: Jerusalem Post, 22.7.21)