L’ascesa silenziosa del centro israeliano

Il centrista ha due incubi: il primo è che non si realizzi mai uno stato palestinese, l’altro è che lo stato palestinese si realizzi

Di Yossi Klein Halevi

Yossi Klein Halevi, autore di questo articolo

Yossi Klein Halevi, autore di questo articolo

L’onere della nostra generazione di ebrei è la paura di dilapidare il dono del ritorno a Sion. Questa paura aiuta a capire la veemenza dei nostri dibattiti politici e culturali. Tutti le parti contrapposte pongono sostanzialmente la stessa domanda: qual è il fatale passo falso che potrebbe farci perdere di nuovo, e forse per sempre, questo paese atteso e agognato per generazioni e costato tante fatiche e sofferenze? Un insufficiente attaccamento alla terra patria, risponde la destra, unito alla ricorrente ingenuità ebraica circa le reali intenzioni dei nostri nemici. Ignorare i diritti di coloro sono finiti sotto la nostra occupazione, ribatte la sinistra: negare a un altro popolo la sovranità che rivendichiamo per noi stessi. Tutte sciocchezze, obiettano gli ultra-ortodossi, la più grande minaccia alla nostra esistenza in questa terra non ha nulla a che fare con i territori, ma con il livello di osservanza delle leggi della Torah. Ogni campo vede nell’altro non un mero rivale ideologico, ma una potenziale minaccia esistenziale. Forse il vero prodigio non è che i nostri dibattiti siano così laceranti, ma che non lo siano ancora di più considerando quella che i protagonisti temono sia la posta in gioco, e quello che pensano gli uni degli altri. Una cruciale forza moderatrice nella società israeliana è stata l’emergere negli ultimi anni di un centro politico e culturale. L’opinione centrista considera le certezze ideologiche dei campi rivali e le minacce esistenziali imputate ad altri ebrei come il vero pericolo per la vitalità a lungo termine della società israeliana. I centristi sono il gruppo ideologico meno compreso, in Israele, in parte perché non hanno una forte casa politica. Eppure, sulle questioni chiave del futuro dei territori e del rapporto tra religione e stato, il centro rappresenta la maggioranza degli israeliani. Nel quarantennale dibattito tra destra e sinistra sul futuro dei territori, quello che è prevalso è il centro. Il centrista condivide le principali intuizioni della sinistra e della destra. Non c’è nulla di vago o di ambiguo, nell’israeliano di centro. Al contrario: il centrista afferma con vigore le sue convinzioni. Il punto è che le sue convinzioni sono spesso in opposizione fra di loro.

“Il centrista israeliano guarda con profonda diffidenza agli ideologi di sinistra e di destra che ignorano l’insostenibile complessità dei dilemmi in cui si dibatte Israele”

Il centrista considera uno stato palestinese una necessità per l’esistenza stessa di Israele: per salvarci dalla scelta impossibile tra un Israele ebraico e un Israele democratico, e dal diventare dei paria con il fardello morale di occupare un altro popolo. Ma il centrista vede nello stato palestinese anche una minaccia all’esistenza di Israele: con il rischio che venga usato per attacchi missilistici dalle alture di Samaria sulla piana costiera, dove vive la maggior parte della popolazione israeliana, trasformando l’area metropolitana di Tel Aviv in una enorme Sderot, la città israeliana al confine con la striscia Gaza che da un decennio si trova nel mirino delle migliaia di razzi sparati dai terroristi palestinesi. Il centrista ha due incubi sul futuro di Israele: il primo è che non si realizzi mai uno stato palestinese, l’altro è che lo stato palestinese si realizzi. Questa ambivalenza si rivela nei sondaggi. Circa il 70% degli israeliani si dichiara coerentemente a favore della soluzione a due stati, in linea di principio. Ma la stessa maggioranza dubita che, in pratica, la soluzione a due stati possa garantire la pace a Israele, perché il nazionalismo arabo-palestinese non accetterà mai la legittimità di Israele, neanche dopo un ritiro dalla Cisgiordania. Il centrista israeliano guarda con profonda diffidenza agli ideologi di sinistra e di destra che ignorano l’insostenibile complessità dei dilemmi in cui si dibatte Israele circa la questione del territorio e delle minacce alla sicurezza, quegli ideologi la cui soluzione a ogni problema è sempre la stessa: o la forza o il cedimento. Il centrista sa che il dibattito sul futuro dei confini di Israele è così lacerante proprio perché ciascuna parte esprime valori e preoccupazioni essenziali per la popolazione ebraica. Il centrista condivide l’interrogativo angosciante posto dalla sinistra: come può il popolo ebraico ritrovarsi a occupare un altro popolo? Ma rifiuta l’idea che gli ebrei in Terra di Israele possano essere considerati occupanti stranieri. Certamente occupiamo un altra popolazione – e i tentativi della destra di negare questa realtà non hanno fatto che minare la sua credibilità agli occhi dei centristi – ma noi ebrei non siamo alieni né stranieri in qualunque parte di questo paese. Sì, dovremo scendere a compromessi con una rivendicazione nazionale parallela alla nostra. Ma qualsiasi ritiro territoriale, per quanto necessario, sarà una ferita, sarà il sacrificio di porzioni predilette della nostra terra patria.

“Il centrista ritiene che la nostra capacità di rimanere un popolo integro dipenda in larga misura dal riconoscere legittimità ebraica alle varie opinioni concorrenti”

Il centrista ritiene che la nostra capacità di rimanere un popolo integro dipenda in larga misura dal riconoscere legittimità ebraica alle varie opinioni concorrenti. Per un centrista, il dibattito non si svolge tanto nella società israeliana quanto dentro di sé, con la destra e la sinistra che sostengono ciascuna le proprie ragioni con argomenti efficaci. Una sensibilità analoga è emersa nel Kulturkampf israeliano, la battaglia culturale fra religione e stato. I centristi auspicano meno giudaismo ufficiale in Israele, soprattutto nella legislazione. E vogliono più giudaismo nell’istruzione e nella cultura israeliana, e nella loro vita personale. Questo emergente centro culturale – che si affianca al centro politico che si è formato sulla questione dei territori – abbraccia laici, post-laici, tradizionalisti e sionisti religiosi moderati. A tutti gli effetti pratici, non c’è più il divario tra religiosi e laici, in Israele. C’è, invece, una divisione tra gli ultra-ortodossi e tutti gli altri. L’attuale governo israeliano riflette questa nuova realtà. Per la prima volta dal 1977 i partiti ultra-ortodossi sono stati esclusi dal governo. E quei partiti sono stati tenuti fuori da una coalizione di politici laici e religiosi. I centristi sono stanchi delle guerre interne israeliane. Aspirano a una via di mezzo tra gli estremi: un modo per gli ebrei di rispettare le intuizioni vitali e i legittimi timori degli uni e degli altri, fondendo di nuovo in un popolo le comunità rivali, nella riunione degli esiliati. (Da: Times of Israel, 23.3.14)