L’Autorità Palestinese vuole che il mondo riconosca il “diritto” di uccidere israeliani

Per questo preme per l’assegnazione del premio Nobel a un capo terrorista condannato all’ergastolo

Marwan Barghouti fotografato nel carcere Hadarim di Ashkelon in compagnia del terrorista Samir Kuntar, personalmente responsabile della strage di una famiglia israeliana a Nahariya nel 1979, prima che quest’ultimo venisse scarcerato da Israele su ricatto Hezbollah

Marwan Barghouti (a sinistra) fotografato nel carcere Hadarim di Ashkelon in compagnia del terrorista Samir Kuntar, personalmente responsabile della strage di una famiglia israeliana a Nahariya nel 1979, prima che quest’ultimo venisse scarcerato da Israele su ricatto Hezbollah

L’Autorità Palestinese sostiene da anni che, in base al diritto internazionale, avvalorato da una risoluzione delle Nazioni Unite, i palestinesi hanno il “diritto” di attaccare e uccidere civili israeliani in qualunque luogo e momento. In base a questa teoria, i palestinesi che uccidono cittadini israeliani, non importa quali e in quali circostanze, compiono comunque qualcosa di eroico e positivo, e di conseguenza gli assassini palestinesi di civili israeliani vengono costantemente presentati come eroi e modelli cui ispirarsi.

Ora l’Autorità Palestinese vuole far passare questo concetto nelle sedi internazionali, cercando di ottenere un riconoscimento ufficiale dei principi base di questa sua ideologia. In altri termini, mira a ottenere che il “diritto” dei palestinesi di uccidere civili israeliani sia tutelato a livello internazionale, ed anzi formalmente riconosciuto come un atto positivo che merita di essere premiato al massimo livello. Lo strumento scelto dall’Autorità Palestinese per ottenere tale riconoscimento è il lancio di una campagna per l’assegnazione del Premio Nobel per la pace a Marwan Barghouti, un capo terrorista palestinese condannato dalla giustizia israeliana.

Dall'alto: Yoela Hen, Eli Dahan, Yosef Habi, Salim Barakat

Dall’alto: Yoela Hen, Eli Dahan, Yosef Habi, Salim Barakat

Marwan Barghouti, nella sua qualità di capo dei Tanzim, la milizia terroristica di Fatah, ha personalmente orchestrato numerosi attacchi terroristici in cui sono stati uccisi a sangue freddo israeliani innocenti, e per questo è stato condannato da un tribunale israeliano a cinque ergastoli.

Secondo il capo della Commissione dell’Olp per gli affari dei prigionieri Issa Karake, citato lo scorso 14 aprile dall’agenzia indipendente palestinese Donia Al-Watan, “la candidatura [di Barghouti] è essenzialmente un appello per il riconoscimento della legittimità della lotta condotta dai detenuti palestinesi … ed anche una risposta alla posizione sostenuta da Israele che non riconosce la legittimità della loro lotta e li tratta come terroristi e criminali”.

La richiesta dell’Autorità Palestinese che il mondo riconosca la “legittimità della lotta dei detenuti” è l’eufemismo tradizionalmente utilizzato per indicare il riconoscimento della “legittimità” dell’uccisione di israeliani. Barghouti, in particolare, è stato condannato per cinque specifici casi di assassinio in cui è stata dimostrata la sua diretta responsabilità. L’Autorità Palestinese vuole che la comunità internazionale riconosca la “legittimità” di questi omicidi assegnandogli il Premio Nobel per la pace.

Yoela Hen, 45 anni, venne uccisa in un agguato con armi da fuoco perpetrato da terroristi palestinesi, su ordine di Marwan Barghouti, presso una stazione di servizio a Givat Zeev, vicino a Gerusalemme, il 15 gennaio del 2002.

Eli Dahan, 53 anni, venne ucciso in un attentato con armi da fuoco e armi bianche perpetrato, su ordine di Marwan Barghouti, nel ristorante Sea Food Market di Tel Aviv il 5 marzo 2002.

Yosef Habi, 52 anni, venne accoltellato a morte durante lo stesso attentato con armi da fuoco e armi bianche perpetrato, su ordine di Marwan Barghouti, nel ristorante Sea Food Market di Tel Aviv il 5 marzo 2002.

L’agente di polizia Salim Barakat, 33 anni, cercò di fermare il terrorista dell’attentato perpetrato su ordine di Marwan Barghouti al ristorante Sea Food Market di Tel Aviv, e venne accoltellato a morte.

Il monaco greco Tsibouktsakis Germanus (foto non reperibile) venne ucciso in un agguato con armi da fuoco contro la sua auto a Ma’ale Adunim, effettuato su ordine di Marwan Barghouti il 12 giugno 2001.

Oltre a questi cinque omicidi, sono decine i civili israeliani rimasti uccisi dalla milizia terroristica Tanzim durante il periodo in cui Marwan Barghouti ne era a capo.

Come si è detto, l’Autorità Palestinese sostiene di avere il “diritto” di uccidere civili israeliani citando la risoluzione 3236 del 1974 con la quale le Nazioni Unite “riconoscono il diritto del popolo palestinese di recuperare i propri diritti con tutti i mezzi”. L’Autorità Palestinese interpreta la locuzione “con tutti i mezzi” come un’autorizzazione a usare la violenza e l’assassinio di civili, compresi vecchi e bambini. Significativamente i palestinesi non citano mai il seguito della risoluzione in cui si legge che l’uso di “tutti i mezzi” deve essere “conforme agli scopi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite” (…the right of the Palestinian people to regain its rights by all means in accordance with the purposes and principles of the Charter of the United Nations). Naturalmente la Carta delle Nazioni Unite vieta di prendere di mira i civili, anche in tempo di guerra, e sin dall’articolo 1 del capitolo 1 afferma che “le controversie internazionali” devono essere risolte “con mezzi pacifici”.

(Da: PMW Bulletin, 21.4.16)