Le barriere necessarie

Israele deve smettere di formulare la sua politica in reazione alle iniziative palestinesi

Da un articolo di Yaakov Katz

image_1997Per due anni e mezzo, dopo il ritiro unilaterale di Israele dalla striscia di Gaza, l’establishment della difesa ha continuato ad avvertire dell’esistenza di un “triangolo del terrore” tra Gaza, Egitto e Israele. Senza più soldati e civili israeliani a Gaza, i gruppi terroristi si sono ritrovati due vie aperte per cercare di colpire il fronte interno israeliano: i lanci di missili Qassam, da una parte, e dall’altra l’invio di terroristi nel Sinai dove, percorrendo alcune decine dei 220 chilometri di confine israelo-egiziano senza barriera, cercavano di infiltrarsi nel Negev per compiere i loro attentati.
Circa 130 km più a nord si trova un altro punto debole della sicurezza israeliana. Le colline a sud di Hebron comprendono uno dei due grandi varchi (insieme a quello nel cosiddetto “involucro” di Gerusalemme) che ancora rimangono aperti nella barriera difensiva eretta fra Israele e Cisgiordania. Lunedì sera non si poteva ancora escludere che i due terroristi di Dimona fossero arrivati appunto dalla Cisgiordania, approfittando del varco meridionale nella barriera per penetrare nel Negev israeliano.
L’attentato sucida che ha colpito le strade di Dimona lunedì scorso, uccidendo una donna israeliana di 73 anni, assume dunque un significato strategico. Indipendentemente da dove sono arrivati i terroristi, l’attentato dimostra l’urgenza di completare entrambe le barriere: lungo il confine tra Israele ed Egitto e lungo le colline a sud di Hebron. In entrambi i casi, la minaccia era perfettamente riconoscibile già prima dell’attentato.
Terroristi si erano già infiltrati in Israele venendo da Gaza attraverso il Sinai prima dell’attacco a Dimona. L’ultima volta era accaduto nel gennaio 2007 quando un attentatore suicida si era fatto esplodere in un panificio di Eilat (estremo sud di Israele), uccidendo tre israeliani. Nei due anni successivi al disimpegno da Gaza, Forze di Difesa e servizi di sicurezza israeliani avevano catturato più di cento terroristi partiti dalla striscia di Gaza e arrivati in Israele attraverso il deserto del Sinai. Fra loro, attentatori suicidi, esperti di armi impegnati nella creazione di strutture terroristiche in Cisgiordania, organizzatori di piani per la cattura di ostaggi israeliani. Le forze di sicurezza avevano anche smantellato decine di cellule terroristiche che avevano creato infrastrutture utilizzate per l’infiltrazione attraverso il confine.
Tutto questo avveniva ben prima che, due settimane fa, crollasse la barriera al confine fra Gaza ed Egitto: evento dopo il quale gli ufficiali della difesa hanno parlato di centinaia di terroristi passati nel Sinai, alcuni diretti verso Iran e Siria per traffici d’armi, altri in procinto di attuare piani di attentati contro comunità israeliane al confine.
La domenica prima dell’attentato a Dimona, 4 km a ovest di Rafah le forze di sicurezza egiziane nel Sinai avevano preso due fratelli di Gaza con addosso cinture esplosive. Il giorno prima erano stati fermati quindici palestinesi armati e lunedì stesso, poche ore dopo l’attentato a Dimona, la polizia egiziana ha annunciato l’arresto di un altro terrorista palestinese a Rafah in possesso di un ordigno esplosivo.
Le Forze di Difesa, i servizi di sicurezza e la polizia d’Israele hanno fatto quello che potevano. Il Comando sud ha schierato forze aggiuntive lungo il confine, in particolare nelle zone abitate come Nitzana ed Eilat. I servizi hanno concentrato l’attenzione sull’area di confine. La polizia ha elevato il grado di allerta, come ha dimostrato l’eroico intervento dell’agente Kobi Mor che ha ucciso il secondo terrorista a Dimona un attimo prima che questi riuscisse a innescare la sua cintura esplosiva.
Anche nel caso gli attentatori siano arrivati dalla Cisgiordania, non sarebbe la prima volta che dei terroristi approfittano del varco nella barriera di sicurezza infiltrandosi nel Negev. Nel 2004 due terroristi di Hebron si fecero esplodere a pochi minuti l’uno dall’altro su degli autobus di Beersheba, provocando 16 morti e un centinaio di feriti.
Ci sono voluti anni per completare i primi 26 km della sezione meridionale della barriera di sicurezza, al prezzo di vite umane. All’inizio il governo non era nemmeno sicuro che occorresse una barriera in quella zona, mentre concentrava l’attenzione sulla sezione occidentale, che è stata completata. Lunedì scorso, funzionari della sicurezza hanno ripetuto che è improbabile che la barriera nella sezione sud venga terminata prima della fine del 2009.
Tutti questi scenari erano presenti nella mente degli addetti alla sicurezza prima che Israele si ritirasse da Gaza. Ma – come ha chiaramente affermato il rapporto della Commissione Winograd sulla seconda guerra in Libano – c’è un estremo bisogno di miglioramenti nel collegamento fra livello politico e livello militare. Prima del ritiro da Gaza del 2005, le Forze di Difesa israeliane avevano approntato un piano chiamato “Clessidra” che prevedeva la costruzione di una barriera elettronica lungo tutti i 220 km di frontiera con l’Egitto, da Rafah fino a Eilat. Nel 2005 l’allora primo ministro Ariel Sharon visitò il confine, insieme all’allora capo di stato maggiore Dan Halutz, e chiese la creazione della barriera su almeno 50 km nell’area di Eilat. Alla fine, comunque, il governo destinò all’intero progetto solo 100 milioni di shekel sul miliardo e mezzo necessario.
La settimana scorsa il ministro della difesa Ehud Barak ha riesumato il piano Clessidra ma, come spesso accade anche in Israele, la mossa è arrivata in risposta all’apertura delle brecce alla frontiera fra Gaza ed Egitto, non come parte di un più ampio processo di pianificazione strategica.
Sfortunatamente questo approccio “al bisogno” è quello che prevale sia a livello politico che della difesa. Barak ha deciso la stretta sul blocco economico di Gaza dopo ondate di attacchi Qassam, ma la questione non venne realmente dibattuta dal governo. Come dimostra il rapido cambiamento dopo la vittoria d’immagine di Hamas, non era all’opera una politica chiara e prestabilita.
Dopo l’attacco a Dimona possiamo aspettarci una pioggia di richieste da tutto l’arco politico israeliano per la costruzione immediata della barriera al confine con l’Egitto o, se i due terroristi risulteranno venuti da Hebron, della parte sud di quella al confine con la Cisgiordania. Si tratta di due barriere di assoluta importanza strategica, ma ciò che non è meno importante è che i leader d’Israele smettano di formulare la loro politica in reazione agli sviluppi sul versante palestinese.
(Da: Jerusalem Post, 5.02.08)

Martedì si è appreso che i due attentatori suicidi dell’attacco a Dimona appartenevano a Hamas e vivevano a Hebron. I due, identificati come Muhammad Hirbawi e Shadi Zughayar, di 20 anni, erano membri di Izzadin Kassam, ala armata di Hamas.
Esponenti dell’Autorità Palestinese a Ramallah hanno reagito accusando il movimento islamista palestinese di agire contro gli interessi nazionali palestinesi su ordine di Iran e Siria. “Gli ordini sono arrivati da Damasco – ha dichiarato un alto rappresentante dell’Autorità Palestinese – e i fondi da Teheran. Tutti loro sono decisi a minare l’autorità del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e a sabotare il processo di pace”.
In precedenza le Brigate Martiri di Al-Aqsa, ala armata di Fatah, avevano rivendicato il duplice attentato e avevano indicato come attentatori due giovani terroristi di Gaza. Anche un altro gruppo in Cisgiordania, affiliato a Fatah, aveva rivendicato l’attentato diffondendo altri due nomi. Fonti vicine a Fatah dicono che tutte e quattro i terroristi indicati sono stati probabilmente reclutati come attentatori suicidi e mandati in missione contro Israele. I due di Gaza, Musa Arafat e Luai al-Aghwani, probabilmente sono stati arrestati dagli egiziani dopo essere penetrati nel Sinai con le cinture esplosive.
(Da: Jerusalem Post, 6.02.08)

Nella vignetta in alto: Il terrorista suicida alla Corte Onu che scava un buco nella barriera difensiva israeliana: “Più in fretta, ho un autobus da prendere”