Le condizioni palestinesi che rendono ardua la missione di John Kerry

In un'intervista, il negoziatore Erekat ribadisce intransigenza negoziale, calunnie anti-Israele e la strategia di arrivare allo stato palestinese senza accordo con Gerusalemme

Di Avi Issacharoff

Avi Issacharoff, autore di questo articolo

Avi Issacharoff, autore di questo articolo

Venerdì scorso, il giornale arabo edito a Londra A-Sharq Al-Awsat ha pubblicato un’intervista con il capo negoziatore dell’Autorità Palestinese Saeb Erekat che ha fatto scalpore per il fatto che Erekat vi ribadiva l’accusa a Israele d’aver assassinato il leader palestinese Yasser Arafat, aggiungendo che potrebbe fare lo stesso con Mahmoud Abbas (Abu Mazen). “E’ così che si comportano gli israeliani”, ha affermato Erekat. Vale giusto la pena ricordare che esperti forensi indipendenti francesi e poi russi hanno escluso la possibilità che Arafat sia stato avvelenato col polonio radioattivo (un’eventualità che è stata vagamente ventilata solo da scienziati svizzeri pagati dalla tv al-Jazeera).

Meno notizia hanno fatto le altre dichiarazioni rese da Erekat nell’intervista, quelle sui negoziati in corso tra Israele e palestinesi, che sono state anzi minimizzate e trascurate. Invece sono molto importanti: le parole di Erekat dimostrano quanto sia ampio il divario tra le due parti, e spiegano quanto esili siano le possibilità degli sforzi di Washington di arrivare a un accordo-quadro a causa delle condizioni imposte dai palestinesi.

Saeb Erekat

Saeb Erekat

Innanzitutto, Erekat ha dichiarato nell’intervista che i palestinesi non intendono accettare nessuna proroga dei colloqui oltre i nove mesi previsti, cioè oltre il mese di aprile. “Una proroga anche solo di un minuto è impossibile – ha detto Erekat – Diversamente da quanto vanno dicendo altri, i negoziati dureranno solo nove mesi. L’obiettivo è quello di arrivare a un accordo su tutte le questioni relative allo status finale, e in base alle parole dell’intesa mediata da John Kerry non vi saranno accordi transitori o interinali”.

Dopo aver detto che gli ultimi colloqui faccia a faccia con la squadra negoziale israeliana hanno avuto luogo lo scorso 5 novembre, Erekat ha citato una serie di mosse israeliane da lui descritte come i “crimini” che hanno minato il processo di pace, spingendolo a rassegnare le dimissioni dalla carica di capo negoziatore: dimissioni che, peraltro, non sembra abbiano avuto alcun effetto pratico.

Erekat ha poi rivelato il contenuto di una lettera che Abu Mazen ha inviato al presidente degli Stati Uniti Barack Obama, dopo una riunione particolarmente tesa con Kerry lo scorso 8 dicembre. “In quella lettera – ha spiegato Erekat – il presidente dell’Autorità Palestinese ha messo in chiaro ciò che non potrebbe mai accettare come palestinese, come popolo e come Olp ( Organizzazione per la Liberazione della Palestina ). In primo luogo, non potremo accettare Israele come stato ebraico – avrebbe scritto Abu Mazen, secondo quanto riferito da Erekat – In secondo luogo, non potremo accettare uno stato palestinese coi confini del 1967 senza Gerusalemme. In terzo luogo, dopo il completamento del ritiro graduale, non potremo accettare un solo israeliano sul suolo palestinese, nel cielo palestinese, nelle acque palestinesi o ai valichi di frontiera palestinesi”.

Pubblicistica e indottrinamento palestinesi raffigurano esplicitamente il “diritto al ritorno” (rappresentato dal simbolo della chiave) come invasione e cancellazione di Israele dalla carta geografica

Una quarta condizione posta da Abu Mazeen, stando a quanto riferito da Erekat, è l’affermazione del cosiddetto “diritto al ritorno” (all’interno di Israele, anche dopo la nascita dello stato palestinese) di una quantità potenziale di milioni di profughi, o figli e nipoti e discendenti di profughi. “Non potrò accettare alcuna soluzione che non conceda ai profughi il loro diritto alla possibilità di tornare o essere risarciti, secondo la risoluzione 194 delle Nazioni Unite, né alcun accordo che non preveda il rilascio di tutti i prigionieri”, avrebbe scritto Abu Mazen a Obama secondo l’intervista di Erekat.

Erekat ha poi spiegato che Abu Mazen ha presentato queste condizioni alla Lega Araba, che a sua volta le ha trasferite agli Stati membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il che è perfettamente in linea con la strategia preferita da Erekat per arrivare a uno stato palestinese: fare appello all’Unione Europea perché riconosca lo stato palestinese (anche senza accordo con Israele) mentre si chiede ai vari organismi internazionali di firmare trattati e protocolli che mettano l’Autorità Palestinese in condizione di denunciare Israele davanti alla Corte Internazionale dell’Aia: la via “giuridica” alla delegittimazione di Israele e alla sua sostituzione con uno stato palestinese, senza firmare alcun accordo di pace definitiva.

(Da: Times of Israel, 4.1.14)

DOCUMENTAZIONE: La rivendicazione palestinese del “diritto” di invadere Israele

Cosa significhi la risoluzione Onu 194 per i palestinesi venne messo in chiaro in un memorandum della squadra negoziale palestinese guidata da Yasser Abed Rabbo, presentato il 1 gennaio 2001 in risposta ai parametri del presidente Bill Clinton per un accordo israelo-palestinese. Vi si legge:

“It is important to recall that the Resolution 194, long regarded as the basis for a just settlement of the refugee problem, calls for the return of Palestinian refugees to ‘their homes’, wherever located. The essence of the right of return is choice: Palestinians should be given the option to choose where they wish to settle, including return to the homes from which they were driven”.

[traduz: “È importante ricordare che la risoluzione 194, da tempo considerata la base per una giusta composizione del problema dei profughi, prevede il ritorno dei profughi palestinesi alle loro case, ovunque situate. L’essenza del diritto al ritorno sta nella scelta: ai palestinesi deve essere data la possibilità di scegliere dove vogliono insediarsi, compreso il ritorno alle case da cui furono allontanati”].