Le corrucciate profezie di Rabin

Rabin fu il primo ad avvertire i leader occidentali del pericolo in agguato dentro le loro case.

Da un articolo di Aluf Benn

image_962Yitzhak Rabin faceva la gioia dei corrispondenti. Amavano la sua voce profonda, la sua schiettezza, la sua tendenza a parlare senza pesare le parole. Non guardava gli appunti, ogni incontro con lui prometteva titoli succosi e citazioni preziose. E poi le misure di sicurezza, allora, prima del suo assassinio, non erano così pesanti, l’accesso al primo ministro era assai più facile e diretto e l’atmosfera più ottimista.
Si è scritto molto, in queste ultime due settimane, sul confronto fra Rabin e il suo attuale successore Ariel Sharon: entrambi generali, arrivati in età avanzata ai vertici della politica dove entrambi hanno scoperto i limiti dell’uso della forza, optando per il ritiro da territori. Le similitudini tra i due sono sorprendenti, ma lo sono anche le differenze. Uno beveva e fumava, l’altro ama mangiare. Uno stava gomito a gomito coi leader del mondo cercando la loro amicizia, l’altro diffida di loro preferendo il suo ranch e le sue pecore.
Ma la principale differenza tra Rabin e Sharon sta nello stile della loro leadership. Rabin tendeva a decidere rapidamente, per poi riconsiderare le decisioni e trasmettere esitazione. Così portò Yasser Arafat alla Casa Bianca, ma si accigliò quando dovette stringergli la mano. Così decise di tassare i guadagni di capitale e poi cambiò idea, sotto l’influenza di uomini d’affari che lo accompagnarono in una visita in Giappone. Anche Sharon spesso esita e si dibatte in una questione, ma solo prima di prendere la decisione. Decide lentamente, ma una volta deciso sui attesta sulla sua posizione ed è dura smuoverlo. In questo modo ha attuato il disimpegno dalla striscia di Gaza e a imposto le tasse sui guadagnai di capitale.
Rabin spesso si arrabbiava con i coloni, ma evitò di affrontarli ed ebbe timore di sgomberare anche una sola roulotte. Sharon ha parlato dei coloni come dei pionieri della loro generazione anche nel momento in cui sgomberava venticinque insediamenti. Rabin lasciò al suo posto l’insediamento di Netzarim permettendogli di crescere, Sharon l’ha demolito. Rabin era un politico che odiava apertamente la politica, Sharon è un maestro in trucchi politici.
L’introverso Rabin non aveva la scaltrezza di Sharon, la sua abilità nel leggere le persone e cogliere immediatamente i loro desideri e le loro debolezze. Ma aveva una rara capacità di capire e prevedere i processi strategici. Nei due anni che precedettero il suo assassinio Rabin viaggiò molto per il mondo, che in quegli anni si apriva a Israele con l’idea di premiarne il riconoscimento dell’Olp e l’avvio del distacco dai territori. In tutti i suoi viaggi – in Europa, in Rusia, in America, in Asia, in alcuni stati arabi – Rabin cercò di persuadere i suoi interlocutori che il vero problema era l’estremismo islamico. Lo chiamava “Khomeinismo senza Khomeini”, e i giornalisti che seguivano i suoi viaggi si stancarono a tal punto di sentirgli ripetere questo messaggio che finirono col coniare una abbreviazione apposta per indicare quell’espressione.
Rabin fu il primo ad avvertire i leader occidentali del pericolo in agguato dentro le loro case. Parlava di cinque milioni di musulmani in Francia, di trecento nuove moschee in Olanda, della bomba nucleare sviluppata dall’Iran. Quando Bill Clinton criticò i cinesi per le loro violazioni dei diritti umani, Rabin gli chiese se avesse già risolto il problema dei diritti umani in Arabia Saudita, un tema che allora era tabù assoluto nella politica estera americana.
Rabin non aveva soluzioni da offrire. Ciò che voleva fare era scuotere la gente e metterla in guardia. Ma i suoi interlocutori non erano interessati. Per quanto li riguardava, il problema mediorientale consisteva nell’occupazione israeliana, certo non nell’Iran o nell’estremismo islamista. Ignorarono le informazioni che ricevevano, più di dieci anni fa, sull’aiuto del Pakistan agli ingegneri nucleari iraniani. Le osservazioni di Rabin sull’Arabia Saudita e sulle comunità musulmane in Europa senza dubbio sembrarono ai loro occhi una manifestazione di arroganza israeliana.
Negli ultimi anni le corrucciate profezie di Rabin sono diventate realtà, con gli attacchi dell’11 settembre negli Stati Uniti, con gli attentati suicidi in tutto il mondo, coi progressi iraniani nello sviluppo dell’atomica, persino coi disordini in corso in Francia. Ci si potrebbe domandare cosa sarebbe potuto accadere se a suo tempo i suoi messaggi fossero stati ascoltati, invece d’essere accolti con un’alzata di spalle. Forse l’occidente avrebbe potuto prepararsi meglio ad affrontare l’estremismo islamico. O forse i leader occidentali, come spesso anche i loro colleghi israeliani, avrebbero comunque aspettato a prendere una decisione solo dopo che la crisi gli fosse scoppiata fra le mani.

(Da: Ha’aretz, 14.11.05)