Le elezioni delle milizie armate

Quando i palestinesi paventano una guerra civile, sanno bene di cosa parlano

Da un articolo di Shlomo Avineri

image_1542Per chiunque conosca un po’ di storia del movimento nazionale palestinese, l’emergere di una guerra civile nella striscia di Gaza rievoca il modo in cui andò a finire la “rivolta araba” nella Palestina britannica del 1939: dopo tre anni di attacchi conto le forze britanniche e di terrorismo contro la popolazione ebraica, i due maggiori gruppi armati palestinesi di allora, uno principalmente identificato con il clan estremista degli Husseini, l’altro con il clan più moderato dei Nashashibi, sprofondarono in un’orgia di uccisioni intestine che provocarono la morte di migliaia di palestinesi. Alla fine furono più numerosi i palestinesi uccisi da altri palestinesi che non quelli morti negli scontri con inglesi ed ebrei.
Le cicatrici quella guerra civile sono ben presenti in ogni villaggio di Cisgiordania, anche se raramente se ne parla in pubblico: tanto è vero che, ad esempio, sono molto pochi i giornalisti stranieri che ne abbiano mai sentito parlare, giacché si tratta di fatti accuratamente esclusi dalla narrazione storica palestinese. Quando i palestinesi, oggi, mettono in guardia rispetto ai pericoli di una guerra civile, sanno bene di cosa parlano perché vi sono già passati. Ciò nonostante gli scontri armati attualmente in corso fra varie forze di sicurezza, milizie e bande tribali nei territori palestinesi assumono una dimensione sempre più ampia.
È un amaro paradosso: le società del mondo arabo che hanno sperimentato il fallimento di strutture relativamente più democratiche, o che stanno attraversando un processo di democratizzazione, assistono regolarmente all’emergere di pericolose milizie armate.
Il primo caso di milizie armate impegnate in una guerra civile fu, naturalmente, quello del Libano negli anni ’70 e ’80. Quando collassò il sistema multi-partitico libanese fondato su lealtà comunitarie ed etnico-religiose, ciascun gruppo – cristiani, drusi, sciiti e, in misura minore, sunniti – diede vita a una o più milizie, e i partiti storici si trasformarono in fazioni armate.
In Iraq e nei territori palestinesi si sono tenute, in condizioni assai difficili, delle elezioni che sono satte presentate al momento, soprattutto dall’amministrazione Bush, come un grande passo verso la democratizzazione. Il governo guidato da Hamas trae la propria legittimità da quelle elezioni.
In apparenza le cose stavano così. Ma in entrambi i casi si è visto ben presto che né i vincitori né gli sconfitti alle elezioni erano disposti o in grado di comportarsi secondo le regole di base del gioco democratico. Una volta perse le elezioni parlamentari, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) decise di sottrarre un certo numero di servizi di sicurezza al controllo del ministero degli interni per passarli sotto quello della presidenza. Intanto, uno dei primi provvedimenti del governo di Ismail Haniyeh, all’atto di assumere il potere, fu quello di creare una nuova forza di sicurezza sotto il proprio controllo. Giacché è su queste che si fonda la vera base del potere.
In Iraq ciascuno dei vari gruppi sciiti ha la propria milizia, e dal momento che gli sciiti controllano il governo, ciascun ministero ha la sua polizia di fatto, fondata su basi di settarie. I sunniti, che hanno perduto l’egemonia sul paese dopo l’invasione guidata dagli Stati Uniti, hanno trasformato le loro storiche forze di sicurezza – la Guardia Repubblicana e altre forze speciali dello stato di polizia di Saddam Hussein – nelle milizie ombra che costituiscono l’infrastruttura logistica e ideologica della loro insurrezione armata. Milizie che hanno ucciso molti più civili iracheni di quanti non siano stati uccisi dai soldati americani.
Ciò che sta accadendo è piuttosto chiaro. In entrambi i casi, mancando un’effettiva società civile con sue proprie tradizioni di tolleranza, pluralismo ed efficienti strutture di partito, ciascun soggetto politico ha bisogno di avere il suo braccio armato. Né Fatah né Hamas sono partiti politici nel senso usuale del termine. Fatah, dopo tutto, è stata a lungo un’organizzazione guerrigliera e terroristica prima che diventasse la fazione egemonica all’interno dell’Autorità Palestinese, e che i suoi membri diventassero il nucleo dei vari servizi di sicurezza sotto Arafat. E Hamas, dal canto suo, è un movimento sociale a base fondamentalista religiosa.
Quando mancano le condizioni per la democrazia, l’introduzione improvvisa di elezioni in società autoritarie non fa che promuovere le milizie armate. Nei movimenti nazionali iracheno e palestinese il potere si è storicamente affermato sulla canna dei fucili. Lo stesso vale oggi, solo che oggi nessuno detiene il monopolio dei fucili. L’amministrazione Bush, con la sua convinzione messianica nella democrazia istantanea, non l’ha capito, ma in Iraq come nei territori palestinesi sembra che il potere politico verrà deciso dalle pallottole, non dai voti.

(Da: Jerusalem Post, 10.01.07)

Nella foto in alto: Il porf. Shlomo Avineri, dell’Università di Gerusalemme, autore di questo articolo