Le pericolose illusioni di Solana

Il responsabile esteri della UE non vuole prendere atto delle posizioni dellestremismo islamista

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1416Israele e i paesi dell’Unione Europea – è appena il caso di ricordarlo – spesso esprimono priorità politiche e interessi assai diversi. Non sorprende affatto ed è assolutamente legittimo che essi vedano da punti di vista diversi gli eventi in corso e che ne traggano conclusioni differenti su come affrontare le realtà in mutamento.
Ciò nondimeno Israele e UE si considerano fondamentalmente alleati in molti campi, compresa la lotta globale contro il terrorismo e le politiche a favore di maggiore democrazia e migliori diritti umani. E la UE, insieme a Stati Uniti, Russia e Nazioni Unite, costituisce uno dei membri di quel Quartetto che supervisiona i defatiganti sforzi per arrivare a una pace fra israeliani e palestinesi.
In questo contesto, lascia sbigottiti vedere quanto diversamente il capo della politica estera della UE Javier Solana veda alcune realtà di questa regione rispetto a come esse vengono percepite non solo dalla maggior parte degli israeliani, ma anche da molti osservatori esterni ben informati.
Solana, che sta compiendo una visita in vari paesi del Medio Oriente, è stato in Israele la scorsa settimana e giovedì ha concesso una breve intervista al Jerusalem Post, subito dopo una conferenza stampa congiunta con il ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni. Nel corso dell’intervista, ha fatto vaghi accenni al fatto che Israele avrebbe avuto la mano troppo pesante, e in certi casi si sarebbe comportato in modo controproducente, nell’imporre certe sanzioni ai palestinesi. In alcuni casi, ha detto, la comprensibile enfasi israeliana sulla sicurezza ha prodotto politiche che in realtà hanno minato la sua stessa sicurezza. E ha citato, a titolo di esempio, le procedure al valico di confine di Rafah (fra striscia di Gaza ed Egitto).
Non sono argomenti nuovi, ed anzi vengono spesso citati anche da critici israeliani. Così come vari critici, in Israele e all’estero, hanno sostenuto che la barriera difensiva fra Israele e Cisgiordania andasse costruita esattamente lungo la Linea Verde pre-’67. Ma sono ben pochi i sedicenti amici di Israele che sostengono, come fa Solana, che Israele non avrebbe dovuto costruire del tutto la barriera e che le centinaia di vite israeliane salvate da quella barriera si potevano salvare ricorrendo ad “altri mezzi”, non meglio specificati.
Circa l’Iran, Solana ha detto che la crisi per il programma nucleare di Teheran non è ancora arrivata in “zona rossa” ed ha risposto in modo assai fiacco alle domande su quanto seriamente Israele dovrebbe prendere la minaccia del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad di eliminarlo dalla carta geografica. Di nuovo, posizioni sono tutt’altro che uniche, sebbene sia degna di nota, in Solana, l’assenza totale di qualunque senso di urgenza e di indignazione.
Ma dove il pensiero di Solana appare più sorprendete, e più problematico, è nei suoi commenti sull’ideologia estremista islamica che tiene banco nel regime di Ahmadinejad ed è adottata da Hamas. Solana ha risolutamente sostenuto che Hamas potrebbe riconoscere Israele, basando questa sua speranza sul mutamento di posizioni che in passato avrebbe caratterizzato altre nazioni e organizzazioni mediorientali dapprima ostili.
Ciò che Solana non è sembrato disposto ad accettare è che l’imperativo islamista del tipo professato da Hamas e dell’Iran di Ahmadinejad preclude un tale cambiamento. Ha detto di “non poter immaginare” che una religione possa costringere qualcuno a cercare di distruggere un’altra nazione. Chiunque invochi la propria religione per un tale obiettivo, dice Solana, evidentemente ne fa abuso.
Ma non è esattamente questo ciò che fa Hamas? Non è esattamente questo ciò che hanno fatto gli attentatori dell’11 settembre? Non è esattamente questo il problema che il mondo libero si trova ad affrontare nella guerra al terrorismo?
Solana si è dimostrato un po’ irritabile quando le domande si sono fatte più pressanti su questo punto. Ha insistito nel sostenere che la “essenza” di Hamas non è la distruzione Israele, bensì la liberazione de palestinesi. E alla domanda su cosa esattamene Hamas possa intendere per “liberazione dei palestinesi”, ha risposto: “Giriamo intorno sempre alla stessa questione da vent’anni. Non ho perso la speranza che la gente cambi”.
Solana, naturalmente, ha tutto il diritto ad avere le sue opinioni. Ma sarebbe davvero spiacevole se la politica estera dell’Unione Europea fosse basata su quella che anche al più ottimista dei protagonisti appare come la fiducia, francamente indifendibile, in una spettacolare evoluzione nell’atteggiamento e nella mentalità di Hamas e dell’ estremismo islamista.
La politica, secondo la celebre frase di Bismarck, è l’arte del possibile. Una visione del Medio Oriente fondata sulla fede che Hamas cambi è tanto distante da quel “possibile” da non servire gli interessi di nessuno.

(Da: Jerusalem Post, 29.10.06)