Le (pessime) scelte di Trump rendono ancora più necessaria la deterrenza israeliana

Nella spietata realtà mediorientale, gli attacchi aerei israeliani su obiettivi militari in Siria e Iraq contribuiscono a prevenire una guerra aperta e devastante

Di Evelyn Gordon

Evelyn Gordon, autrice di questo articolo

Le recenti decisioni sul Medio Oriente del presidente degli Stati Uniti Donald Trump mettono sotto una nuova luce gli attacchi aerei compiuti dagli israeliani in Siria e (verosimilmente) in Iraq. In precedenza, questi attacchi aerei sembravano esclusivamente mirati a impedire all’Iran di creare nei due paesi infrastrutture militari tali da poter minacciare Israele. Ora si capisce che servivano anche a mandare un importante messaggio dissuasivo a Teheran: se l’Iran attaccherà Israele, Israele non esiterà a contrattaccare.

L’idea più diffusa era che quegli attacchi aerei, benché necessari per la difesa di Israele, rappresentassero tuttavia un rischio concreto di escalation. E questa, ovviamente, rimane una possibilità. Ma alla luce delle ultime mosse di Trump, potrebbero in realtà rendere la guerra meno probabile dal momento che fanno sapere a Teheran che Gerusalemme – a differenza, tanto del dire, dell’Arabia Saudita – non resterebbe con le mani in mano se subisse un significativo attacco iraniano come quello sferrato il mese scorso sulle strutture petrolifere saudite. La consapevolezza che Israele ha sia la capacità che la determinazione per reagire duramente potrebbe dissuadere l’Iran dal lanciare un tale attacco, malgrado ora sappia che non rischierebbe una risposta americana.

Per questo motivo, gran parte dell’enfasi su come le recenti decisioni di Trump si ripercuoteranno su Israele appare esagerata, anche se le decisioni in se stesse sono inequivocabilmente orrende. Sul piano strategico, il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria settentrionale abbandona quella zona nelle mani di attori pessimi (Turchia e/o Iran). Si tratta, inoltre, di un’atrocità sul piano morale in quanto abbandona i curdi alle “amorevoli cure” della Turchia, nonostante siano stati il partner più leale ed efficace dell’America contro lo Stato Islamico (ISIS). E poi viene dato al mondo il segnale che Washington non proteggerà i suoi alleati, riducendo così la motivazione ad essere alleati degli americani. L’inerzia di Trump quando l’Iran ha distrutto metà della capacità di lavorazione del petrolio dell’Arabia Saudita ha inviato un messaggio analogo.

Colonne di fumo da incendi di pneumatici appiccati dai curdi alla periferia della città di Tal Tamr (vicino a Ras al-Ayn) nel disperato tentativo di diminuire la visibilità degli aerei turchi che attaccano nella Siria nord-orientale

Ma, anche se per Gerusalemme è sempre un fatto negativo che l’America appaia in Medio Oriente debole o inaffidabile, tuttavia Israele si trova in una posizione molto diversa da quella dell’Arabia Saudita o dei curdi, perché Israele si è sempre ostinato a difendersi da solo anziché aspettarsi che fossero i soldati americani a combattere per suo conto. Da molto tempo, invece, l’Arabia Saudita dipende dalle truppe statunitensi per la sua difesa. Nonostante abbia acquistato attrezzature militari americane di ottimo livello per  miliardi di dollari, il suo esercito non è abbastanza grande né abbastanza competente per essere usato in modo efficace. Perciò, quando Trump mette in chiaro che non impegnerà le forze statunitensi per difendere l’Arabia Saudita, Riad ha un serio problema. I curdi, al contrario, hanno dimostrato una straordinaria volontà di difendersi. Ma il fatto di non avere un proprio stato significa non avere dotazioni militari cruciali, come una forza aerea, di cui avrebbero assoluta necessità per potersi difendere senza aiuto esterno. Ciò li rende dipendenti dalle forze statunitensi per fare quello che non possono fare da soli. Pertanto, quando Trump annuncia che le truppe americane non li proteggeranno più, i curdi hanno un serissimo problema.

Israele, per contro, dispone di un grande esercito equipaggiato con le migliori dotazioni militari che l’ingegno americano e israeliano abbia mai escogitato, unito alla comprovata determinazione ad usarlo, quando necessario, e all’esperienza per farlo. Quindi, quando le decisioni di Trump indicano che anche Israele non può fare affidamento sulle truppe statunitensi per la propria difesa, questo non è un gran problema: Israele non ha mai fatto affidamento sulle truppe statunitensi (né su quelle di chiunque altro). Certo, non mancavano degli israeliani che immaginavano che l’America si sarebbe occupata dell’Iran risparmiando a Israele la necessità di farlo. Ma gli israeliani realisti, come il primo ministro Benjamin Netanyahu, hanno sempre saputo che questa prospettiva non stava in piedi. Ed è esattamente questo il motivo per cui Netanyahu ha insistito per investire 11 miliardi di shekel (3,1 miliardi di dollari) nei preparativi per un eventuale raid contro l’Iran, qualora si rendesse necessario, nonostante le aspre critiche degli oppositori politici. L’Iran non è una superpotenza mondiale come l’Unione Sovietica, per contenere la quale Israele ha dovuto contare sull’America. L’Iran è una semplice potenza regionale, proprio come Israele.

Un caccia F-35 dell’aviazione israeliana

Inoltre, sebbene siano passati decenni dall’ultima volta che Israele ha dovuto fronteggiare in campo aperto un nemico formidabile come l’Iran, il fatto che i due paesi non condividano frontiere terrestri priva l’Iran del suo vantaggio più grande: la sua popolazione enormemente più grande, che gli consentirebbe di schierare molte più truppe di Israele. Se l’Iran potesse lanciare intere divisioni di carri armati contro i confini d’Israele, potrebbe riuscire a sopraffare Israele con la semplice forza dei numeri. Ma non può, perché per farlo dovrebbe attraversare tutto l’Iraq e la Giordania. Pertanto, qualsiasi combattimento tra Israele e l’Iran in prima persona (non stiamo parlando qui dei numerosi gregari dell’Iran sparsi nella regione) si limiterebbe a battaglie aeree e missilistiche, nelle quali la superiorità dell’equipaggiamento e delle capacità dell’aviazione israeliana controbilancerebbe il vantaggio missilistico iraniano. Né vi è motivo di temere – come pure ha sostenuto qualche esperto – che la riluttanza di Trump a schierare truppe americane in Medio Oriente significhi che si rifiuterebbe anche di rifornire Israele del materiale militare decisivo di cui dovesse restare a corto durante una guerra. Far rischiare la vita ai propri soldati sul terreno è cosa molto diversa dal fornire a un alleato le armi di cui ha bisogno per combattere da solo. E poi Israele gode ancora di un notevole sostegno al Congresso, che in passato si è rivelato fondamentale per garantirgli le armi di cui aveva vitale necessità.

Detto questo, però, siccome una guerra israelo-iraniana provocherebbe comunque drammatiche devastazioni in entrambi i paesi, è sicuramente molto meglio prevenirla. Ed è qui che entrano in gioco gli attuali attacchi aerei israeliani. L’Iran, nonostante la sua precisa volontà di innescare provocazioni militari, non ha mostrato nessuna propensione a rischiare gravi conseguenze militari sul proprio suolo. In effetti, ha sempre inasprito le sue azioni con molta attenzione, passando a nuovi livelli di scontro solo dopo essersi accertato, sulla base della mancata risposta agli attacchi precedenti, che poteva farlo in modo abbastanza sicuro. E finora ha avuto ragione. Anche l’attacco alle raffinerie saudite, il più grave fino ad oggi, non ha suscitato nessuna reazione militare da parte di Riad o di Washington. Ma anni di attacchi aerei israeliani contro obiettivi iraniani, o affiliati all’Iran, hanno invece dimostrato che lo stato ebraico non lascerebbe senza risposta un’aggressione iraniana e che qualsiasi escalation impressa dall’Iran andrebbe incontro a un’immediata reazione di pari livello. Basti ricordare, ad esempio, che – a quanto risulta – quando l’Iran ha allargato il campo di battaglia dalla Siria all’Iraq, Israele ha iniziato a colpire obiettivi iraniani anche in Iraq. Queste azioni mandano a Teheran il chiaro messaggio che qualsiasi grave attacco diretto contro Israele comporterebbe molto verosimilmente ritorsioni israeliane dirette contro l’Iran. Può ben darsi che questa consapevolezza dissuada l’Iran dal lanciare un simile attacco. Cosa doppiamente importante ora che Trump ha tirato fuori l’America dalla scena mediorientale.

(Da: jns.org, 17.10.19)