Le rivalità fra arabi ostacolano la tregua

È in gioco un intricato quadro di interessi contrapposti e lotte di potere

Da un articolo di Khaled Abu Toameh

image_2152Interessi contrapposti e lotte di potere all’interno dei territori palestinesi e del mondo arabo sono in parte responsabili per il ritardo nell’arrivare a un cessate il fuoco fra palestinesi e Israele. Hamas e altri palestinesi attribuiscono a Israele la responsabilità per il ritardo di un accordo sull’iniziativa egiziana per una tahdiyeh (periodo di calma). Ma non mancano palestinesi che sottolineano come, benché in parte questo sia vero, bisogna anche tener conto delle profonde divisioni fra palestinesi e fra leader arabi.
Sulla scena palestinese, notano queste fonti, la continua lotta di potere fra Fatah e Hamas così come le rivalità all’interno della stessa Hamas hanno finora contribuito a far fallire gli sforzi per raggiungere una tregua. Fatah teme che un cessate il fuoco possa consolidare definitivamente la presa di Hamas sulla striscia di Gaza, e incoraggiare il movimento islamista palestinese a cercare di allargare il suo controllo alla Cisgiordania. Inoltre una tregua darebbe a Hamas il tempo per “prendere il fiato” e ricostruire la sue istituzioni civili e militari. Sebbene i leader di Fatah sostengano ad alta voce un cessate il fuoco, diversi di loro esprimo riservatamente la speranza che le Forze di Difesa israeliane invadano la striscia di Gaza e rovescino il regime di Hamas.
All’interno di Hamas sono emerse differenze di opinione sul fatto se accettare o meno l’iniziativa egiziana, e a quali condizioni. Alcuni capi di Hamas, compreso il primo ministro (deposto) Ismail Haniyeh, spingono con determinazione verso l’accettazione delle condizioni poste da Israele, innanzitutto che l’ostaggio Gilad Schalit faccia parte dell’accordo. Invece altri capi di Hamas, come Khaled Mashaal, Mahmoud Zahar e Said Siam, continuano a insistere che il caso Schalit venga affrontato soltanto dopo l’entrata in vigore di una tregua. Ci sono poi i problemi che Hamas incontra con altre fazioni armate palestinesi. Almeno tre gruppi – la Jihad Islamica, le Brigate Martiri di al-Aqsa e i Comitati di Resistenza Popolare – continuano ad esprimere forti riserve sul piano egiziano. Alcuni leader di Hamas sono preoccupati che il loro movimento non sia in grado di convincere i tre gruppi a rispettare l’eventuale accordo di cassate il fuoco con Israele. “Anche se Hamas accettasse il piano di tregua – dice un analista politico palestinese di Ramallah – non c’è alcuna garanzia che possa imporre la sua volontà agli altri gruppi attivi nella striscia di Gaza. Ci ritroveremmo come ai tempi in cui Yasser Arafat e Mahmoud Abbas (Abu Mazen) avevano il controllo della striscia di Gaza ma non erano in grado di fermare i lanci di missili”.
Come non bastasse, anche le grandi fratture fra leader arabi vengono considerate un rilevante ostacolo a un accordo di tregua. Il presidente egiziano Hosni Mubarak ha assoluto bisogno di dimostrare agli Stati Uniti e al resto del mondo che il suo paese rimane uno degli attori più importanti in Medio Oriente. È convinto che un cessate il fuoco fra palestinesi e israeliani contribuirebbe a fargli guadagnare punti a Washington a nelle capitali dell’Unione Europea. Mubarak vuole che gli succeda suo figlio Gamal e sa che, per ottenere questo obiettivo, ha bisogno del sostegno di americani ed europei. Mubarak desidera anche riguadagnare all’Egitto lo status di paese arabo più influente, un ruolo che è stato assunto dal Qatar, dall’Arabia Saudita e da altri paesi arabi insignificanti. Mubarak è geloso del Qatar che il mese scorso è riuscito a risolvere la crisi politica libanese. Il Qatar viene ora salutato dagli arabi come il protagonista più influente nel mondo arabo. Mubarak è anche preoccupato che un altro paese arabo, e non l’Egitto, riesca a risolvere il conflitto fra Fatah e Hamas. Ecco perché si è offerto di ospitare al Cairo colloqui per la riconciliazione fra le due fazioni palestinesi.
Tuttavia, come sottolinea l’analista politico palestinese di Ramallah, è altamente improbabile che il presidente siriano Bashar Assad si disposto a permettere la il successo degli sforzi di Mubarak. Le relazioni fra Assad e Mubarak sono deteriorate al punto che i due hanno fatto chiaramente capire che non intendono più nemmeno farsi vedere nella stessa stanza. Assad sembra particolarmente irritato dall’apparente riavvicinamento fra il Cairo e Hamas, i cui leader principali fanno base a Damasco. I siriani vogliono che Hamas e altri gruppi estremisti palestinesi restino sotto il loro controllo così da poterli usare come moneta di scambio in futuri negoziati con Israele.
Anche i sauditi manovrano per avere un ruolo maggiore nel conflitto arabo-israeliano e all’inizio di giugno anche il re saudita Abdullah si è offerto di ospitare colloqui per la riconciliazione fra Hamas e Fatah, ricordando alle due parti l’accordo di “unità nazionale” che raggiunsero due anni fa alla Mecca sotto i suoi auspici (e le sue pressioni). E anche i governanti sauditi sono irritati con Assad il quale, sostengono, istiga Hamas a non ascoltare i consigli che arrivano da Ryad. Pare inoltre che anche i sauditi siano molto gelosi dei loro rivali del Qatar che hanno conseguito lo storico accordo fra le fazioni libanesi in guerra tra loro. Notizie relative al fatto che il Qatar sarebbe ora coinvolto in un tentativo di raggiungere un cessate il fuoco fra Israele e palestinesi avrebbero spinto i sauditi a fare pressione su Fatah e Hamas perché risolvano le loro divergenze e varino un governo di unità nazionale.

(Da: Jerusalem Post, 12.06.08)

Nell’immagine in alto: I logo di Fatah e Hamas sulla bandiera palestinese: entrambi riportano la mappa di una “Palestina” da cui Israele risulta cancellato