Le stesse facce

I negoziatori palestinesi ad Annapolis sono gli stessi che trattano da 14 anni, sempre sulle stesse posizioni

Da un articolo di Khaled Abu Toameh

image_1917Il motivo per cui tanti palestinesi restano scettici circa le prospettive della conferenza di pace di Annapolis ha a che vedere con la composizione della delegazione palestinese che sin è recata all’incontro. Guidata dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), la delegazione è composta da diversi stagionati esponenti, che conducono negoziati con Israele da almeno quattordici anni. Si tratta praticamente della stessa squadra che andò con Yasser Arafat al summit di Camp David del luglio 2000.
Oltre ad Abu Mazen, la delegazione palestinese ad Annapolis è guidata dall’alto funzionario di Fatah Ahmed Qurei (Abu Ala). I due furono tra i principali architetti degli Accordi di Oslo del 1993. Agli occhi di molti palestinesi (e di molti israeliani), quegli accordi non arrecarono altro che disastri e spargimenti di sangue a entrambe le popolazioni. In quanto ex primi ministri dell’Autorità Palestinese, sia Abu Mazen che Abu Ala non hanno fatto praticamente nulla per contrastare il terrorismo, per porre fine al caos e all’anarchia nelle strade palestinesi, per combattere la corruzione finanziaria.
Risulta inoltre che Abu Mazen e Abu Ala siano stati tra coloro che si prodigarono per dissuadere Arafat a Camp David dall’accettare le proposte israeliane e americane per la composizione definitiva del conflitto arabo-israeliano.
Altri tre alti funzionari che erano presenti a Camp David e che accompagnano oggi Abu Mazen ad Annapolis sono Saeb Erekat, Yasser Abed Rabbo e Nabil Sha’ath. Anche questi giocarono a suo tempo un ruolo nel convincere Arafat che le offerte di compromesso dell’allora primo ministro israeliano Ehud Barak e dell’allora presidente americano Bill Clinton fossero insufficienti.
Quasi tutti i membri della squadra negoziale palestinese a Camp David continuano ancora oggi a dare ad Israele tutta la colpa di quel fallimento. Nessuno di loro ha mai accennato a una qualche responsabilità di Arafat.
Molti palestinesi ancora oggi associano le figure di Sha’ath, Abed Rabbo e Abu Ala con la corruzione finanziaria e la cattiva gestione che caratterizzarono gli anni dell’Autorità Palestinese. In effetti, uno dei motivi per cui Hamas vinse le elezioni parlamentari nel gennaio 2006 fu proprio l’intramontabile presenza di questi funzionari nella cerchia più vicina a Abu Mazen. “E’ sempre la stessa gente che tratta a nostro nome – dice il rispettato direttore di un giornale palestinese di Ramallah – Francamente i membri della squadra negoziale palestinese non godono di molta credibilità fra i palestinesi. Anche se tornassero da Annapolis con un grande accordo, farebbero molta fatica a farlo accettare dalla maggior parte del loro pubblico”.
Difficile anche trovare qualche percettibile cambiamento nella posizione dei negoziatori palestinesi, che continuano ad attenersi alle stesse rivendicazioni che ripropongono da decenni: completo ritiro israeliano sui confini pre-67, scarcerazione di migliaia di detenuti palestinesi, rimozione di tutti gli ebrei che vivono nei territori, riconoscimento del “diritto al ritorno” dei profughi palestinesi (all’interno di Israele). Sette anni dopo il fallimento di Camp David, non c’è motivo di credere che i negoziatori palestinesi si apprestino a rendere più flessibile la loro posizione offrendo maggiori concessioni. Così come è improbabile che i negoziatori palestinesi intendano accettare qualunque cosa che sia meno di ciò che loro e Arafat rifiutarono a Camp David.
E se anche volessero, questi negoziatori non potrebbero presentare vedute diverse perché sarebbero immediatamente condannati come traditori dalle masse arabe e islamiche. Anche il pesante prezzo in vite umane che i palestinesi hanno pagato dallo scoppio della seconda intifada rende impossibile per qualunque negoziatore mostrare qualche flessibilità, per lo meno nel breve periodo. Anzi, con Hamas e altri gruppi estremisti palestinesi che gli fiatano sul collo, è probabile che Abu Mazen e i suoi negoziatori tendano a irrigidire ancora di più la loro posizione per dimostrare che non sono “arrendevoli” né “disfattisti” e che non “svendono” i diritti dei palestinesi.

(Da: Jerusalem Post, 27.11.07)