Le uccisioni di massa in America e l’esperienza israeliana in fatto di prevenzione

In Israele sono molte le persone armate, ma possesso e uso delle armi è severamente regolamentato e controllato (con il consenso dei cittadini)

Lo scorso fine settimana, in meno di 24 ore sono state uccise con armi da fuoco 22 persone a El Paso, in Texas, e nove persone a Dayton, in Ohio. Con la strage di Dayton, sale a 250 il numero di “uccisioni di massa” avvenute quest’anno negli Stati Uniti (il Dipartimento di giustizia americano definisce mass shooting, “uccisioni di massa con armi da fuoco”, quelle con almeno 3 morti escluso il killer).

Israele riesce per lo più a prevenire questo tipo di attacchi e, secondo gli esperti, può fornire utili indicazioni su come prevenirli in futuro. Sebbene siano molte le persone in Israele che posseggono o portano armi, si registrano molte meno sparatorie di massa, in proporzione alla popolazione, rispetto agli Stati Uniti, per via delle normative sulle armi assai più restrittive. Secondo le statistiche del governo israeliano, circa il 40% delle domande di porto d’armi vengono respinte. Quelle che vengono accettate riguardano principalmente casi in cui l’autorità che rilascia le licenze ritiene che la persona abbia un’esigenza specifica, come ad esempio gli israeliani che vivono in comunità afflitte da molti attacchi terroristici contro civili. Il porto d’armi in Israele deve essere regolarmente rinnovato e i detentori devono superare una valutazione psicologica sia prima di ricevere un’arma, sia dopo a intervalli prestabiliti.

Ciò non esclude l’esistenza di armi clandestine (un problema particolarmente grave nelle comunità arabe, ripetutamente denunciato dagli stessi rappresentanti della minoranza araba israeliana). Ma sia la polizia che la magistratura dispongono di strumenti tecnici e legislativi per contrastare il fenomeno. Proprio la scorsa settimana la polizia ha riferito che, nella prima metà del 2019, ha confiscato oltre 3.600 armi illegali e fermato migliaia di persone con accuse correlate.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, si stima che vi siano più armi da fuoco che abitanti. “L’America è un caso eccezionale a causa del suo atteggiamento nei confronti delle armi – dice a Media Line Jonathan Rynhold, vicedirettore del dipartimento di studi politici dell’Università Bar-Ilan – Qualsiasi altro paese considererebbe questa situazione come una minaccia al benessere dei cittadini e imporrebbe maggiori restrizioni al possesso di armi”. Oltre al più stretto controllo sulle armi che pone limita a chi può possedere e portare un’arma, Rynhold rileva che Israele considera le uccisioni di massa in modo diverso rispetto a Washington, e quindi investe più risorse per prevenirle. “In Israele si tratta di un problema di sicurezza nazionale, poiché le uccisioni di massa sono considerate attentati terroristici. In America le si considera un problema di sicurezza personale, ma gli Stati Uniti investono la maggior parte delle risorse in quella che considerano sicurezza nazionale”.

Danny Yatom

Secondo Danny Yatom, ex direttore dell’agenzia di intelligence israeliana Mossad, è tempo che gli Stati Uniti cambino atteggiamento nei confronti della violenza armata. “Probabilmente gli Stati Uniti dovrebbero considerarla come un attacco terroristico anche se la persona che preme il grilletto è cittadino americano – spiega Yatom a Media Line – L’assassino possiede e usa armi atte a trucidare persone innocenti, e questo non è altro che terrorismo”. Aggiunge Yatom: se l’America, per fermare questa violenza armata, investisse la stessa quantità di denaro e risorse che investe per prevenire attentati terroristici in stile al-Qaeda, potrebbe avere molto più successo nel contenere questo genere di incidenti. Yatom esprime apprezzamento per la risposta tattica delle squadre speciali statunitensi SWAT; ma il loro problema principale, dice, è che intervengono a incidente iniziato, quando ci sono le prime vittime ed è già troppo tardi. “Il primo e principale elemento per riuscire a sventare gli attacchi terroristici è raccogliere accurate informazioni di intelligence in tempo reale”, afferma Yatom sulla base della sua esperienza diretta. Ad esempio nel caso della sparatoria in Texas, Yatom sottolinea come il problema più grande sia stata l’incapacità delle forze dell’ordine di cogliere per tempo sui social network i messaggi che indicavano che l’assassino stava per compiere un attacco.

Yatom esorta il governo degli Stati Uniti a sviluppare un sistema in grado di “setacciare” i social network e segnalare gli individui che potrebbero essere potenziali stragisti. E sono necessarie leggi che consentano alle autorità di fermare e interrogare un sospetto prima che compia una sparatoria. Yatom raccomanda inoltre di posizionare guardie armate agli ingressi dei luoghi pubblici frequentati dal pubblico generale, analogamente a quanto avviene in Israele dove il governo spesso copre le spese per le compagnie di sicurezza private. “Avere guardie armate, ben addestrate ad affrontare le persone che si accingono a sparare su innocenti, può far fallire sul nascere molti di questi tentativi stragisti” afferma Yatom, che ha anche qualche consiglio pratico da dare a coloro che gestiscono luoghi pubblici e a coloro che si trovassero in un luogo dove entra in azione un tiratore assassino. Ai primi suggerisce di identificare e proteggere i punti vulnerabili dei loro fabbricati e di installare metal detector. Si possono anche costruire ostacoli fisici, come una palizzata, in modo che vi siano solo uno o due punti d’accesso. “Questo aiuta – spiega – perché è più facile mettere in sicurezza un minor numero di luoghi, il che vale anche per scuole e università”. Ai civili che si trovassero coinvolti, Yatom consiglia che le persone armate tentino di fermare il killer solo se sono addestrate a farlo. Per tutti gli altri, la raccomandazione è di cercare di nascondersi e chiamare le autorità il più rapidamente possibile, dando molti dettagli sulla situazione.

(Da: Jerusalem Post, 5.8.19)

Haviv Rettig Gur

Scriveva Haviv Rettig Gur su Times of Israel, dopo la strage nella scuola Marjory Stoneman Douglas di Parkland, in Florida: Gli israeliani sono ben armati, ovviamente, ma con una differenza fondamentale rispetto agli Stati Uniti: in Israele, le armi sono strettamente controllate e attentamente monitorate dallo stato. Gli israeliani devono soddisfare una lista dettagliata di criteri per poter detenere un’arma da fuoco. Devono chiedere allo stato una licenza, possono possedere solo un’arma alla volta e devono chiedere il permesso anche per rivenderla. Il Dipartimento che rilascia le licenze non è un semplice passacarte: circa il 40% delle domande viene respinto. In effetti, già per inoltrare la domanda un israeliano deve rispondere a precisi requisiti preliminari come un’età minima, essere sano di mente, non avere precedenti penali. Di più. Una volta ottenuto il diritto di portare un’arma, gli israeliani possono possedere solo 50 proiettili alla volta. Prima di acquistarne di nuovi devono avere usato o restituito quelli vecchi, un processo che può avvenire solo in poligoni di tiro strettamente regolamentati in cui la vendita di ciascun proiettile è accuratamente registrata. Il tipo di arma consentito dipende poi dal motivo della licenza. Vale a dire, un veterinario può acquistare solo un’arma approvata dal governo per l’uccisione di animali; una licenza di cacciatore consente solo l’acquisto di un’arma che figura in un elenco approvato dall’Authority dei Parchi e così via. In altre parole, come spiega il Ministero della pubblica sicurezza sul suo sito web, la legge israeliana “non riconosce il diritto di portare armi, e chiunque voglia farlo deve rispondere a una serie di requisiti a cominciare da una giustificata necessità”.

Fra gli israeliani non c’è assolutamente l’idea che i cittadini siano autorizzati a possedere armi come un modo per tenere sotto controllo il potere del governo, cioè come un limite alla sovranità dello stato che si esprime nel monopolio sull’uso della forza. In effetti, il confronto tra i regimi di controllo sulle armi negli Stati Uniti e in Israele mette in luce alcune differenze fondamentali tra le due società. Innanzitutto, gli israeliani tendono molto di più a fidarsi del potere statale rispetto agli americani. Quando si tratta di armi, gli israeliani vogliono una società ben difesa e si aspettano che lo stato gestisca le cose in modo tale che siano armate solo le persone giuste. In altre parole, gli israeliani non sono armati contro lo stato, ma sono armati dallo stato contro minacce esterne, come gli attacchi terroristici. Al contrario, per gli americani sostenitori delle armi il diritto al possesso delle armi è, in sostanza, un diritto a difendere se stessi dallo stato (nel sud, in particolare, un retaggio della sconfitta nella guerra di secessione) e dai propri vicini di quartiere.

Nonostante le loro profonde divisioni sociali e politiche, gli ebrei israeliani mantengono una fede profonda e costante nel loro destino condiviso e nella solidarietà comunitaria. Dopo l’esperienza ebraica del genocidio del XX secolo, lo stato israeliano rappresenta per loro uno strumento di azione collettiva che li ha letteralmente salvati dall’annichilimento. Uno stato potente è quindi sinonimo di sicurezza nazionale e sicurezza personale.

La battaglia sul possesso delle armi in America è in realtà una battaglia sul potere nella società: pressione statalista contro pressione individualista, in competizione tra loro per modellare l’etica della società americana. Al governo federale è letteralmente vietato tenere traccia delle vendite di armi, perché sapere dove si trovano le armi permetterebbe di sottrarle ai proprietari. Quindi, mentre lo stato israeliano concede ai suoi cittadini il permesso di portare armi da fuoco come parte di una strategia di sicurezza nazionale a più livelli che vede un gruppo di cittadini armati, accuratamente selezionato e ancor più attentamente regolamentato, come una delle diverse linee di difesa contro gli attacchi terroristici, viceversa allo stato americano non è nemmeno permesso sapere in modo attendibile quali americani sono armati o con che cosa.
(Da: Times of Israel, 1.3.18)