L’era post-tregua

Prima parte: Vantaggi e svantaggi dei sei mesi di “calma”

di Alex Fishman

image_2350È già troppo tardi per un’azione anti-terrorismo nella striscia di Gaza: Hamas ha completato l’istituzione di un braccio strategico a lunga gittata, ha creato un sistema di fortificazioni nel territorio sotto il suo controllo e ha rafforzato i tunnel sotterranei come strumento per aggirare i passaggi di frontiera della striscia di Gaza. Tutti i “limiti invalicabili” che Israele non intendeva permettere ai palestinesi nella striscia di Gaza di varcare sono già stati superati.
Inoltre, siamo alla vigilia di elezioni, la situazione politica quaggiù è delicata, una nuova amministrazione si appresta a prendere funzione in America, e l’inverno si avvicina con il suo fango e le sue nubi.
Abbiamo perso il treno. Ora non c’è più ragione di affrettarsi: si deve aspettare che si formi il nuovo governo a Gerusalemme, nella speranza che sia in grado di prendere decisioni. Fino ad allora, la condotta di Israele rispetto alla striscia di Gaza continuerà ad informarsi allo schema delle reazioni singole ai singoli eventi sul terreno.
Ciò che è più frustrante, in tutta questa storia, è il fatto che anche i palestinesi sanno che Israele non invaderà la striscia di Gaza nel vicino futuro, e che non vi sono chance che possa imporre un prezzo pesante per i continui attacchi sui civili israeliani che vivono attorno alla striscia di Gaza. I palestinesi sono così sicuri dell’auto-contenimento israeliano che si permettono di continuare a fare fuoco.
Stando così le cose, davvero non sorprende che mercoledì scorso, alla vigilia della scadenza del periodo di calma, siano piovuti su Israele circa 25 missili Qassam. Era esattamente ciò che ci si doveva attendere anche per i giorni successivi.
Hamas ha stabilito nuove regole del gioco con Israele in vista dell’era “post-tregua”, e Israele subisce l’iniziativa di Hamas anziché rompere queste nuove regole. Come ha detto mercoledì scorso un alto ufficiale israeliano, “se dovremo infliggere a Hamas una serie di colpi pesanti per rimetterla in riga, lo faremo; ma non c’è ragione di accelerare una escalation: tutto verrà fatto in modo misurato, analitico e ponderato”.
Nel tirare le somme dei sei mesi di “tregua” bisogna essere onesti e ammettere che ha comportato anche un certo numero di vantaggi, soprattutto sul fronte diplomatico. Se non fosse stata in vigore la “tregua” e Israele si fosse imbarcato in un’operazione anti-terrorismo nella striscia di Gaza, oggi non avremmo più Mahmoud Abbas (Abu Mazen), non avremmo alcun governo Fayyad, non vi sarebbero negoziati, e l’Autorità Palestinese sarebbe già collassata.
Invece, ciò a cui assistiamo è un netto un miglioramento dello status dell’Autorità Palestinese, e la vediamo muoversi con efficacia contro Hamas. La situazione economica in Cisgiordania è migliorata, un milione e mezzo di turisti l’hanno visitata nell’anno trascorso e non c’è più anarchia per le strade.
D’altra parte, il processo di riconciliazione nazionale fra palestinesi è franato all’ombra della “tregua”. Il 9 gennaio 2009, quando Hamas non riconoscerà più neppure formalmente la presidenza di Abu Mazen, ci troveremo di fronte a una situazione che vedrà due stati per un solo popolo (nella striscia di Gaza e in Cisgiordania): si vedranno due governi, due eserciti, due sistemi giuridici e due differenti regimi con diverse fonti d’autorità. Siamo sicuri che sia uno sviluppo negativo?
(1. continua)

(Da: YnetNews, 18.12.08)

Per la seconda parte di quest’analisi vedi: