Lerrore del processo di pace

Aver creduto di poter fare la pace con una dittatura.

Da un articolo di Natan Sharansky

image_1096La vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi costituisce la logica conseguenza di un “processo di pace” lungo più di dieci anni che ha completamente ignorato cosa stava accadendo nella società palestinese. Anziché vincolare seriamente il processo di pace all’edificazione di una società libera tra i palestinesi, il mondo democratico, Israele compreso, ha preferito chiudere un occhio quando la società civile palestinese veniva svuotata dall’interno, le sue strade finivano sotto il controllo di teppisti armati, la sua gioventù veniva indottrinata a glorificare gli attentati suicidi e a detestare Israele, l’America, gli ebrei e i cristiani.
La comunità internazionale ripeteva come un disco rotto la sua superficiale formula per la pace. Legittimazione internazionale, concessioni israeliane e miliardi di dollari in aiuti sono stati usati per rafforzare L’Autorità Palestinese di Yasser Arafat e Mahmoud Abbas (Abu Mazen) – i “moderati” che avevano apparentemente rinunciato alla violenza e accettato l’esistenza di Israele – nell’intento di isolare i gruppi estremisti come Hamas.
Il risultato delle elezioni palestinesi è il frutto dell’approccio fallimentare alla costruzione della pace, tradotto in nient’altro che sostegno a una dittatura corrotta. Il mondo ha creduto che premere seriamente sui leader palestinesi perché varassero autentiche riforme avrebbe solo indebolito l’Autorità Palestinese al suo interno, rafforzando Hamas. È vero esattamente il contrario. Astenendosi dall’incalzare l’Autorità Palestinese perché dedicasse a migliorare la vita dei palestinesi, Stati Uniti, Israele e Unione Europea e altri soggetti coinvolti nel processo di pace si sono resi indegni agli occhi dei palestinesi che vedevano solo peggiorare le proprie condizioni di vita
Quando Arafat è morto, ho sperato che si potesse intraprendere un nuovo corso. Non è andata così. Ad Abu Mazen non venne detto senza mezzi termini che, senza serie riforme, avrebbe perso il sostegno del mondo. Al contrario, ricevette luce verde quando dichiarò spudoratamente che si rifiutava di fronteggiare i gruppi terroristi.
Da parte sua il governo israeliano, incoraggiato dalle calorose lodi della comunità internazionale, si è imbarcato in una insensata politica di concessioni unilaterali che, come paventavo quando mi dimisi dal governo nel maggio scorso, ha solo rafforzato le forze del terrore all’interno della società palestinese.
Per il mondo esterno, i palestinesi oggi hanno scelto il partito del terrore rispetto al partito della pace. Ma agli occhi di molti palestinesi, la differenza fra Hamas e il “moderato” Fatah non sta tanto nell’opinione su Israele. In effetti, satelliti di Fatah come Tanzim e Brigate al-Aqsa non sono meno responsabili per il terrorismo anti-israeliano di quanto non siano Hamas e Jihad Islamica. In effetti, la figura dominante sulla lista di Fatah era Marwan Barghouti, un uomo che sta scontando cinque ergastoli in un carcere israeliano per il ruolo svolto in attentati terroristici.
No, la vera differenza per i palestinesi è che un’Autorità Palestinese governata da Fatah è giustamente vista come un organismo corrotto e irresponsabile che non ha fatto nulla e avrebbe continuato a non fare nulla per migliorare la vita dei palestinesi, mentre Hamas appare incontaminata dalla corruzione ed è apprezzata per aver fornito concreti servizi sociali. Dal momento che il voto poneva una scelta fra terroristi corrotti interessati soltanto a se stessi e terroristi onesti che si interessano anche degli altri, come può sorprendere che Hamas abbia ottenuto una vittoria così netta?
Ritengo che molti palestinesi che hanno votato per Hamas hanno votato per la fine della corruzione, per ripristinare legge e ordine e per attuare vere riforme. Lo slogan scelto da Hamas per la campagna elettorale non era “buttiamo a mare gli ebrei”, bensì “cambiamento e riforme”. Il paradosso è che l’unico partito che i palestinese considerano credibile sul programma delle riforme interne è un’organizzazione terroristica votata alla distruzione di Israele e che definisce il presidente George W. Bush “nemico di Dio” e “nemico dell’islam”.
Ora che la corrotta dittatura dell’Autorità Palestinese è collassata e che va al potere un’organizzazione terroristica che cavalca un’onda di risentimento verso lo stato delle cose, al mondo libero si presenta l’occasione per ripristinare una grado di chiarezza morale rispetto al processo di pace. Il mondo deve vincolare il proprio sostegno al nuovo regime a due condizioni irremovibili. Primo, Hamas deve esplicitamente abbandonare l’obiettivo di distruggere Israele e rinunciare l terrorismo. Secondo, deve dedicarsi alla costruzione di una società libera per i palestinesi.
Per dodici anni Israele e il resto del mondo hanno imposto la prima condizione, ignorando l’evidenza ogni volta che veniva violata. Per quanto riguarda la seconda condizione, non solo le riforme democratiche venivano considerate irrilevanti per la pace, ma anzi veniva considerato essenziale sostenere una corrotta dittatura.
Se il nuovo regime palestinese non si atterrà a queste condizioni, il mondo libero, Israele compreso, dovrà affrontarlo attivamente negandogli legittimità, fondi e concessioni. Ma dobbiamo anche cercare il modo di sostenere ogni palestinese, singolo individuo o organizzazione, che invece aderisca a quelle condizioni.
Mi auguro che la politica per la promozione della democrazia in Medio Oriente non abbia subito un colpo fatale. Come tante decine di milioni di altri arabi nella regione, sono innumerevoli i palestinesi che aspirano a un futuro migliore, e noi dobbiamo cercare ogni modo per lavorare con loro. Se non lo faremo, non solo finiremo per tradirli un’altra volta, ma anche col mettere in pericolo noi stessi.

(Da: International Herald Tribune, 1.02.06)