L’errore dell’America

La posizione di Washington si basa su presupposti errati

di Giora Eiland

image_2505Da alcune settimane i commentatori ci dicono che, se solo Israele accettasse la posizione americana circa la soluzione “a due stati”, sarebbe possibile progredire in modo rapido e sicuro verso un accordo sulla composizione definitiva del conflitto. Questa teoria si basa su almeno sette postulati, tutti errati. Se l’amministrazione degli Stati Uniti avesse intrapreso una reale analisi e valutazione dei postulati che stanno alla basa di quella soluzione, forse sarebbe arrivata a conclusioni differenti.
Quali sono dunque questi sette postulati?
1. “Creare uno stato palestinese sulle linee dei confini armistiziali del 1967 costituisce l’essenza delle aspirazioni nazionali palestinesi”. È vero che i palestinesi vogliono sbarazzarsi dell’occupazione israeliana, ma un piccolo stato diviso in due, la cui creazione li obbligherebbe ad accettare la fine del conflitto e di tutte le altre loro rivendicazioni, lungi dall’essere la massima aspirazione nazionale dei palestinesi è piuttosto il loro peggiore incubo. Avrebbero potuto assicurarsi un tale stato già almeno tre volte, in passato (nel 1937, nel 1947 e nel 2000), ma per tre volte hanno rifiutato l’offerta con disprezzo. In base a che cosa si presuppone che l’ethos palestinese, fondato su “bisogno di giustizia”, “desiderio di rivalsa e di vendetta”, pieno riconoscimento del loro “martirio” e soprattutto del “diritto al ritorno”, sia improvvisamente cambiato?
2. “Il gap tra le posizioni israeliane e palestinesi è sormontabile”. La realtà è diversa: il massimo che un governo israeliano (qualunque governo israeliano) può offrire ai palestinesi sopravvivendo politicamente e molto lontano dal minimo che un governo palestinese (qualunque governo palestinese) potrebbe accettare sopravvivendo politicamente.
3. “Egitto e Giordania vogliono veder risolto il conflitto israelo-palestinese e pertanto daranno il loro contributo in questo senso”. La realtà è un’altra: sia Egitto che Giordania preferiscono che permanga lo status quo attuale in cui il conflitto permane e loro possono continuare a darne la colpa a Israele. Finché esiste il conflitto, l’Egitto ha il migliore alibi per i suoi guai interni e regionali. Mentre per i giordani uno stato palestinese confinante, molto probabilmente sotto il controllo di Hamas, segnerebbe la fine del regno hashemita.
4. “Un accordo sullo status finale porterebbe stabilità e sicurezza in tutta la regione”. È vero esattamente il contrario: la frustrazione che verrebbe generata da tale situazione (certamente nella striscia di Gaza) unita al fatto che Israele si ritroverebbe spogliato dei suoi “confini difendibili” sarebbe un’evidente fonte di instabilità, se non una vera e propria ricetta per la guerra.
5. “Oggi si presenta un’occasione che non va perduta”. Se confrontiamo la situazione che prevale oggi con la situazione che prevaleva nel 2000 arriviamo alla chiara conclusione che, allora, le possibilità di arrivare a un accordo erano molto più grandi che adesso. Eppure non vi si arrivò. Come è possibile arrivare oggi a un accordo su Giudea e Samaria (Cisgiordania), per non dire sulla striscia di Gaza, quando Hamas è la forza predominante in campo palestinese?
6. “Progressi sul fronte palestinese sono vitali per ottenere l’appoggio degli stati arabi contro l’Iran”. Qual è il nesso fra le due questioni? Gli stati arabi (come l’Egitto e l’Arabia Saudita) hanno per proprio conto il massimo interesse a contenere l’Iran, indipendentemente dalla questione palestinese.
7. “C’è una sola soluzione al conflitto”. Su cosa si basa questo postulato? Quand’è stata l’ultima volta che si è condotta, negli Stati Uniti o altrove, un’approfondita analisi sul tutta la gamma delle possibilità? Non è difficile illustrare soluzioni alternative che vedano comunque i palestinesi non più sotto controllo israeliano.
Purtroppo le conclusioni dell’amministrazione Obama, indipendentemente da come siano state raggiunte, appaiono già nette e definitive. Ma le possibilità di assicurare un accordo finale sulla base della formula “due stati” e di attuarlo con successo non sono molto maggiori delle prospettive di successo che si avevano nel 1993 (Oslo), nel 2000 (Camp David) e nel 2007 (Annapolis). Non resta che sperare che il fallimento pressoché certo di questo approccio non comporti ramificazioni negative su altri fronti, come lo sforzo di frenare l’Iran o i legami fra Stati Uniti e Israele.

(Da: YnetNews, 26.05.09)

Nella foto in alto: Nella Giornata della Naqba, ai bambini palestinesi viene insegnato che “l’ingiustizia da cancellare” è la nascita di Israele, 61 anni fa. La mappa coi colori della bandiera palestinese rafforza l’aspirazione a cancellare Israele dalla carta geografica