L’esame del proiettile non ha dato esito conclusivo

Ma chi aveva condannato Israele sin dal primo giorno per la morte della giornalista di Al Jazeera continuerà a farlo senza nessun bisogno di prove e riscontri

Di Lahav Harkov, Maurice Hirsch

Lahav Harkov

L’esame forense del proiettile che ha colpito la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh non ha potuto produrre una conclusione scientificamente definitiva. Ma per Israele il danno è già fatto, perché i suoi nemici avevano già emesso la sentenza e non accettano obiezioni. La giornalista di Al Jazeera, già in vita un’icona in molti ambienti arabi, è diventata una martire palestinese quando è stata colpita a morte l’11 maggio scorso durante scontri a fuoco a Jenin fra terroristi e soldati israeliani. I sostenitori della causa palestinese hanno immediatamente stabilito che era stata uccisa da Israele e molti hanno sostenuto fin da subito, e continuano a sostenere, che è stata uccisa intenzionalmente. L’uccisione della reporter ha ricevuto un’attenzione di gran lunga sproporzionata rispetto a tutti i suoi numerosi colleghi rimasti uccisi nei conflitti in varie parti del mondo, anche negli ultimi mesi in Ucraina.

La CNN, il Washington Post e il New York Times hanno tutti pubblicato proprie indagini basate su dati di intelligence open source (OSINT), arrivando alla conclusione che il colpo fatale è stato sparato da una posizione dove si trovavano soldati israeliani. Il New York Times, tuttavia, ammette espressamente ciò che vale per tutte e tre le inchieste giornalistiche: e cioè che permangono molti aspetti non chiari o del tutto sconosciuti, che le indagini non sono conclusive e che vi sono anche alcune evidenze (ad esempio, la distanza da cui probabilmente è stata colpita Abu Akleh) che contraddicono la tesi che attribuisce la responsabilità a Israele. Altri, come il blog Elder of Ziyon da tempo specializzato in contro-analisi giornalistiche, hanno esaminato a fondo i reportage dei mass-media rilevando falle e lacune in molte delle loro affermazioni, nonché posizioni pregiudiziali in alcune delle organizzazioni OSINT su cui i reportage hanno fatto affidamento.

Shireen Abu Akleh è immediatamente diventata una “martire” palestinese e nulla potrà mai scalfire o introdurre il minimo dubbio nella versione che accusa Israele di deliberato assassinio

L’assunto, per tutti coloro che non erano già saltati alle conclusioni, era che la verità sarebbe rimasta ignota a tutti tranne forse all’Autorità Palestinese, che si rifiutava di mettere a disposizione il proiettile. L’Autorità Palestinese ha sostenuto inequivocabilmente sin dal primo giorno che la giornalista era stata uccisa da Israele. Washington, che è interessata alla questione non solo per ragioni di politica estera ma anche perché Abu Akleh era pure cittadina statunitense, ha infine convinto Ramallah a consegnare domenica il proiettile per un’analisi indipendente. Israele, che aveva avviato sin dall’inizio una propria indagine militare sulla doppia ipotesi che la giornalista fosse stata colpita per sbaglio da un proprio soldato o da uno dei numerosi colpi sparati a caso dai terroristi palestinesi, ha potuto condurre un esame del proiettile alla presenza di un osservatore statunitense. Alla fine, sia il Dipartimento di Stato americano che le Forze di Difesa israeliane hanno affermato che il proiettile risulta troppo danneggiato perché l’esame forense possa emettere un verdetto conclusivo. Entrambi hanno anche affermato che è evidente che nessun soldato israeliano ha sparato intenzionalmente ad Abu Akleh. Il Dipartimento di Stato ha tuttavia aggiunto che, in base a un’analisi dei risultati delle indagini sia israeliana che palestinese nonché della sua inchiesta, “è probabile” che il colpo fatale sia partito “dalle posizioni delle Forze di Difesa israeliane”. Dal canto loro, sia le Forze di Difesa israeliane che il ministro della difesa Benny Gantz hanno dichiarato che proseguiranno le indagini. In effetti, la possibilità che sia stato un colpo israeliano a uccidere Abu Akleh non viene esclusa dalle Forze di Difesa israeliane, la cui dichiarazione tuttavia non si spinge fino a definire “probabile” la circostanza, come fanno invece gli Stati Uniti. Allo stato attuale, può darsi che non si possa arrivare a una risposta conclusiva e che si debba sfortunatamente convivere con il dubbio.

Ma tutto questo non conta per i palestinesi e i loro compagni di viaggio, evidentemente poco avvezzi a coltivare il dubbio. La tesi secondo cui Israele è sicuramente il colpevole si è immediatamente e largamente affermata senza attendere né prove né perizie forensi. E’ del tutto ragionevole pensare che se anche l’indagine avesse assolto la parte israeliana, i palestinesi e i loro sostenitori avrebbero continuato a sostenere il contrario, accusando gli americani di essere di parte e l’indagine di essere arbitraria. Dopotutto, è esattamente quello che stanno facendo circa la presunta intenzionalità dell’uccisione: nessuno in campo palestinese ha smesso di sostenere che Israele l’ha fatto apposta, nonostante le indagini del Dipartimento di Stato e delle Forze di Difesa israeliane lo abbiano fermamente escluso. Allo stesso modo, l’esito non conclusivo dell’esame forense del proiettile non fermerà e anzi probabilmente fomenterà ulteriormente l’ondata di accuse contro Israele in tv, sulla stampa e sui social network, con attivisti sempre più impegnati a sfruttare l’evento per cercare di delegittimare lo stato ebraico.

Dal canto suo, subito dopo le dichiarazioni simultanee del Dipartimento di Stato e delle Forze di Difesa israeliane, il primo ministro in carica Yair Lapid ha espresso “dolore” per la morte di Abu Akleh, ha ribadito che Israele “rispetta l’importanza della libertà di stampa e la salvaguardia dei giornalisti mentre svolgono il loro lavoro”, ma ha anche ricordato che purtroppo “sono centinaia i giornalisti rimasti uccisi negli ultimi anni nelle zone di combattimento in tutto il mondo”. Allo stesso tempo, Lapid ha anche sottolineato che Israele non si farà intimidire dalle reazioni alla tragica uccisione involontaria di Abu Akleh. “Le Forze di Difesa israeliane – ha detto – continueranno a combattere il terrorismo in ogni momento e in ogni luogo dove sia necessario”, confermando il pieno appoggio del  governo “ai soldati che ogni giorno rischiano la vita per difendere i cittadini di Israele dal terrorismo”.

(Da: Jerusalem Post, 4.7.22)

 

Ram Ben Barak, presidente della Commissione esteri e difesa della Knesset

Il proiettile testato durante l’esame forense supervisionato dagli Stati Uniti lo scorso fine settimana, nel tentativo di determinare chi ha sparato il colpo che ha ucciso la giornalista americana-palestinese Shireen Abu Akleh, potrebbe non essere quello giusto. E’ l’ipotesi avanzata martedì dal presidente della Commissione esteri e difesa della Knesset Ram Ben Barak (di Yesh Atid) in un’intervista a radio Galei Tzahal. “L’affermazione che dal proiettile non si può determinare da quale arma è stato sparato e chi ha colpito – ha detto Ben Barak – potrebbe indicare che si tratta del proiettile sbagliato“. Ben Barak ha precisato che la sua ipotesi si basa semplicemente sulle dichiarazioni pubbliche rilasciate dal Dipartimento di Stato e dalle Forze di Difesa israeliane secondo le quali il proiettile è troppo danneggiato per condurre i test che potrebbero collegare la sua “marcatura” all’arma che lo ha sparato. Senza la marcatura e senza un esame del DNA, ha detto Ben Barak, è impossibile sapere “se questo è effettivamente il proiettile che ha colpito la giornalista”. Dal canto suo, l’Autorità Palestinese ha immediatamente respinto le conclusioni dell’esame forense americano e israeliano, insistendo che il proiettile non è danneggiato e che la sua indagine ha già dimostrato che le Forze di Difesa israeliane hanno deliberatamente sparato su Abu Akleh.
(Da: Jerusalem Post, 5.7.22)

 

Maurice Hirsch

Scrive Maurice Hirsch: Poiché i risultati dell’indagine imparziale degli Stati Uniti sull’uccisione di Abu Akleh non la soddisfano, l’Autorità Palestinese li respinge garantendo che continuerà a sostenere la sua tesi preconcetta anche se non suffragata dai riscontri, e che cercherà di perseguire Israele davanti alla Corte penale internazionale.

Sin dal primo giorno, nonostante la mancanza di prove e persino ignorando i risultati iniziali del proprio anatomopatologo, l’Autorità Palestinese ha accusato Israele d’aver intenzionalmente ucciso la giornalista.  Dopo essersi rifiutata a lungo di collaborare, l’Autorità Palestinese ha infine accettato di mettere a disposizione della squadra investigativa statunitense per 24 ore il proiettile che afferma d’aver estratto dal corpo di Abu Akleh. Ma poiché i risultati dell’esame statunitense non avvalorano le accuse contro Israele, l’Autorità Palestinese ha deciso di ignorare le conclusioni degli Stati Uniti e di continuare a sostenere che ci sono “prove conclusive” secondo cui Israele ha intenzionalmente assassinato Abu Akleh.

Nabil Abu Rudeineh, portavoce presidenziale dell’Autorità Palestinese: “Non accetteremo in nessun caso la manipolazione dei risultati delle indagini palestinesi e continueremo le procedure sul suo assassinio nei tribunali internazionali, in particolare la Corte penale internazionale, poiché Israele è responsabile della sua uccisione e deve subirne le conseguenze”.
(Da: WAFA, agenzia di stampa ufficiale dell’Autorità Palestinese, edizione inglese, 4.7.22)

Anche il Ministero degli esteri dell’Autorità Palestinese ha respinto le conclusioni americane dicendo che sono vaghe e politicizzate e che metteranno in pericolo “i giornalisti di tutto il mondo”:

“Non c’è quantità di vaghezza e politicizzazione che possa scagionare gli assassini, insabbiare il crimine e nascondere la verità. Questo insabbiamento non farà che istituzionalizzare ulteriormente l’inveterata impunità di Israele, continuerà a negare giustizia al popolo palestinese, minaccerà la sicurezza e la vita dei giornalisti in Palestina e avrà anche un impatto negativo sulla sicurezza dei giornalisti in tutto il mondo”.

Affermando che “i fatti palestinesi e internazionali confermano senza dubbio la responsabilità dell’esercito israeliano”, la dichiarazione del Ministero degli esteri aggiunge che l’Autorità Palestinese

“proseguirà imperterrita i suoi sforzi a livello internazionale, compresa la Corte penale internazionale, perché rispondano dei loro crimini coloro che hanno ordinato e coperto questo consolidato trend criminale”.
(Da: WAFA, agenzia di stampa ufficiale dell’Autorità Palestinese, edizione inglese, 4.7.22)

La Procura dell’Autorità Palestinese, responsabile della conduzione delle indagini di Ramallah sull’uccisione, ha attaccato il rapporto degli Stati Uniti sostenendo che le conclusioni della Procura stessa, secondo cui Israele ha deliberatamente preso di mira Abu Akleh, sono “basate su una serie di prove inconfutabili, che includono perizie, analisi e testimonianze oculari”:

“I risultati precedentemente annunciati delle indagini della Procura sul caso dell’assassinio della martire Shireen Abu Akleh si basano su una serie di prove inconfutabili, che includono perizie tecniche, analisi e testimonianze oculari che hanno stabilito definitivamente che l’assassinio della martire Shireen Abu Akleh è stato una presa di mira diretta da parte di un membro dell’esercito di occupazione israeliano di stanza nell’area, e hanno dimostrato indiscutibilmente che non vi erano manifestazioni né scontri armati nel momento e nel luogo del crimine. In merito a quanto affermato dalla parte americana circa i risultati dell’esame tecnico e la presenza di gravi danni al proiettile che hanno impedito di giungere a una chiara conclusione, la Procura conferma che ciò non è vero e si dice sorpresa dall’affermazione dal momento che le relazioni tecniche della Procura confermano che le condizioni del proiettile possono essere abbinate all’arma utilizzata. Inoltre, secondo le prove conclusive  il prendere di mira la martire Abu Akleh è stato intenzionale, ed è inaccettabile quanto affermato dalla parte americana secondo cui non vi sono ragioni che indichino l’intenzionalità della presa di mira, specie dal momento che erano a conoscenza delle indagini complessive della Procura Palestinese che hanno confermato il caso di omicidio premeditato. L’autorità competente per condurre legalmente le indagini è la Procura Palestinese e qualsiasi risultato di indagini condotte da qualunque altro organismo non è legalmente vincolante. Sulla base delle indagini, Israele è pienamente responsabile dell’assassinio deliberato della martire palestinese Shireen Abu Akleh e lavoreremo per completare le nostre procedure legali e perseguire Israele davanti ai tribunali internazionali”.
(Da: WAFA, agenzia di stampa ufficiale dell’Autorità Palestinese, edizione inglese, 4.7.22)

Anche il Sindacato dei giornalisti palestinesi si unito al coro affermando che “il rapporto degli esperti americani sull’uccisione della giornalista Shireen Abu Akleh da parte delle forze di occupazione israeliane è parziale e non professionale”. Secondo il Sindacato dei giornalisti:

“Gli esperti hanno derogato dal loro ruolo professionale per uscirsene con un rapporto di sicurezza politica volto a eludere la responsabilità di Israele per aver preso di mira Shireen Abu Akleh e per il suo deliberato assassinio, in modo che l’occupazione non fosse ritenuta responsabile per il suo crimine contro una giornalista palestinese, che oltretutto era anche cittadina americana”.
(Da: WAFA, agenzia di stampa ufficiale dell’Autorità Palestinese, edizione inglese, 4.7.22)

(Da: palwatch.org, 5.7.22)