L’eterno errore dell’estremismo palestinese

Una società politicamente immatura, assuefatta agli “alibi da vittima”

di Dan Schueftan 1/2

image_2634I recenti tumulti al Monte del Tempio e la rinnovata richiesta da parte del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di portare in discussione all’Onu il rapporto Goldstone mostrano ancora una volta la profonda inadeguatezza intrinseca alla cultura politica palestinese.
Ancora una volta i palestinesi stanno dimostrando che anche gli elementi più responsabili tra loro non possono agire in modo costruttivo allo scopo di edificare una società e promuovere la stabilità, il benessere e un accordo con Israele. Non possono farlo perché, come si è visto anche questa occasione, al momento della verità i demagoghi estremisti, violenti e irresponsabili che fomentano e attizzano le fiamme dello scontro, hanno regolarmente la meglio.
Gli estremisti prevalgono perché il pubblico palestinese non è disposto a sostenere uno sforzo protratto e responsabile per garantire un futuro migliore ai suoi figli, mentre gli estremisti propongono una prospettiva di violenza e di autoassoluzione che nell’immediato e a breve termine procura risultati effimeri e una deviata forma di consolazione.
Le decisioni vengono sì prese dai capi, ma il fattore che limita il loro spazio di manovra e costringe anche i più assennati fra di loro ad adottare condotte irresponsabili è una società politicamente immatura: una società sempre più assuefatta e dipendente dagli “alibi del vittimismo” riguardo ai suoi fallimenti, invece di dedicarsi alla causa di promuovere con successo la propria impresa nazionale.
Per la prima volta da generazioni i palestinesi hanno visto l’ascesa di leader che capiscono, seppure solo parzialmente, le necessità dei loro compatrioti e che sembrano disposti a dedicarsi alla causa di tirarli fuori dalla prostrazione in cui i palestinesi si sono cacciati con le loro mani. Il primo ministro Salam Fayyad sta cercando, per la prima volta, di utilizzare i generosi aiuti stranieri a scopi costruttivi e per edificare una società funzionante. Il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e i suoi hanno capito (con grande ritardo) quanto siano gravi la calamità del terrorismo e la minaccia vitale rappresentata da Hamas. Sotto il loro patronato politico, gli Stati Uniti hanno addestrato nuove forze di sicurezza palestinesi (le cosiddette “forze Dayton”) che stanno facendo un buon lavoro nel contrastare il terrorismo e le sue infrastrutture. Ciò ha aperto la strada a forme di cooperazione con Israele e di coordinamento sulla sicurezza, permettendo un netto miglioramento per i palestinesi sul piano della libertà di movimento, dello sviluppo economico, della creazione delle basi per la stabilità politica e sociale in Cisgiordania. Da tutto questo sono nati i primi germogli di una chance di far uscire Israele e palestinesi dal “gioco a somma zero” che ha caratterizzato fin qui i loro rapporti, là dove il grado di successo per i palestinesi veniva misurato sul grado di danno inflitto a Israele.
Se a questa chance fosse data la possibilità di dispiegarsi, si potrebbe rimuovere un importante ostacolo che impedisce un accordo più esauriente, accettabile per entrambe le parti. Allargare e radicare la stabilità e il benessere in Cisgiordania reprimendo e isolando al contempo il terrorismo nella striscia di Gaza – ignorando le sconsiderate richieste di alcuni leader arabi israeliani – sono le condizioni necessarie per il successo di un tale accordo.
Ma è proprio qui che scatta il meccanismo autodistruttivo che da novant’anni taglia le gambe al popolo palestinese: una minoranza irresponsabile e bellicosa si abbandona alle violenze, esponenti estremisti promettono a un pubblico infervorato soddisfazioni immediate attraverso la “demagogia delle vittime”, e questo spinge immediatamente gli elementi più responsabili ad assumere una postura difensiva finendo col venire neutralizzati sull’arena politica.
Il punto qui non è tanto la violenza e la demagogia degli estremisti, quanto piuttosto la resa in partenza dei soggetti responsabili. Il problema ha a che fare con la cultura politica della società palestinese. Se Fayyad e Abu Mazen avessero potuto contare sul sostegno di un pubblico responsabile per le loro politiche costruttive, avrebbero potuto isolare gli estremisti e stargli addosso. Invece hanno ceduto agli estremisti, perché il pubblico palestinese è assuefatto al messaggio fasullo di coloro che hanno gettato intere loro generazioni nella distruzione, nella sofferenza, e in una via senza uscita.

(Da YnetNews, 12.10.09)

Parte 1/2. Per la seconda parte di questo articolo vedi:
Assuefatti al vittimismo

https://www.israele.net/articolo,2635.htm

Nella foto in alto: Dan Schueftan, autore di questo articolo

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