“L’etichettatura europea dei prodotti israeliani dei territori è ipocrita e dannosa”

Israele: "Ci sono 200 contenziosi territoriali nel mondo, ma solo in questo caso l’Unione Europea applica una misura discriminatoria"

Israele condanna come discriminatoria la decisione dell’Unione Europea di pubblicare delle linee-guida per etichettare come non fabbricati in Israele i beni prodotti da ebrei al di là della cosiddetta Linea Verde (la ex linea armistiziale in vigore nel periodo ’49-’67 fra Israele e i territori occupati dalla Giordania). Gerusalemme ha avvertito che tale mossa potrebbe pregiudicare le relazioni euro-israeliane.

“Ci rammarichiamo che l’Unione Europea abbia compiuto questo passo politicamente motivato, unico e discriminatorio, ispirato all’ambiente dei boicottatori”, afferma una dura nota diffusa da mercoledì dal Ministero degli esteri israeliano che ha anche convocato l’ambasciatore dell’Unione Europea in Israele, Lars Faaborg, per chiedere spiegazioni circa la decisione presa della Commissione Europea, l’organismo politico di Bruxelles. Poche ore prima un rappresentante dell’Unione Europea aveva annunciato alla Reuters che la Commissione “ha adottato mercoledì mattina la Nota interpretativa sull’indicazione d’origine delle merci provenienti dai territori occupati da Israele dal giugno 1967”.

Da quando la questione venne sollevata per la prima volta nel 2012, l’Unione Europea l’ha sempre minimizzata descrivendola come una questione puramente tecnica, sostenendo che non si tratta di una forma di boicottaggio contro Israele, ma di una misura volta a informare il consumatore che quei determinati beni non sono made in Israel. Sostenendo che tutto il territorio al di là delle linee armistiziali pre-’67 in Cisgiordania, a Gerusalemme e sulle alture del Golan non fanno parte di Israele, e che dunque le merci lì prodotte non possono essere etichettate come made in Israel, l’Unione Europea in pratica stabilisce quali sono i confini di Israele, cosa che invece dovrà essere stabilita mediante negoziato fra le parti stando a tutti gli accordi fin qui firmati (e garantiti dalla stessa Unione Europea). Ora la Commissione Europea ha fornito agli stati membri le linee-guida legali circa l’etichettatura di questi prodotti. Tali linee-guida stabiliscono che la semplice etichettatura come “prodotto dalle alture del Golan” o “prodotto dalla Cisgiordania” non è sufficiente: l’etichetta deve anche contenere tra parentesi la dicitura “insediamento israeliano” (in pratica: prodotto da ebrei nei territori). Il vicepresidente dell’Unione Europea Valdis Dombrovskis ha insistito che la misura riguarda “un problema tecnico, non una posizione politica”, aggiungendo che “l’Unione Europea non sostiene nessuna forma di boicottaggio o sanzioni contro Israele in quanto tale”.

Lavoratore palestinese in una fabbrica israeliana nella Valle del Giordano

Lavoratori palestinesi in una fabbrica israeliana di imballaggio datteri nella Valle del Giordano

L’impatto economico della misura adottata dall’Unione Europea sarà probabilmente limitato. Sebbene l’Europa sia il principale partner commerciale d’Israele, i prodotti degli insediamenti costituiscono una piccola frazione delle esportazioni israeliane. Molto più grave potrebbe essere invece l’impatto politico e simbolico della decisione. Il Ministero degli esteri israeliano ha definito “infondata” e “cinica” qualsiasi pretesa dell’Unione Europea di descrivere la mossa come puramente tecnica. Ci sono almeno 200 contenziosi territoriali in tutto il mondo, sottolinea Gerusalemme, e in tutti quei casi l’Unione Europea non ha mai preso posizione a favore di una parte o dell’altra contrassegnando i prodotti come “non fabbricati” in un determinato paese. “E’ sconcertante e persino irritante – afferma Gerusalemme – che l’Unione Europea abbia deciso di applicare una doppia morale per quanto riguarda Israele, ignorando tutte le altre dispute territoriali, comprese quelle che si verificano all’interno della stessa Unione Europea o alle sue porte. L’affermazione che si tratta di una questione tecnica è cinica e senza fondamento”.

Secondo Israele, etichettare i beni in questione come “prodotti negli insediamenti” non aiuterà in alcun modo a risolvere il conflitto israelo-palestinese. Semmai servirà a peggiorare la situazione, perché incoraggerà i palestinesi ad assumere posizioni intransigenti e a continuare a sottrarsi ai negoziati, rafforzando gli elementi estremisti che promuovono il boicottaggio di Israele per negare il suo diritto ad esistere. “Questa decisione – ha avvertito il Ministero degli esteri israeliano – solleva interrogativi sul ruolo che l’Unione Europea intende svolgere, e potrebbe avere conseguenze sulle relazioni tra Unione Europea e Israele”.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’etichettatura “ipocrita” e indicativa di una doppia morale. “L’Unione Europea ha deciso di etichettare solo Israele, ma noi non siamo disposti ad accettare che l’Europa etichetti la parte che viene attaccata dal terrorismo – ha detto Netanyahu – L’economia israeliana è forte e in grado di resistere a questo. Chi verrà davvero colpito saranno i palestinesi che lavorano nelle fabbriche israeliane. L’Unione Europea dovrebbe vergognarsi”.

Sono tra 6 e 12mila i palestinesi che lavorano per aziende agricole israeliane nella sola Valle del Giordano

Sono tra 6 e 12mila i palestinesi che lavorano per aziende agricole israeliane nella sola Valle del Giordano

La ministra israeliana della giustizia Ayelet Shaked ha definito la decisione “anti-israeliana e anti-ebraica”, aggiungendo che intende esaminare eventuali azioni legali contro l’Unione Europea. “E’ interessante il fatto – ha sottolineato Shaked – che l’Unione Europa non etichetta i prodotti dal Sahara occidentale [occupato dal Marocco] o di Cipro settentrionale [occupato dalla Turchia]: l’ipocrisia dell’Unione Europea e la sua ostilità verso Israele hanno superato ogni limite”.

Il ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon ha definito la mossa “un passo vergognoso, che premia il terrorismo”.

Il leader dell’opposizione israeliana Isaac Herzog, laburista dell’Unione Sionista, ha definito la decisione “pericolosa e nociva “, spiegando che danneggerà gli sforzi di pace. Herzog l’ha paragonata alla decisione di 40 anni fa delle Nazioni Unite (poi revocata) di equiparare il sionismo al razzismo, contro la quale si scagliò suo padre, allora rappresentante d’Israele all’Onu e successivamente presidente di Israele. “Questa decisione si basa sull’odio, la menzogna e l’ignoranza ed è priva di qualsiasi valore morale – ha detto Herzog, citando le parole di allora di suo padre – Per noi, popolo ebraico, non è altro che un pezzo di carta e dobbiamo trattarla come tale”.

Yair Lapid, leader del partito d’opposizione Yesh Atid, ha scritto su Twitter: “Gli ebrei vengono accoltellati per la strada e l’Unione Europea cede davanti al boicottatori di Israele: questa decisione è discriminatoria contro Israele e incoraggia il terrorismo”.

Tzipi Livni, di Unione Sionista, ha osservato che Israele ha qualche margine per evitare che la decisione abbia effetti disastrosi, giacché ogni paese europeo può decidere se adottarla o meno. “Israele deve rivolgersi ad ogni singolo paese e convincerlo a non adottare la decisione – ha detto l’ex ministra degli esteri israeliana – E affinché questo accada dobbiamo adottare la politica giusta, dobbiamo dire che la politica del primo ministro è davvero per la soluzione a due stati, e dimostrarlo: solo così capiranno che non c’è motivo di mettere Israele nell’angolo”.

Il parlamentare Itzik Shmuly, anch’egli di Unione Sionista, ha definito la decisione dell’Unione Europea “stupida, dannosa e inutile” aggiungendo che “imprime una macchia sul volto dell’Europa”. “Gli abitanti di Amburgo o di Copenaghen – ha osservato Shmuly – non hanno idea di dove inizi e dove finisca la Linea Verde, per cui la decisione della Commissione finirà per tradursi in un boicottaggio generalizzato contro Israele in quanto tale. Purtroppo l’Europa ha vergognosamente deciso di rafforzare in questo modo coloro che conducono la campagna per il boicottaggio di Israele, il cui obiettivo è cancellare Israele dalla carta geografica e non certo promuovere la pace”.

Anche l’ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Michael Oren, parlamentare di Kulanu, ha ricordato al Jerusalem Post che l’etichettatura dei prodotti negli insediamenti appare antisemita giacché “vi sono duecento dispute territoriali in tutto il mondo, e loro hanno preso di mira solo questa”.

Lavoratore palestinese in una fabbrica israeliana in Cisgiordania

Lavoratore palestinese in una fabbrica israeliana in Cisgiordania

Avi Ro’eh, capo del Consiglio che rappresenta le comunità ebraiche in Giudea e Samaria (Cisgiordania), ha scritto una lettera furibonda alla rappresentante della politica estera dell’Unione Europea Federica Mogherini, nella quale afferma che la decisione non farà che gettare benzina sul fuoco di un conflitto già di per sé violento. “In un momento in cui il terrorismo palestinese è in crescita – ha scritto Ro’eh – l’Unione Europea ha deciso di boicottare le aree industriali in Giudea e Samaria che sono oasi di pace tra israeliani e palestinesi. Le imprese di questo tipo, in cui arabi ed ebrei lavorano insieme, dovrebbero essere piuttosto utilizzate come modello per costruire la pace, e non boicottate. Se l’Unione Europea vuole promuovere una vera coesistenza, dovrebbe venire a vedere come stanno le cose in Giudea e Samaria, e allora si renderebbe conto che sta etichettando le persone sbagliate”.

Il Congresso Ebraico Europeo ha detto che il regime di etichettatura dell’Unione Europea “potrebbe di fatto violare trattati e accordi come l’Organizzazione Mondiale del Commercio”. Il presidente Moshe Kantor ha definito le linee-guida europee “senza precedenti” e dunque “un ulteriore esempio di come Israele venga selezionato per un trattamento speciale”. “Dopo aver studiato a fondo la questione – ha detto Kantor – abbiamo rilevato che non esistono linee-guida equivalenti per nessun altra controversia territoriale o in quelle che vengono percepite come occupazioni in qualsiasi altra parte del mondo. In realtà, in molte altre controversie l’Unione Europea di fatto appoggia o addirittura trae vantaggi da quella che viene definita a livello internazionale una occupazione, per cui vi è certamente un elemento molto forte di doppia morale che viene applicato allo stato ebraico”. Kantor ha aggiunto che l’Unione Europea non ha mai risposto alle domande sul perché Israele venga preso di mira “anche quando la vediamo firmare accordi per trarre profitto e contribuire all’occupazione del Marocco nel Sahara occidentale e della Turchia a Cipro del Nord”.

Già dal 2003 l’Unione Europea pone un codice numerico sulle importazioni israeliane per consentire alle dogane di distinguere fra prodotti fabbricati da una parte o dall’altra della Linea Verde. I prodotti fabbricati a Gerusalemme est, sulle alture del Golan e in Cisgiordania sono già esclusi dall’Accordo di libero scambio fra Israele e Unione Europea. Le linee-guida emanate mercoledì portano questo processo un passo avanti, fornendo agli stati membri le istruzioni legali su come etichettare i prodotti in modo che risultino “non fabbricati in Israele”. Nel 2013 l’Unione Europea aveva rinviato la pubblicazione delle linee-guida su richiesta degli Stati Uniti che stavano mediando il negoziato fra israeliani e palestinesi, ma dall’aprile 2014 la parte palestinese si rifiuta di sedere al tavolo negoziale e il processo si è interrotto.

(Da: Jerusalem Post, YnetNews, Times of Israel, 11.11.15)

Scrive Dan Margalit, su Israel HaYom: «L’esportazione in Europa dei prodotti degli insediamenti equivale solo a una minima frazione di tutte le esportazioni israeliane verso il continente. Tuttavia, anche se le ripercussioni immediate non saranno importanti, nessuno crede davvero che gli odiatori di Israele in Europa si fermeranno qui. Boicottare i prodotti degli insediamenti è solo il primo passo. L’Europa assai probabilmente cederà alla pressione dei palestinesi e dei musulmani che irrompono nelle sue strade, e si muoverà gradualmente verso un boicottaggio totale di Israele. Anche se il danno è limitato, è comunque molto concreto. Il proprietario di un negozio di Tolosa non si preoccupa di distinguere fra un prodotto fabbricato a Beit El e uno fabbricato a Tel Aviv: per non avere rogne, semplicemente scarterà entrambi a favore di un prodotto fatto a Lisbona. Moralmente parlando, questo tipo di etichettatura dei prodotti è simile alla stella gialla di Davide dei tempi bui. E’ il primo passo su una strada che non si sa fin dove può portare». (Da: Israel HaYom, 11.11.15)

 

Si veda anche: Il boicottaggio “accidentale” del Golan