L’Europa e Gerusalemme

A quanto pare, lUnione Europea vuole essere una cosa e anche il suo contrario.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_984È come se qualcuno volesse deliberatamente sabotare il ruolo dell’Unione Europea nella soluzione del conflitto arabo-israeliano. Come spiegare altrimenti la fuga di notizie relativa a una bozza di rapporto confidenziale preparata da diplomatici britannici del consolato inglese a Gerusalemme est in vista di un vertice dei ministri UE? La Gran Bretagna detiene la presidenza di turno dell’Unione Europea e l’ufficio di Tony Blair si affrettato a sostenere che quel testo così anti-israeliano deve essere considerato come “espressione non tanto del punto vista britannico, quanto di una visione collettiva dei capi delle missioni diplomatiche a Gerusalemme”.
A quanto pare, l’Unione Europea vuole una cosa e il suo contrario: essere considerata un leale meditatore e allo stesso tempo sostenere totalmente la posizione di una delle parti, quella palestinese.
Tutto questo non poteva capitare in un momento più sbagliato. Questa settimana ricorre il decimo anniversario del “Processo di Barcellona”, città dove in questo momento si tiene un vertice per la partnership euro-mediterranea con lo scopo di promuovere “pace, stabilità e sviluppo” nella regione che l’Europa condivide con i paesi del Mediterraneo. L’Unione Europea ha appena iniziato a fornire osservatori “neutrali” al valico di Rafah fra la striscia di Gaza palestinese e il Sinai egiziano per garantire il rispetto da parte palestinese delle esigenze di sicurezza israeliane. Su incoraggiamento di Stati Uniti e Unione Europea, sono in agenda per il prossimo 15 dicembre altre concessioni israeliane, fra cui quella di permettere il transito di convogli di autobus fra striscia di Gaza e Cisgiordania meridionale.
Il tempismo di questo rapporto su Gerusalemme est, così ostile a Israele, è negativo anche dal punto di vista interno israeliano. Il primo ministro Ariel Sharon sta cercando di raccogliere i frutti politici del disimpegno da Gaza sostenendo che il ritiro gli ha aperto spazi di manovra su questioni che stanno a cuore alla quasi totalità degli israeliani. Ed ecco che arriva il rapporto UE a ricordarci che persino quartieri che fanno parte integrante di Gerusalemme come East Talpiot, Gilo, Pisgat Ze’ev, Ramot e French Hill vengono considerati “insediamenti illegali”.
Oltre al tempismo sbagliato, il rapporto è sbagliato nella sostanza. Dov’è un rapporto UE che esiga dai palestinesi di riconoscere l’antico legame fra popolo ebraico e Gerusalemme? Come mai questo rapporto ignora completamente, non solo gli ultimi cinque anni di violentissima intransigenza palestinese, ma anche il rifiuto da parte palestinese delle concessioni offerte da Ehud Barak su Gerusalemme nel 2000? Qualunque analisi minimamente imparziale avrebbe riconosciuto che ciò che “riduce la possibilità di arrivare a un accordo finale su Gerusalemme” non è affatto la politica di Israele, bensì soprattutto l’intransigenza palestinese.
Ad esempio, la parte del rapporto su Ma’aleh Adumin sostiene che collegare questa cittadina alla capitale attraverso il progetto edilizio della zona E1 renderebbe totalmente impossibile il passaggio di palestinesi da Betlemme a Ramallah. Pura assurdità. Non mancano affatto soluzioni tecniche a disposizione di diplomatici e progettisti armati di buona volontà per permettere ai palestinesi di transitare in direzione nord-sud pur collegando Ma’aleh Adumin a Gerusalemme.
Ma l’errore più grosso per chiunque sia alle prese con lo status finale di Gerusalemme è forse quello di carattere semantico. Dopo la riunificazione della città nel 1967, una quantità di quartieri ebraici – come Ramat Eshkol a nord e East Talpiot e Gilo a sud – si sono sviluppati sulle colline un tempo brulle e disabitate a nord, a est e a sud della città. Pertanto accade spesso che oggi la cosiddetta “Gerusalemme est” si trovi dappertutto meno che a est. In effetti i quartieri arabi di Gerusalemme – come Beit Zafafa, Beit Hanina e Issawiya – si trovano rispettivamente sui lati sud, nord ed est della Gerusalemme ebraica pre-67. Ridividere Gerusalemme è totalmente fuori discussione.
Se l’Unione Europea vuole svolgere un ruolo positivo, dovrebbe in primo luogo sollecitare i palestinesi a prendere atto della realtà. Nessun governo israeliano accetterà un ritorno esattamente alle linee armistiziali del 1949, nessun primo ministro israeliano cederà il controllo sul Muro Occidentale (del pianto) nè permetterà che l’ospedale Hadassah e l’Università Ebraica sul Monte Scopus tornino ad essere “terra di nessuno”.
D’altra parte, sono tanti gli israeliani ragionevoli pronti a capire che sono necessarie soluzioni creative per colmare il gap tra le aspirazioni ebraiche e quelle palestinesi.
Dunque, se i ministri europei che si incontrano a Barcellona vogliono davvero rendersi utili, dovrebbero innanzitutto tenere a freno quelli tra loro che pensano che assecondare tutte le posizioni palestinesi sia un modo per fare passi avanti.

(Da: Jerusalem Post, 28.11.05)

Nella foto in alto: Summit EuroMed a Barcellona, da sin a dx: responsabile politica estera UE Javier Solana, presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), primo ministro britannico Tony Blair, presidente commissione europea Jose Manuel Barroso.