Liberi di non cantare, ma nel rispetto

La polemica sull'inno israeliano non è affatto motivata da intenzioni democratiche

Da un articolo di Shlomo Avineri

image_1682Sono ragionevoli e corrette molte cose che vengono dette circa l’insensibilità di tanta parte del governo e della società israeliana rispetto a diversi aspetti della vita sociale e materiale dei cittadini arabi israeliani. Ciò che è difficile accettare, invece, è la recente polemica sull’inno nazionale.
Certo, si può capire che gli arabi israeliani facciano fatica a identificarsi con un testo che parla dell’”anima dell’ebreo che anela a Sion”, ma fare di questo il punto di partenza per proporre di rimpiazzare la Hatikvà con quello che viene definito un inno “democratico ed egualitario” è tutt’altra cosa. Se l’inno nazionale non deve essere altro che il minimo comun denominatore accettabile da tutti i gruppi sociali del paese, allora bisognerebbe tener conto anche delle comunità ultra-ortodosse, per le quali la Hatikvà non è accettabile per il suo carattere laico-sionista. Per i nazionalisti religiosi, invece, la Hatikvà è difettosa perché non menziona il Signore.
Ma basta dare un’occhiata agli inni nazionali in giro per il mondo, per rendersi conto che quasi tutti sono problematici. Basti citare l’esempio di due paesi assolutamente democratici: la Gran Bretagna e la Francia.
L’inno britannico, God save the Queen, implora il Signore di proteggere la casa reale, che è anche a capo della Chiesa anglicana. Oggi vivono in Gran Bretagna milioni di cattolici, protestanti non-anglicani, musulmani ed ebrei. E c’è anche un non trascurabile numero di cittadini repubblicani che preferirebbero abolire completamente le istituzioni monarchiche. Forse che ebrei e musulmani britannici hanno mai proposto di cambiare l’inno nazionale? C’è mai stato un liberal britannico che abbia sostenuto che le parole dell’inno inficiavano i suoi diritti civili o il suo status di cittadino?
L’inno francese, la Marsigliese, è una canzone rivoluzionaria intrisa di violenza e di minacce contro gli avversari della Repubblica. Oggi non è un segreto che vi sono milioni di francesi che considerano l’esecuzione di Luigi XVI un crimine storico, e si può immaginare che costoro non concordino con le parole dell’inno. Tuttavia non propongono di cambiarlo.
Nel bene e nel male, un inno nazionale rispecchia l’orientamento storico prevalente che ha forgiato la nazione, spesso – come in Francia – nel fuoco e nel sangue. Posso capire la difficoltà per gli arabi israeliani, esattamente come per ebrei e musulmani britannici o per i musulmani e i monarchici francesi. Ma tutti costoro non propongono di cambiare i rispettivi inni nazionali. I cittadini possono astenersi dal cantare l’inno, ma ci si aspetta che portino rispetto per i simboli della maggioranza che ha fatto la storia del loro paese. Né in Gran Bretagna né in Francia le minoranze mettono in dubbio la legittimità dell’organismo politico che rispecchia i valori, i simboli, la memoria della maggioranza.
In Israele, la proposta araba di cambiare la Hatikvà non nasce affatto dalla difficoltà di cantarne le parole, quanto piuttosto dalla volontà di mettere in questione la natura stessa dello Stato di Israele come stato del popolo ebraico. Se è così, sarebbe meglio parlare chiaro e dire le cose come stanno.

(Da: Ha’aretez, 30.04.07)