L’inascoltato allarme del generale americano

Tutti i gruppi jihadisti condividono il proposito di attaccare gli interessi occidentali o direttamente i paesi occidentali

Di Clifford D. May

Clifford D. May, autore di questo articolo

Clifford D. May, autore di questo articolo

Due recenti interviste sono state oggetto di un vivace dibattito all’interno della cosiddetta comunità della politica estera. Prima quella dove il presidente americano Barack Obama descriveva a Thomas Friedman del New York Times un mondo in cui le guerre terminano senza “nessun vincitore e nessuno sconfitto”. Difficile immaginare Franklin D. Roosevelt o Winston Churchill che abbracciano una visione del genere. Più facile immaginare le risate che devono essersi fatti i jihadisti, se l’hanno sentito. Poi quella in cui Hillary Clinton diceva a Jeffrey Goldberg di The Atlantic che “le grandi nazioni hanno bisogno di principi ordinatori” mentre il motto di Obama “non fare stupidaggini” non è esattamente “un principio ordinatore”.

Nel mezzo è passata quasi inosservata un’intervista assai più di sostanza rilasciata a James Kitfield, della rivista online Defense One, dal generale Michael Flynn, capo della DIA (Defense Intelligence Agency).

Michael Flynn

Michael Flynn, a fine incarico come direttore della DIA (Defense Intelligence Agency)

I direttori della DIA tendono ad essere piuttosto taciturni. Ma Flynn sta per lasciare l’incarico e deve aver deciso che poteva aprirsi un po’. Ha detto che il “contesto internazionale” è diventato “incerto, caotico e confuso”, che siamo entrati “in un’epoca molto pericolosa”, un periodo conflittuale che potrebbe essere “prolungato” e “senza precedenti”. In altre parole: ha cercato di suonare un campanello d’allarme.

Un rapido giro d’orizzonte: in Siria e in Iraq gli jihadisti che si considerano eredi di Osama bin Laden stanno combattendo contro gli jihadisti fedeli ai teocrati iraniani e al loro protetto, il presidente siriano Bashar Assad. Cristiani, yazidi e membri di altre minoranze vengono massacrati. I curdi, con il tardivo aiuto da parte dell’amministrazione Obama, stanno contrattaccando.

In Nigeria, sedicenti “soldati di Allah” schiavizzano le donne e incendiano le chiese, spesso coi fedeli chiusi all’interno. Milizie islamiste hanno mandato in pezzi il nascente governo post-Gheddafi in Libia. Degli jihadisti sono attivi anche in Mali, Somalia e Yemen, soprattutto nel trucidare altri musulmani considerati apostati.

Israele, l’unica nazione in Nord Africa e Medio Oriente non governata da musulmani, è esplicitamente minacciato di sterminio da Hamas, Hezbollah e Iran. Come i curdi, gli israeliani contrattaccano. L’amministrazione Obama li appoggia, non senza ambivalenze.

James Foley

Il giornalista americano James Foley in un fermo-immagine dal video della sua decapitazione, diffuso dagli jihadisti dello “Stato Islamico (in Iraq e nel Levante)”

Secondo Flynn, nel 2004 c’erano complessivamente 21 “gruppi terroristici islamici sparsi in 18 paesi”. Oggi, invece, ci sono 41 “gruppi terroristici islamici sparsi in 24 paesi”. La conseguenza, dice, è che americani (e occidentali) oggi sono più in pericolo di quanto non fossero alla vigilia degli attacchi dell’11 settembre 2001. È vero che alcuni gruppi jihadisti sono concentrati su conflitti locali, ma molti se non la maggior parte – spiega Flynn – condividono “il proposito di attaccare gli interessi occidentali, come le ambasciate occidentali, e in alcuni casi direttamente i paesi occidentali”. Abu Bakr al-Baghdadi, l’auto-proclamato “califfo” dello “Stato Islamico (in Iraq e nel Levante)”, ha direttamente minacciato gli americani. Alcuni dei suoi guerrieri hanno passaporti occidentali, il che renderà loro più facile penetrare in Europa e negli Stati Uniti quando riterranno di farlo.

Alla base di questo conflitto globale, dice Flynn, c’è un “nucleo” ideologico che “si sta diffondendo, non restringendo”. Avendo interrogato molti combattenti negli anni in cui prestava servizio come capo dell’intelligence per il Joint Special Operations Command in Iraq e in Afghanistan, Flynn è giunto alla conclusione che “queste sono persone animate da sistema di credenze profondamente radicato che è molto difficile da comprendere per gli americani e gli occidentali: basti pensare alla mentalità di un attentatore suicida”.

Una rara immagine di Muhammad Deif, capo dell'ala militare di Hamas, resposnabile di attentati suicidi e lanci di razzi contro civili isareliani

Una rara immagine di Muhammad Deif, capo dell’ala militare di Hamas, responsabile di innumerevoli attentati suicidi e lanci di razzi contro civili israeliani

Si consideri inoltre il fatto che quelli che rinviano il martirio esplosivo suicida, sviluppano nel frattempo capacità belliche nuove e sempre più evolute. “Scrivono e condividono in continuazione le lezioni apprese sul campo” dice Flynn, secondo il quale vale la pena tener presente che passarono solo otto anni tra il primo attentato al World Trade Center di New York del 1993, in cui furono uccise sei persone, e l’immane strage del 2001 (tremila morti).

La morte di Osama bin Laden nel 2011 ha portato Obama e molti opinionisti a concludere che la “marea della guerra terroristica si stava ritirando”. Ma secondo Flynn, nella comunità dell’intelligence ben pochi condividevano questo speranzoso punto di vista. “Vedevamo tutto questo tessuto connettivo che si sviluppava tra i sempre più numerosi gruppi terroristici – dice – per cui alla domanda se i terroristi fossero in fuga, non potevamo che rispondere ‘no’; alla domanda se i terroristi fossero stati sconfitti, dovevamo rispondere ‘no.’ Chiunque risponda ‘sì’ a queste domande o è male informato e non sa di che cosa sta parlando, oppure mente spudoratamente”.

Avvertimenti di questo genere da un direttore uscente della DIA dovrebbero attirare almeno altrettanta attenzione delle chimere ireniche di Obama e del tardivo riconoscimento della Clinton d’aver trascorso quattro anni sul ponte di comando di una nave senza timone. A quanto pare, però, pochi dello schiamazzante uditorio stanno ad ascoltare.

Al termine del colloquio, Kitfield chiede a Flynn se sono fondate le voci secondo cui sarebbe stato costretto a lasciare la DIA. Flynn non lo nega. “Forse le cose erano arrivate al punto in cui ero andato un po’ troppo avanti – dice – Ho avuto un incontro con il mio capo. Il messaggio era chiaro: è ora che te ne vada; e la mia reazione è stata salutare e dire: okay, nessun problema”. Speriamo che colui che sarà chiamato a sostituire Flynn non decida che è più prudente dire al presidente e i suoi più stretti consiglieri quello che vogliono sentirsi dire, anziché quello che c’è da sapere. Altrimenti americani e occidentali saranno nei guai. Ma non potremo dire che non eravamo stati avvertiti.

(Da: Israel HaYom, 20.8.14)