L’incubo dello stato unico

Un opinionista palestinese spiega dal suo punto di vista dove sbagliano i palestinesi

Da un articolo di Ray Hanania

image_1474(…) E’ uscito di recente un libro di Ali Abunimeh, un attivista palestinese di Chicago che appartiene alla “elite aristocratica” palestinese. Il libro si intitola: “Un unico stato: una proposta audace per porre fine al il conflitto israelo-palestinese”.
Nel titolo deve esserci un errore di stampa. Non è una “proposta audace”. È una “proposta antiquata”. I palestinesi che respingono costantemente la soluzione “due popoli-due stati” hanno fatto di tutto per assicurarsi che fallisse la pace basata sulla formula “due stati”. Vogliono convincere il mondo che la violenza, che loro stessi contribuiscono ad alimentare con il loro rifiuto, imporrebbe di far tornare le lancette della storia a prima del 1947 con il rifiuto della spartizione della Palestina. È un’idea che sta guadagnando terreno anche fra i palestinesi moderati sfiduciati per il fallimento del processo di pace, per le sofferenze crescenti e per la facilità con cui gli estremisti di entrambe le parti riescono a far deragliare e naufragare la pace. (…)
Abunimeh è un seguace del defunto Edward Said, rinomato intellettuale palestinese nonché uno degli architetti originari della soluzione “due stati”. Poi però, quando venne lasciato ai margini dei negoziati, Said iniziò ad attaccare l’Autorità Palestinese e Yasser Arafat in quanto “corrotti”. Said e quelli del giro di Abunimeh hanno continuato a battere con insistenza sulla questione della corruzione, denunciando a gran voce il fatto che Arafat e gli altri dirigenti si aggirassero con autista e limousine in mezzo alla disperazione dei palestinesi. Naturalmente oggi quelle limousine con autista vengono usate dai dirigenti di Hamas, ma le vivaci critiche degli intransigenti non si sentono più, perché la denuncia della “corruzione” non è mai stato il loro vero scopo. Usavano quell’argomento per demolire l’ipotesi di un pace basata sulla separazione in “due stati”.
Ma la formula “un unico stato” non è una soluzione realistica. Avrebbe forse potuto esserlo negli anni ’50 o ’60. Essere rimasti attaccati a quella convinzione è stato uno dei motivi per cui lo stato palestinese non venne creato in Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme est prima del 1967. L’altro motivo è che i palestinesi non ebbero una loro vera leadership fino a dopo il 1967, quando Arafat assunse il controllo della “rivoluzione palestinese” costringendo Israele e il resto del mondo a prendere atto dei diritti dei palestinesi.
Arafat capì che la “rivoluzione” aveva fatto il suo corso. Nel 1988, con Said al suo fianco, chiese la fine del conflitto sulla base del principio “terra in cambio di pace” e “due popoli-due stati”. Poi gli accordi di pace Rabin-Arafat fallirono e gli estremisti di entrambe le parti trasformarono il fallimento nel peggiore dei conflitti.
Ma la soluzione “due stati” sarà sempre l’unica soluzione possibile, perché la premessa di “un unico stato” in cui cristiani, musulmani ed ebrei possano vivere insieme in eguaglianza è fondamentalmente sbagliata. È un’illusione che non potrà essere realizzata non solo perché gli israeliani non la accetterebbero, ma anche perché il mondo arabo e islamico non la praticano. Dove mai ebrei e cristiani, oggi, nel mondo islamico, vivono insieme in eguaglianza? Non viviamo insieme in eguaglianza nemmeno nella diaspora palestinese.
Quelli come Abunimeh e soci, a Chicago e negli Stati Uniti, praticano anzi una sorta di loro personale razzismo contro i palestinesi moderati come me, che condannano apertamente gli attentati suicidi come atti di terrorismo criminale. Condannano coloro che ancora restano legati alla soluzione “due stati” nonostante tutto ciò che i fanatici hanno fatto per impedirne l’attuazione. Personalmente sono stato violentemente beffeggiato dai sodali di Abunimeh quando ho osato sostenere che i palestinesi dovrebbero dire la verità ai profughi: e cioè che non potranno tornare nelle case e nelle terre pre-’48. Ho sostenuto che i profughi, attraverso i negoziati, dovrebbero puntare ad ottenere risarcimenti, reinserimenti e le dovute scuse da parte di Israele per il ruolo svolto nella loro dispersione. Per questo sono stato persino accusato d’aver “bruciato” il centro comunitario arabo Jabha di Chicago, accusa messa per scritto su un sito internet palestinese che si autodefinisce “Palestina Libera”.
Il sogno di “un unico stato” sembra affascinante, ma solo in quest’atmosfera di tragedia, di violenze crescenti e di continue sofferenze. In verità la soluzione “un unico stato” non è un sogno: è un incubo che non potrà mai realizzarsi.
Può darsi che la soluzione “due stati” sia agonizzante, ma non è morta. Un giorno tutti gli israeliani riconosceranno la vanità della linea dura e l’inevitabilità della soluzione “due stati” basata su giustizia e ed equità. Ma oggi l’onere ricade soprattutto sui palestinesi, che devono abbracciare la speranza dell’interlocutore con ragionevolezza, e sconfiggere quegli estremisti in mezzo a loro così convinti che un conflitto infinito sia sempre meglio di un “vergognoso” compromesso.

(Da: YnetNews, 19.11.06)

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