L’inferno siriano

Israele non può permettersi di ignorare la lezione che si deve trarre dalla carneficina fra arabi, e dall’inerzia della comunità internazionale

Editoriale del Jerusalem Post

La guerra civile siriana vita da Israele

La guerra civile siriana vista da Israele

Hezbollah è il primo nome che viene in mente quando si cerca di capire chi abbia architettato l’attentato di martedì contro una jeep di soldati israeliani in servizio di pattuglia sulle alture del Golan al confine con la Siria. La possibile motivazione del movimento sciita libanese è evidente, dopo la recente distruzione di un suo carico di missili in transito dalla Siria verso il Libano. Non solo aveva giurato vendetta, ma il suo alleato, il despota Bashar Assad impegnato nella guerra civile siriana, aveva avvertito già da tempo che non avrebbe più “trattenuto” le milizie Hezbollah dal colpire Israele dal versante siriano del Golan. Tenendo presente questo scenario, l’agguato esplosivo (e il possibile tentativo di sequestro) che ha causato il ferimento di quattro militari israeliani non costituisce una sorpresa.

Tuttavia nulla è necessariamente ciò che sembra, oggi, in Siria. Il paese si è deteriorato in una zona di guerra tutti-contro-tutti come persino la travagliata regione del Medio Oriente non aveva mai conosciuto. È diventato l’arena per ogni possibile gruppo terroristico: da al-Qaeda sostenuta dai sunniti, al suo arci-rivale sciita Hezbollah, appoggiato dall’Iran, con il ventaglio fra i due estremi cosparso da una miriade di gruppi eccentrici, impenetrabili e oscuri, tutti bellicosi, violenti ed efferati a livelli inconcepibili nell’Occidente liberale e pluralista di oggi.

Quella che era iniziata come una protesta, poi una rivolta, poi una guerra civile siriana che ha attirato tutti questi elementi aggressivi, è ormai dolorosamente entrata nel suo quarto anno. E i fatti restano in gran parte ignorati dalla comunità internazionale, dove ormai tutto ciò che ci si può aspettare è qualche sporadico brivido per lo spettacolo horror che si consuma in Siria.

«Da tutte le parti in causa vengono perpetrati clamorosi crimini contro l’umanità»

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I deboli ribelli anti-Assad stanno svanendo rapidamente a vantaggio di una gamma variamente assortita di intrusi jihadisti. Assad e i diversi fanatici giunti dall’estero controllano roccaforti isolate trasformate in mini-stati autonomi. Non si vedono i buoni: tutti i protagonisti di questo bagno di sangue intestino sono veri e propri cattivi. E tutti mentono in modo spudorato. Non giunge una sola parola, oggi dalla Siria, di cui ci possa fidare.

Il caos siriano svela impietosamente per quello che sono sia il pan-arabismo che la sua antitesi, le nazionalità arabe distinte: imposture artificiali. Il fragile e artificioso involucro nazionale esteriore si è miseramente disintegrato (anche in altre parti del mondo arabo, ma in Siria nel modo più brutale). Questo non è un conflitto dove sia possibile una vittoria risolutiva. Da tutte le parti in causa vengono perpetrati clamorosi crimini contro l’umanità; e il mondo, salvo qualche occasionale dichiarazione di circostanza, praticamente se ne disinteressa. La brama di carneficina imperversa in Siria, evidenziando per inciso l’ingenuità e la stoltezza di iniziative americane e occidentali come la conferenza di pace di Ginevra.

«Se questo è il modo in cui gli arabi si trattano a vicenda, cosa sarebbero capaci di scatenare contro gli ebrei?»

Mentre continua a mietere vittime, l’inferno siriano ci recapita messaggi di importanza vitale per Israele, messaggi che Israele non può permettersi di ignorare se vuole continuare a vivere. Se questo è il modo in cui gli arabi si trattano a vicenda, cosa sarebbero capaci di scatenare contro quegli ebrei che tutti loro sono stati indottrinati per generazioni a odiare e aborrire? Se poi – come si vede – non esiste nemmeno una parvenza di nazionalità siriana distinta e minimamente coesa, risulta ancora più chiaro come non esista una nazionalità palestinese distintiva e minimamente coesa (dice nulla la guerra civile in embrione fra Fatah e Hamas?). La spietata conflagrazione che sta consumando la Siria potrebbe altrettanto facilmente consumare quello stato palestinese che la comunità internazionale reclama a gran voce. Il giorno in cui Israele dovesse lasciare Giudea e Samaria (Cisgiordania), jihadisti d’importazione che non hanno nulla da perdere le trasformerebbero in teatri di morte, con un analogo delirio di atrocità. A quel punto il caos regnerebbe appena fuori dalla nostra porta, e ci investirebbe inevitabilmente un giorno dopo l’altro.

«Altrettanto cruciale è che israeliani non trascurino l’indifferenza e l’inerzia della famiglia delle nazioni»

«Altrettanto cruciale è che gli israeliani non sottovalutino l’indifferenza e l’inerzia della famiglia delle nazioni»

Tutti i bei discorsi sul fatto che il territorio non sarebbe più importante, nella nostra realtà tecnologica e globalizzata, si rivelano oggi uno sproloquio intellettualistico. È già abbastanza penoso considerare quale sarebbe ora la nostra sorte se avessimo ceduto ai consigli dei più velleitari e avessimo ceduto il Golan ad Assad. Ma è incomparabilmente più terrificante immaginare dove saremmo oggi, se questa stessa invasata volontà di annientamento reciproco fra salafiti e sciiti – e fra le tante fazioni della loro schiatta – si consumasse alle porte di Kfar Saba, di Petah Tikva, di Gerusalemme. Se qualcosa ci insegna la Siria, è che il territorio conta ancora e conta alla grande, contrariamente a quanto ama sostenere il velleitario pensiero utopico più alla moda. Linee concretamente difendibili e rifugi ben protetti non sono cose né superflue né obsolete.

Ed altrettanto cruciale è che gli israeliani non sottovalutino l’indifferenza e l’inerzia della famiglia delle nazioni. Se le nazioni si limitano a predicare vane parole di fronte alla carneficina degli arabi a cui tengono tanto, possiamo ben immaginare quanto si commuoverebbero per la sorte dei ben più impopolari ebrei israeliani.

(Da: Jerusalem Post, 19.3.14)