L’insostenibile leggerezza dello stato palestinese

Se l’economia della Cisgiordania non si integrerà con quella della Giordania, o con quella di Israele, non potrà mai sostenere la propria popolazione

Gli abitanti di Gaza e di Cisgiordania hanno un Pil lordo pro capite di 2.867 dollari annui e un’aspettativa media di vita di 74 anni: condizioni molto simili a quelle dei cittadini della Giordania e dell’Egitto e molto superiori a quelle dei cittadini dell’India, per non parlare di molti paesi africani. I 95 milioni di cittadini eritrei, ad esempio, hanno un Pil annuo pro capite di soli 500 dollari.

Tutto bene? No, perché il reddito medio è garantito non dal funzionamento dell’economia, ma dai sussidi internazionali. Gli abitanti della Cisgiordania sono anche più ricchi di quelli di Gaza perché circa 150.000 fra loro lavorano in Israele, con remunerazioni pari a quelle degli israeliani.

Che c’è di male nel dipendere dagli aiuti internazionali? La mancanza di indipendenza. Molti aiuti sono mirati ad alimentare conflitti. Le armi di cui abbonda Hamas a Gaza sono fornite o pagate dall’Iran, ma debbono essere usate per uccidere e farsi uccidere. Parte dei sussidi che l’Autorità Palestinese riceve dall’Europa e dagli Usa sono usati per mantenere le famiglie dei terroristi detenuti in Israele, o giovani che si addestrano al combattimento con gli israeliani, anziché lavorare.

Massimi ricettori di aiuti internazionali pro capite (2004-2013). In rosso: i Territori palestinesi

Si è creato un circolo vizioso: la comunità internazionale provvede aiuti in varie forme per evitare scoppi di violenza nella massa di giovani disoccupati, ma parte di quegli aiuti deve andare ad alimentare violenza e disoccupazione anziché attività produttive, altrimenti gli aiuti si interromperebbero. Il circolo vizioso non riesce a interrompersi perché eventuali attività produttive in Cisgiordania e Gaza dovrebbero trovare uno sbocco nei mercati e i mercati contigui, naturali, sono l’Egitto e la Giordania. Ma il commercio fra Cisgiordania e Giordania, o fra Gaza ed Egitto, è modestissimo da oltre vent’anni. Nel 2015 la Cisgiordania ha esportato in Giordania beni per 60 milioni di dollari e ne ha importati per 107 milioni: un’inezia. Anche le esportazioni dalla Cisgiordania in Arabia Saudita e negli altri paesi del Golfo debbono passare attraverso la Giordania, ma i giordani hanno timore della concorrenza palestinese. La Cisgiordania esporta beni per soli 61 milioni di dollari all’anno verso i paesi arabi, la Giordania ne esporta per oltre 2 miliardi.

Se l’economia della Cisgiordania non si integrerà con quella della Giordania, o con quella di Israele, non potrà mai sostenere la propria popolazione. L’integrazione economica con Israele è resa estremamente difficile dalle condizioni politiche e di sicurezza. Ora il movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) in Occidente è addirittura arrivato a far chiudere fabbriche israeliane che davano lavoro a decine di migliaia di palestinesi in Cisgiordania perché facevano parte di insediamenti considerati “illegali” dal punto di vista politico. Sono 150.000 palestinesi che si spostano ogni giorno per andare a lavorare in Israele (pochi rispetto al periodo di tranquillità che si ebbe negli anni ’90), ma ogni crisi politica e di sicurezza mette seriamente a rischio la loro possibilità di continuare il lavoro.

Non si intravvedono soluzioni, per ora. Forse soltanto un eventuale accordo regionale che preveda l’integrazione delle economie di tutti gli stati della regione, Israele incluso (una Comunità Economica degli Stati del Medio Oriente), potrà creare le condizioni che permetteranno davvero l’indipendenza politica della Cisgiordania, la cessazione della dipendenza dei palestinesi dalle sovvenzioni e dai condizionamenti stranieri e la pace fra israeliani e palestinesi. Per ora tale Comunità non è neppure ipotizzabile, ma non è detto che le condizioni non cambino, prima o poi.

(Da: Fondazionecdf.it, su dati Strategic Forecasting e Geopolitical Intelligence, 24.3.17)