L’insulto dell’apartheid è un attacco all’esistenza stessa dello stato ebraico

Amnesty rifiuta di vedere la realtà dei fatti, vuole disarmare Israele di fronte a nemici spietati, nega il diritto all’autodeterminazione degli ebrei (e solo degli ebrei)

Di Luke Akehurst

Luke Akehurst, autore di questo articolo

Il nuovo rapporto di Amnesty International che etichetta Israele come “apartheid”, sia all’interno di Israele pre-67 che in Cisgiordania, non solo non contribuisce affatto alla costruzione della pace e alla soluzione del conflitto tra Israele e i palestinesi, ma anzi mina la possibilità che vengano utilmente affrontate alcune critiche che muove a specifiche azioni e politiche israeliane dal momento che le inquadra all’interno dell’accusa generale di un sistema di “apartheid” che, se fosse vero, potrebbe essere risolto solo con l’abolizione di Israele come stato ebraico.

L’argomento con cui Amnesty giustifica l’uso del termine “apartheid” si basa sull’affermazione che Israele in quanto tale sarebbe animato dal “proposito di preservare un sistema di oppressione e dominio”. Ma il proposito di Israele non è esercitare “oppressione e dominio”. Il proposito di Israele è garantire e preservare la libertà e l’autodeterminazione nazionale del popolo ebraico e proteggere la vita dei suoi cittadini, ebrei e arabi, da minacce militari e terroristiche.

I propositi di Israele sono stati chiaramente stabiliti nella sua Dichiarazione d’Indipendenza del 1948: “Lo Stato d’Israele sarà aperto all’immigrazione ebraica e alla riunione degli esuli: promuoverà lo sviluppo del paese a beneficio di tutti i suoi abitanti; sarà fondato su libertà, giustizia e pace come preconizzato dai profeti d’Israele; assicurerà completa eguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso; garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura; salvaguarderà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite”. E aggiungeva: “In mezzo al violento attacco lanciato contro di noi da mesi, facciamo appello agli abitanti arabi dello Stato d’Israele affinché preservino la pace e prendano parte all’edificazione dello Stato sulla base della piena ed eguale cittadinanza e della giusta rappresentanza in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti”.

Studenti universitari arabi ed ebrei in Israele

L’uso del termine “apartheid” è assurdo e appare immediatamente ridicolo non appena si considera la presenza alla Knesset (il parlamento israeliano) di 14 parlamentari arabi affiliati a sei diversi partiti, e la presenza nella coalizione di governo di Ra’am, un partito arabo musulmano, cosa che ha reso il suo leader Mansour Abbas uno dei politici più influenti d’Israele. Israele all’interno della Linea Verde (la ex linea armistiziale del periodo 1948-67 tra Israele e la Cisgiordania occupata dalla Giordania ndr) è una società in cui la minoranza araba è costituita da cittadini con diritto di voto, che svolgono un ruolo pieno nella società e utilizzano le stesse università, gli stessi ospedali, gli stessi parchi, spiagge, cinema e negozi dei loro concittadini ebrei. Esistono certamente disuguaglianze e discriminazioni che devono essere affrontate, ma non hanno niente a che vedere con l'”apartheid”, il sistema che in Sud Africa negava alla maggioranza nera della popolazione tutti i diritti civili e politici e la segregava in strutture e servizi di seconda classe o inesistenti.

Anche la situazione in Cisgiordania è guidata non da un presunto desiderio israeliano di “opprimere e dominare” i palestinesi, bensì dalle minacce alla sicurezza esistenziale con cui Israele ha dovuto e deve fare i conti. Israele è presente in Cisgiordania solo a causa della guerra che ha combattuto nel 1967 per la propria sopravvivenza nazionale. Le sue forze di sicurezza vi operano a causa del terrorismo. Vi furono costruiti insediamenti per rendere più difficile un attacco militare convenzionale attraverso la Cisgiordania. La barriera di sicurezza (che per più di 35 anni nessuno aveva pensato di erigere ndr) è stata costruita per fermare la terrificante ondata di attentati suicidi della seconda intifada.

Sottolinea Andrew Lövy, della Widener University School of Law (Chester, Pennsylvania): Un’accusa frequente mossa a Israele è quella di applicare diversi sistemi legali ai palestinesi in Cisgiordania e agli israeliani. Tuttavia, è importante notare che i palestinesi della Cisgiordania non sono cittadini israeliani e non possono essere governati dalla legge israeliana. Durante gli anni ’90, Israele e i rappresentanti palestinesi hanno stipulato degli accordi bilaterali, con la Dichiarazione di Principi del 1993 e l’Accordo Ad Interim del 1995, che divennero noti come Accordi di Oslo. In base agli Accordi di Oslo, entrambe le parti hanno deciso di suddividere la Cisgiordania in tre aree distinte: le aree A, B e C. Le aree A e B, dove si trova il 98% della popolazione palestinese che vive in Cisgiordania, sono sotto l’amministrazione civile della dirigenza palestinese. Di conseguenza, la dirigenza palestinese governa quasi tutti i palestinesi in Cisgiordania ed è responsabile di tutti i relativi compiti amministrativi come polizia, tasse, istruzione, governi locali, sistema giudiziario ecc. L’area C è amministrata da Israele. Il controllo israeliano sulla Cisgiordania non corrisponde alla tradizionale definizione internazionale di “occupazione”. Tuttavia Israele ha deciso di attenersi alle disposizioni umanitarie della Quarta Convenzione di Ginevra. E’ in conformità all’articolo 66 della Quarta Convenzione di Ginevra che Israele ha istituito tribunali militari nell’Area C. In base all’articolo 43 delle Convenzioni dell’Aia, a Israele sarebbe vietato applicare il proprio sistema legale civile ai palestinesi della Cisgiordania.
(Da: Jerusalem Post, 24.1.22)

La pace e l’autodeterminazione nazionale per i palestinesi nel quadro di una soluzione a due stati arriveranno quando verrà negoziato un accordo che garantisca a Israele sicurezza e pace in cambio della statualità palestinese. Quell’accordo non può essere imposto dall’esterno da Amnesty International né da chiunque non faccia altro che colpevolizzare e condannare Israele.

L’accusa di apartheid ha le sue radici nella propaganda sovietica durante la Guerra Fredda e venne ideata per negare al sionismo il carattere di movimento per l’autodeterminazione e la liberazione nazionale degli ebrei dopo che avevano sofferto millenni di razzismo culminati della Shoà. Serviva a capovolgere la realtà ed etichettare il sionismo come un’ideologia razzista, colonialista e imperialista e Israele come uno stato illegittimo.

Un soldato arabo-israeliano con sua madre

Amnesty chiede che Israele – uno stato costantemente minacciato da organizzazioni terroristiche come Hamas e Hezbollah e da regimi aggressivi che manifestano esplicite intenzioni genocide come l’Iran – venga colpito da un “embargo globale sulle armi”. In pratica, Amnesty chiede che Israele venga disarmato e privato della possibilità di difendere i propri cittadini da nemici spietati.

Amnesty chiede il “diritto al ritorno di milioni di profughi palestinesi” (in realtà, dei loro discendenti di terza, quarta e persino quinta generazione ndr), non all’interno del futuro Stato palestinese ma all’interno di Israele, il che significherebbe che invece di uno Stato ebraico e uno Stato arabo-palestinese con esercizio dell’autodeterminazione per entrambi i popoli, ci sarebbero due stati a maggioranza arabo-palestinese.

Amnesty attacca Israele persino per aver esentato i suoi cittadini arabi dal servizio militare, quando manifestamente questa esenzione è un privilegio e gli arabi, se lo desiderano, possono per prestare servizio volontario nelle Forze di Difesa o nel servizio civile, e diversi di loro lo fanno.

La delegittimazione di Israele come “apartheid” non avrà successo perché è totalmente avulsa dalla verità. Amnesty International svolge un ruolo legittimo nel richiamare tutti i governi e i poteri alle loro responsabilità in fatto di violazioni dei diritti umani. Ma non ha nessun ruolo legittimo né alcuna facoltà di decidere che il popolo ebraico non ha diritto all’autodeterminazione nazionale e ad avere uno Stato in cui autodeterminarsi democraticamente come maggioranza, quando l’esistenza di un tale Stato è l’unico scudo che garantisce il popolo ebraico contro pogrom e genocidio.

(Da: Times of Israel, 31.1.22)

 

Il Movimento delle Ebraismo Riformato ha condannato fermamente il rapporto di Amnesty che accusa Israele di apartheid, esprimendo in un comunicato “profonda delusione” proprio in quanto movimento critico dell’occupazione e sostenitore dei diritti dei palestinesi. La nota afferma che il rapporto di Amnesty “è pieno di accuse screditate e imprecise, compresa l’accusa profondamente sbagliata di apartheid”, e “riflette l’incapacità di Amnesty di capire la storia, il contesto e le sfumature della situazione in Israele e nell’Autorità Palestinese e le minacce reali alla sopravvivenza e alla sicurezza che Israele ha dovuto affrontare sin dalla sua fondazione”. L’accusa di apartheid, continua il Movimento delle Ebraismo Riformato, “si presenta come una falsa equiparazione con le istituzioni di segregazione ufficiale e rigida, la negazione dei diritti politici e sociali e la disumanizzazione di base praticate per decenni dal regime sudafricano. Qualunque intenzione di Amnesty di differenziare l’uso del termine apartheid dall’associazione più ovvia con il Sud Africa non sta in piedi. L’incapacità di Amnesty di considerare le legittime preoccupazioni di sicurezza di Israele, e le reali minacce di genocidio che deve affrontare, di fatto mette a repentaglio l’esistenza dello stato ebraico democratico di Israele. La richiesta di un pieno ritorno dei profughi; il sostegno al boicottaggio BDS e all’isolamento economico e diplomatico di Israele; il sottinteso che la fondazione e il perdurare di Israele come stato ebraico siano di per sé una violazione della Convenzione sull’Apartheid; l’incapacità di attribuire all’Autorità Palestinese alcuna responsabilità per mutare le condizioni in modo che possano consentire maggiori diritti e sicurezza per tutti; il mancato riconoscimento che solo una soluzione a due stati può risolvere al meglio le preoccupazioni esposte in questo rapporto sono tutti elementi profondamente preoccupanti che vanno ad aggiungersi al natura fuorviata del rapporto”. (Da: Times of Israel, 1.2.22)

 

Issawi Frej, parlamentare arabo israeliano del partito di sinistra Meretz e ministro per la Cooperazione regionale nell’attuale coalizione di governo, ha respinto il nuovo rapporto di Amnesty che accusa Israele di essere uno stato di apartheid. “Israele ha molti problemi che devono essere risolti all’interno della Linea Verde e certamente nei territori occupati – ha twitatto Issawi Frej – ma Israele non è uno stato di apartheid”.

Commento di Tamar Schwarzbard, capo dipartimento nuovi media presso il Ministero degli esteri israeliano: “Amnesty, quando un ministro israeliano musulmano deve dirti che Israele non è uno stato di apartheid, sai di avere un problema”. (Da: honestreporting.com, 1.2.22)

Il tweet di Tamar Schwarzbard e, sotto, quello del ministro arabo israeliano Issawi Frej