L’intervento in Libia potrebbe risolversi in un boomerang

Se Gheddafi si rammarica d’aver abbandonato il nucleare, altri non vorranno ripetere il suo errore.

Di Yehezkel Dror

image_3097A prima vista il violento intervento occidentale in Libia si merita il plauso di chi sostiene libertà e diritti umani. Ad un esame più approfondito, tuttavia, sorgono dei dubbi circa le virtù dell’intervento e i risultati che si può aspettare.
In parte il sostegno europeo all’intervento nasce da un sincero impegno umanitario. Ma la mancanza di sforzi altrettanto seri per impedire assassinii e stupri di massa in aree dell’Africa sub-sahariana o nel Darfur sudanese suscitano dubbi sulla purezza delle ragioni dell’intervento in Libia. L’Europa ha un suo preciso interesse alla stabilizzazione della Libia, in particolare per prevenire un afflusso ai propri confini di profughi sgraditi. Anche le vaste riserve petrolifere della Libia giocano il loro ruolo. Un’ulteriore considerazione è legata al fatto che questo intervento militare è relativamente “a buon mercato” in termini di rischio per i soldati occidentali, che possono combattere dall’aria.
Il peso degli interessi di realpolitik nel decidere l’intervento in Libia non sfuggirà agli occhi degli osservatori arabo-islamici. Anche la partecipazione di alcune forze arabe non cancellerà l’idea, in larga parte del mondo arabo-islamico, che si tratti per lo più di un’aggressione neo-colonialista. Un’idea che verrà ulteriormente rafforzata dall’assenza di azioni occidentali contro autocrati che reprimono rivolte civili in altri paesi arabi ma che l’occidente ha interesse che restino al potere, o contro i quali comunque non è disposto a rischiare la vita dei propri soldati.
Nel frattempo la trasformazione della Libia in un tranquillo stato democratico è lungi dall’essere garantita (anche in caso di successo degli insorti), mentre il precedente rappresentato da questo intervento militare non servirà a dissuadere altri autocrati dal reprimere con estrema violenza le ribellioni. D’altra parte, l’intervento in Libia potrebbe incoraggiare sollevazioni in altri stati arabi (e non arabi) o forze anche favorire un processo di riforme.
Non è possibile prevedere il risultato di tali sviluppi, ad eccezione di un caratteristico crescendo del livello di impeto sociale nei paesi arabi. Ma l’intervento in Libia potrebbe facilmente dirigere tali energie contro l’occidente per via della sua immagine neocolonialista e della sensazione che voglia imporre i suoi valori alle società islamiche. Un certo incremento di terrorismo anti-occidentale è da mettere nel conto delle possibilità concrete.
Ma ancora più grave è la lezione che verosimilmente gli autocrati arabi trarranno dalla vicenda libica, e cioè che gli conviene dotarsi di armamenti in grado di dissuadere l’occidente. Sicuramente il capo libico Muammar Gheddafi oggi si rammarica di aver abbandonato (nel 2003) il suo programma per armi nucleari. Se oggi disponesse di armi di distruzione di massa, o perlomeno vi fosse la sensazione che ne abbia, le nazioni dell’occidente si tratterrebbero, indipendentemente da quanto sia dispotico il suo regime, o almeno lo farebbero finché la Libia non ponesse una serie e concreta minaccia contro di loro.
Altri non vorranno ripetere il suo “errore”. L’intervento contro Gheddafi rafforzerà la determinazione dell’Iran a sviluppare armamenti nucleari. Ed anche altri autocrati prenderanno esempio dalla Corea del Nord, dove l’arma atomica protegge un regime tirannico rispetto ad eventuali azioni di forza dall’esterno.
Le cose starebbero in modo diverso se l’intervento contro Gheddafi annunciasse davvero un nuovo ordine globale che vedesse le potenze mondiali intervenire negli altri paesi, anche con il ricorso alla forza, per impedire assassinii di massa, promuovere i diritti umani, fermare lo sviluppo di armi di distruzioni di massa. Israele sarebbe fortemente interessato a un tale ordine mondiale, che risponderebbe ai valori dell’ebraismo e garantirebbe la sua sicurezza, eventualmente anche al prezzo di accordi di pace non del tutto soddisfacenti per Gerusalemme. Ma un tale nuovo ordine mondiale è, allo stato attuale, estremamente improbabile. Dunque l’intervento dell’occidente contro Gheddafi può facilmente portare più danni che benefici.
Per quanto concerne Israele, è meglio che Gerusalemme se ne tenga fuori. Certamente non c’è alcuno spazio per simpatie verso Gheddafi, ma è tutt’altro che certo che coloro che stanno cercando di prendere il suo posto saranno meno ostili. E, per Israele, sforzi ancora più decisi da parte iraniana per sviluppare armamenti nucleari sono decisamente un male.

(Da: Ha’aretz, 22.3.11)

Nella foto in alto: Yehezkel Dror, autore di questo articolo