L’ipocrisia di Erdogan (e di chi finge di non vedere)

Quella dell’Europa con la Turchia è una relazione malsana, fondata su paura e ricatto anziché su fiducia e su interessi e valori condivisi

Editoriale del Jerusalem Post

Gennaio 2012: il capo di Hamas Ismail Haniyeh e l’allora primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, al parlamento di Ankara, in Turchia

Doppiezza morale e ipocrisia non sono una novità, per il presidente turco e uomo forte neo-ottomano Recep Tayyip Erdogan. Da un lato, fa ricorso a minacce e intimidazioni per soffocare ogni tentativo internazionale di riconoscere il ruolo della Turchia nel genocidio perpetrato contro il popolo armeno. Dall’altro, non si fa scrupolo di distorcere la memoria della Shoà.

Proprio la scorsa settimana, ad esempio, un giornale turco grande sostenitore di Erdogan ha ritratto in copertina la cancelliera tedesca Angela Merkel come Adolf Hitler, con tanto di baffetti e bracciale con svastica, accusandola di avere una “mentalità nazista”. In diverse occasioni, lo stesso Erdogan ha definito Merkel una nazista. Mentre reprime tutte le forme di dissenso nei mass-media, tra gli intellettuali e nelle università, Erdogan insiste con la richiesta di ammissione della Turchia nell’Unione Europea. Quando poi un politico europeo come Angela Merkel si oppone a tale ammissione della Turchia finché il governo di ispirazione islamista di Erdogan calpesta i diritti umani fondamentali, imprigiona i giornalisti di idee indipendenti, epura gli intellettuali dalle università e intimidisce i politici dell’opposizione e gli uomini d’affari laici, ecco che Erdogan la definisce nazista.

In quanto alleato nella Nato, la Turchia di Erdogan gode del sostegno militare dagli Stati Uniti. Ma la Turchia usa gli F-16 americani per uccidere i curdi siriani, che sono i più importanti alleati degli Stati Uniti nella guerra contro l’Isis nonché una delle poche forze veramente democratiche che operano in Siria.

Il primo ministro bulgaro Boyko Borissov, il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, il presidente della Turchia Tayyip Erdogan e il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker al summit di Varna, in Bulgaria, il 26 marzo 2018

Dunque, quando domenica scorsa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ed Erdogan si sono scambiati frecciate via Twitter, Netanyahu non ha fatto che affermare una cosa ovvia e lampante quando ha sottolineato l’ipocrisia del politico turco nel criticare Israele per aver difeso il proprio confine con la striscia di Gaza controllata da Hamas.

Ciò che è meno chiaro, tuttavia, è la duratura legittimità internazionale di cui gode il regime di Erdogan. Nel 2016, un colpo di stato militare da operetta ha offerto il destro a Erdogan per spazzare via ciò che restava delle istituzioni democratiche turche e lanciare una purga dei suoi avversari politici. Ben più di 100mila persone sono state arbitrariamente punite in vario modo, dal licenziamento alla reclusione. Lo scorso aprile, un referendum contrassegnato da accuse di frodi e brogli ha sostituito il governo parlamentare turco con uno presidenziale che consente a Erdogan di rimanere in carica indefinitamente. Il “sì” è prevalso solo nelle campagne dove prosperano l’analfabetismo, la disuguaglianza di genere e il fondamentalismo religioso.

Febbraio 2018, comizio a Kahramanmaras del partito islamico Akp, al governo in Turchia. Il presidente Erdogan consola una bambina in lacrime (vestita con l’uniforme delle forze speciali impegnate in Siria nell’enclave curda di Afrin) dicendole: “Una soldatessa dei berretti bruni non piange, lo sai?”, e aggiunge: “Ha la bandiera turca in tasca. Se diventerà una martire, a Dio piacendo, sarà avvolta nella bandiera. Sei pronta a tutto, vero? E voi lo siete?”

Eppure i leader europei di quasi ogni parte politica si sono detti a favore dell’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Giusto la scorsa settimana gli alti papaveri dell’Unione Europea hanno ospitato l’uomo forte turco a Varna, sulla costa bulgara del Mar Nero: un vertice che ha permesso a Erdogan di mantenere viva la speranza, peraltro remota, che un giorno la Turchia entri a far parte dell’Unione Europea. Ma come può l’Unione Europea, presunto bastione di apertura e democrazia liberale, anche solo contemplare la candidatura della Turchia? Il regime antidemocratico e islamista del paese controlla ormai tutti i principali mass-media e il sistema giuridico, e intanto conduce un’offensiva militare contro i curdi di Siria, una delle poche forze pro-democrazia in Medio Oriente.

E come fanno gli Stati Uniti e le altre nazioni occidentali a continuare ad accettare l’appartenenza della Turchia alla Nato, la più importante alleanza militare delle potenze occidentali?

In parte la spiegazione ha a che fare con il ruolo della Turchia nel fermare le ondate di migranti siriani verso l’Europa. Invece di assumersi la responsabilità delle proprie frontiere, gli europei preferiscono delegare il compito alla Turchia, che sfrutta questo fatto per estorcere aiuti in denaro dall’Unione Europea e spingerla a rilanciare l’offerta di ingresso della Turchia. Si tratta di una relazione malsana, fondata sulla paura e il ricatto anziché sulla fiducia e su interessi e valori condivisi. Come Israele ha constatato direttamente, nei suoi vani tentativi di riconciliazione con Ankara dopo l’incidente della navi pro-Hamas Mavi Marmara, Erdogan si considera un esponente del programma anti-occidentale e filo-islamista così popolare oggi nel mondo musulmano. Erdogan non ha alcun interesse ad adottare valori democratici occidentali. È tempo che altri leader internazionali, in particolare in Europa, si uniscano a Netanyahu nel condannare pubblicamente le ipocrisie di Erdogan. Con le sue scelte e le sue azioni, Erdogan ha rimosso la Turchia dalla comunità delle nazioni democratiche. Dovrebbe essere messo di fronte alle conseguenze.

(Da: Jerusalem Post, 3.4.18)