L’arroganza di Putin, il fallimento della diplomazia e le dure lezioni per Israele

Lapid: "Guardo all'Ucraina e ringrazio il cielo per l’esistenza delle Forze di Difesa israeliane e della nostra capacità di difenderci"

Di David Horovitz, Lahav Harkov

Il tweet ufficiale ucraino postato giovedì

Mentre le truppe russe lanciavano il loro attacco all’Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin affermava che la “speciale operazione militare” mira a “de-nazificare” il paese vicino. “L’obiettivo – dichiarava Putin – è proteggere le persone che negli ultimi otto anni sono state vittime di bullismo e genocidio [sic] e per questo ci adopereremo per smilitarizzare e de-nazificare l’Ucraina”.

Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky è ebreo. All’inizio del suo mandato era ebreo anche il primo ministro, Volodomyr Groysman, circostanza che aveva reso l’Ucraina l’unico paese oltre a Israele ad avere sia presidente che premier ebrei. I mass-media russi dipingono costantemente l’Ucraina come un paese allineato al nazismo, senza mai produrre prove a sostegno di tali accuse. Non è dunque chiaro a cosa si riferisse esattamente, con le sue affermazioni sul nazismo, quello stesso Putin il cui intervento militare in Siria, tanto per dire, è stato ed è determinante per mantenere al potere uno dei regimi più “nazisti” oggi esistenti, quello del dittatore e massacratore Bashar Assad. Nel frattempo, l’account Twitter ufficiale dell’Ucraina ha postato una vignetta dove si vede Putin vezzeggiato dal dittatore nazista Adolf Hitler come un bravo allievo. L’allusione storico-politica non potrebbe essere più esplicita. Solo ora il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si adopera per raccogliere un vasto sostegno internazionale a difesa dell’Ucraina, promettendo nuove “devastanti” sanzioni intese a punire la Russia per un atto di aggressione “ingiustificato”, che la comunità internazionale aveva peraltro previsto da molte settimane senza riuscire a prevenirlo con la diplomazia.
(Da: Times of Israel, israele.net, 24.2.22)

David Horovitz

Scrive David Horovitz: “L’amministrazione Biden – ha detto alcuni giorni fa un anonimo funzionario israeliano al Canale 13 – ha trasformato la diplomazia in una religione”. Non voleva essere un complimento. L’alto funzionario si stava riferendo allo sforzo incessante dell’amministrazione Usa di rilanciare l’accordo nucleare del 2015 con l’Iran, uno sforzo che ha fatto “progressi sostanziali” nell’ultima settimana secondo la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki. Ma il commento vale anche per un contesto più ampio, in particolare da quando Vladimir Putin ha iniziato a marciare sull’Ucraina.

Il crollo dell’Unione Sovietica lasciò gli Stati Uniti come unica superpotenza mondiale, auto-investita in linea di principio del compito di difendere la libertà e fronteggiare la tirannia in tutto il mondo, pur cercando comprensibilmente, all’atto pratico, di ridurre i costi in termini di sangue e soldi americani. Era allo stesso tempo una posizione immensamente privilegiata e immensamente impegnativa. Nel corso del tempo – come si è visto dopo la fallita promozione della democrazia in Iraq, la caotica uscita dall’Afghanistan, la graduale riduzione dell’influenza in Siria – la riduzione di quei costi ha avuto la precedenza sul ruolo di protettore della libertà globale. Intanto la Cina si faceva avanti per sfidare lo status di unica superpotenza dell’America. E adesso arriva Putin che afferma le sue ambizioni sfruttando la percepita debolezza dell’America e invadendo spudoratamente una Ucraina il cui presidente riformista e anti-corruzione stava cercando di avvicinarsi a Stati Uniti e Occidente.

Dal punto di vista particolare di Israele, il perseguimento senza ostacoli da parte di Putin dei suoi obiettivi espansionistici, in aperta sfida agli avvertimenti americani, evoca echi sinistri. Serve a ricordare a Israele – come se ne avesse bisogno – la necessità di prendere terribilmente sul serio le minacce lanciate da avversari rapaci, primo fra tutti l’Iran, che hanno la capacità, o si stanno adoperando per ottenerne la capacità di metterle in atto. Come mi ha detto il ministro degli esteri Yair Lapid meno di due settimane fa, “guardo all’Ucraina e ringrazio il cielo per l’esistenza delle Forze di Difesa israeliane e della nostra capacità di difenderci”. … Diplomazia non è certo una parolaccia. Una diplomazia efficace, supportata da misure punitive e da concreta determinazione avrebbe potuto indurre Vladimir Putin a riflettere di più. Una diplomazia efficace, supportata da misure punitive e da concreta determinazione potrebbe ancora indurre il regime iraniano a pensarci due volte ed evitare la prova di forza sul nucleare. Non è così, tuttavia, quando la diplomazia si trasforma “in religione”, come ha affermato l’anonimo funzionario israeliano (sicuramente molto vicino all’ufficio del primo ministro). Non è così, cioè, quando la diplomazia diventa una sorta di atto di fede, slegato o paralizzato da una realtà che viene plasmata da avversari sempre più arroganti, e persino beffardi.
(Da: Times of Israel, 24.2.22)

Lahav Harkov

Scrive Lahav Harkov: La guerra in Ucraina è un tipo di evento che l’Occidente non vedeva da decenni, con ricadute ancora imponderabili che probabilmente si faranno sentire in tutto il mondo negli anni a venire. Ma c’è già una lezione lampante, per Israele: possiamo fare affidamento solo su noi stessi. È vero che questo è un ritornello che ricorre continuamente nella politica israeliana, ad esempio di recente nel momento in cui il mondo negozia un accordo con l’Iran che probabilmente non si tradurrà in una ragionevole tutela di Israele a fronte di un regime determinato a perseguire la nostra distruzione. “Se necessario ci difenderemo da soli – ha detto il primo ministro Naftali Bennett”. Gli ha fatto eco il capo dell’opposizione, Benjamin Netanyahu: “Israele deve fare ciò che va fatto per difendersi da questa straordinaria minaccia alla sua esistenza”.

Ma, giusto nel caso qualcuno avesse dei dubbi, la guerra in Ucraina ha messo in rilievo più che mai il messaggio di quel ritornello. La Russia rappresenta una continua minaccia per l’Ucraina almeno dal 2014, e i leader occidentali hanno parlato molto di opposizione all’aggressività russa, hanno imposto sanzioni, ma non avevano né il proposito né la volontà di nuocere davvero a Mosca. Nell’imminenza dell’invasione russa l’Occidente ha intensificato retorica e sanzioni, ma per l’Ucraina sembra troppo poco e troppo tardi.

Solo pochi giorni fa i leader americani, tedeschi, britannici e dell’Unione Europea riuniti alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco hanno plaudito alla loro “unità” contro l’aggressione russa all’Ucraina. Ma il presidente ucraino Volodymyr Zelensky li ha messi di fronte al fatto che, mentre loro erano uniti, il suo paese veniva lasciato solo ad affrontare la Russia. “L’architettura della sicurezza mondiale è fragile e deve essere aggiornata – ha detto Zelensky – Le regole che il mondo ha concordato decenni fa non funzionano più. Non tengono il passo con le nuove minacce”. E si è chiesto: “A cosa portano i tentativi di appeasement?”, ricordando che la domanda “perché morire per Danzica?” si trasformò “nella necessità di morire per Dunkerque e per decine di altre città in Europa e nel mondo al prezzo di milioni di vite”.

Manifestazione di protesta di cittadini israeliani, molti di origine ucraina, davanti all’ambasciata russa a Tel Aviv

Secondo Zelensky, l’Occidente avrebbe potuto cercare di prevenire un attacco, anziché punire la Russia dopo il fatto, ricorrendo a più sanzioni, invio all’Ucraina di armi più avanzate, maggiore sostegno finanziario ecc. “Difenderemo il nostro Paese con o senza il supporto dei partner – ha poi ha affermato Zelensky – Ma l’invasione russa non è solo un attacco all’Ucraina, ma al mondo”. Quel supporto “non è un nobile gesto per cui l’Ucraina dovrebbe inchinarsi. E’ il vostro contributo alla sicurezza dell’Europa e del mondo, ai quali da otto anni l’Ucraina fa da scudo”.

Sembra di sentire le parole di Bennett quando parla di Israele e Iran: dalla richiesta di maggiori sanzioni e armi migliori, fino ai paragoni con l’appeasement alla viglia della seconda guerra mondiale e al ruolo di “prima linea” di Israele contro una minaccia più ampia: il terrorismo estremista islamico in Medio Oriente, la Russia espansionista in Europa. Certo, il parallelo non è perfetto. Le relazioni Usa-Israele, inclusa la cooperazione militare e di intelligence, sono molto forti. La Russia ha già invaso l’Ucraina, mentre c’è ancora tempo per fermare l’Iran, che tuttavia già attacca Israele mediante i suoi gregari. Inoltre, l’equilibrio di forza militare fra Israele e Iran è molto diverso di quello tra Russia e Ucraina. E Israele ottiene e sviluppa in proprio armi molto avanzate (ma brucia ancora il rifiuto americano di vendergli, anni fa, i bombardieri anti-bunker che avrebbero potuto contribuire a fermare la minaccia nucleare iraniana). Israele sembra anche avere generalmente più successo dell’Ucraina nell’attirare l’attenzione del mondo, nel bene e nel male, anche se sembra probabile che un accordo con l’Iran “più breve e più debole” di quello del 2015, come lo ha definito Bennett, verrà completato passando sotto ai radar dell’opinione pubblica, tutta concentrata sulla crisi ucraina.

Ma indipendentemente dalle differenze, appare chiaro quanto sia scarsa la determinazione dell’Occidente ad adottare serie misure preventive per bloccare le minacce esistenziali ai suoi alleati. Il che resta vero, anche se a parole ribadiscono ciò che va detto, e cioè che non permetteranno all’Iran di dotarsi di un’arma nucleare. I jet russi nei cieli di Kiev ce lo ricordano ancora una volta: Israele deve essere sempre pronto a difendersi, anche da solo.

(Da: Jerusalem Post, 24.2.22)