lllegittima e infondata la sentenza dell’Aja

“La Corte non riesce a mostrare alcun fatto o prova che smentisca le esigenze di sicurezza di Israele”

Dichiarazione del giudice Buergenthal

image_297Testo integrale della Dichiarazione con cui il giudice Thomas Buergenthal ha motivato il suo (unico) voto contrario all’opinione emessa dalla Corte Internazionale dell’Aja il 9 luglio sulla barriera anti-terrorismo israeliana.

1. Poiché io credo che la Corte avrebbe dovuto esercitare il suo potere discrezionale e rifiutare di dare il parere consultivo richiesto, dissento dalla decisione di affrontare questo caso.
Il mio voto negativo in relazione ai punti seguenti della sentenza non deve essere interpretato come se riflettesse una mia opinione che la costruzione del muro da parte di Israele nei Territori Palestinesi Occupati non faccia sorgere domande serie sul piano della legge internazionale. Io credo che queste domande siano legittime e condivido molto di quanto scritto nell’ “Opinione” espressa dalla Corte.
Tuttavia sono costretto a votare contro la sentenza della Corte nel merito perché essa non aveva a sua disposizione elementi basati su fatti reali necessari per poter raggiungere la sua assoluta sentenza; perciò avrebbe dovuto declinare la richiesta di affrontare questo caso.
Sono giunto a questa conclusione guidato da quello che la Corte stessa aveva detto in “Sahara Occidentale”. In quel caso la Corte aveva messo in risalto che il punto critico per decidere se esercitare o no il suo potere decisionale in relazione all’eventualità’ di accettare una richiesta di parere consultivo era il fatto che la Corte “avesse abbastanza informazioni e prove tali da permettere di arrivare ad una conclusione giuridica su tutti i fatti sui quali è necessario fare chiarezza, per dare un’opinione in condizioni compatibili con il suo carattere giudiziario” (Sahara Occidentale, opinione consultiva, Rapporti I.C.J. 1975, pag. 28-29, paragrafo 46).
A mio giudizio, l’assenza in questo caso delle informazioni e delle prove necessari invalida la sentenza della Corte nel merito.

2. Condivido l’opinione della Corte che la legge umanitaria internazionale, inclusa la Quarta Convenzione di Ginevra, e tutte le leggi internazionali sui diritti umani siano applicabili al Territorio Palestinese Occupato, e che perciò debbano essere scrupolosamente rispettate da Israele. Condivido l’opinione che il muro stia causando sofferenze deplorevoli a molti Palestinesi che vivono in quel territorio. In relazione a questo, sono d’accordo sul fatto che i mezzi usati per difendersi dal terrorismo debbano essere conformi a tutte le regole applicabili della legge internazionale e che uno Stato che è vittima del terrorismo non possa difendersi da questo flagello ricorrendo a misure che la legge internazionale proibisce.

3. Può capitare, ed io sono pronto ad accettarlo, che dopo un’analisi accurata di tutti i fatti pertinenti si giunga alla conclusione che alcuni o anche tutti i segmenti del muro in corso di costruzione da parte di Israele nel Territorio Palestinese Occupato violino la legge internazionale (vedi para. 10 sotto). Ma raggiungere questa conclusione sul muro nel suo complesso senza avere a disposizione o senza cercare di reperire le prove concrete in relazione al problema del diritto di Israele all’autodifesa, alle sue necessità militari ed al bisogno di sicurezza, tenuto conto dei ripetuti attacchi terroristici mortali – provenienti dai Territori Palestinesi Occupati – nel cuore stesso di Israele, a cui Israele è stato e continua ad essere soggetto, non è motivato secondo il diritto. La natura di questi attacchi attraverso la Linea Verde ed il loro impatto su Israele e sulla sua popolazione non sono mai stati seriamente esaminati dalla Corte, ed il dossier fornito alla Corte dalle Nazioni Unite, sul quale la Corte ha basato in gran parte le sue conclusioni, tocca a malapena questo tema. Io non sto suggerendo che quest’esame avrebbe assolto Israele dall’accusa che il muro che sta costruendo violi la legge internazionale, sia in toto che in parte, ma affermo che senza quest’analisi le conclusioni raggiunte non hanno fondamento legale. A mio parere, le necessità umanitarie del popolo palestinese sarebbero state servite meglio se la Corte avesse tenuto conto di queste considerazioni, perché questo avrebbe dato all’ “Opinione” espressa la credibilità di cui credo difetti.

4. Quello che sto affermando vale sia per sentenza complessiva della Corte quando afferma che il muro nel suo insieme, nella misura in cui è costruito sul territorio Palestinese Occupato, viola la legge internazionale umanitaria e la legge internazionale sui diritti umani, sia per la parte della sentenza che afferma che la costruzione del muro “ostacola gravemente il diritto all’autodeterminazione del popolo Palestinese, ed è perciò una violazione dell’obbligo di Israele a rispettare tale diritto” (para. 122). Io sono d’accordo che il popolo Palestinese abbia diritto all’autodeterminazione e che questo debba essere pienamente protetto. Ma anche supponendo, senza necessariamente essere d’accordo, che questo diritto sia pertinente al caso che stiamo trattando e che venga violato, il diritto di Israele all’autodifesa, se applicabile ed invocato in modo legittimo, precluderebbe ciò nondimeno la possibilità di definire illegali questi atti. Vedi articolo 21 della Commissione Legislativa Internazionale che dichiara: “L’atto di uno Stato non può essere definito illegale se esso costituisce una misura legale di autodifesa presa in conformità alla Carta delle Nazioni Unite.”

5. Se il diritto di Israele all’autodifesa giuochi un ruolo nel caso in oggetto dipende, secondo me, da un’analisi della natura e della portata degli attacchi terroristici mortali provenienti dall’esterno della Linea Verde a cui lo Stato di Israele è stato sottoposto, e dalla misura in cui la costruzione del muro, nella sua totalità od in alcuni segmenti, sia una risposta necessaria e proporzionata al tipo di attacchi. Secondo la legge, a me non sembra inconcepibile che alcuni segmenti del muro costruito nei territori palestinesi rispondano a questi requisiti, ed altri no. Ma per raggiungere una conclusione in un senso o nell’altro bisogna esaminare i fatti correlati a quel problema specifico, in relazione a particolari segmenti del muro, alle loro necessità per la difesa ed alle considerazioni topografiche correlate.

Dal momento che la Corte non aveva a disposizione questi dati, è stata costretta ad adottare la conclusione secondo me discutibile sul piano legale che il diritto di autodifesa intrinseco e legittimo non si può applicare a questo caso. La Corte pone il problema in questi termini :

“ L’Articolo 51 della Carta… riconosce l’esistenza di un diritto intrinseco all’autodifesa nel caso di attacco armato di uno Stato contro un altro Stato. Tuttavia Israele non sostiene che gli attacchi contro di esso sono imputabili a uno stato straniero.

La Corte nota inoltre che Israele esercita il suo controllo sul Territorio Palestinese Occupato, e che, come Israele stesso dichiara, la minaccia che giustifica la costruzione del muro ha origine all’interno, e non all’esterno di tale territorio. La situazione perciò non è paragonabile a quella contemplata dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 1368 (2001) e 1373 (2001), e quindi Israele non può fare riferimento a quelle risoluzioni in appoggio alla sua rivendicazione di esercitare un diritto di autodifesa.

Quindi la Corte conclude che l’articolo 51 della Carta non ha rilevanza in questo caso” (Para. 139)

6. Questa conclusione presenta due problemi principali . Il primo è che la Carta delle Nazioni Unite, nell’affermare il diritto intrinseco all’autodifesa, non fa dipendere la possibilità di utilizzarlo dal fatto che l’attacco armato sia attuato un altro Stato, lasciando quindi in sospeso per il momento il problema se la Palestina, per quanto riguarda caso giuridico in esame, non debba essere, come non lo è di fatto, assimilata dalla Corte ad uno Stato. L’articolo 51 della Carta prevede che : “Niente nella presente Carta dovrebbe menomare il diritto intrinseco all’autodifesa individuale o collettiva se avviene un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite…”.
Inoltre, nella risoluzione citata dalla Corte, il Consiglio di Sicurezza ha detto molto chiaramente che “il terrorismo internazionale costituisce una minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale, riaffermando” al tempo stesso “il diritto intrinseco all’autodifesa individuale o collettiva come riconosciuto dalla Carta delle Nazioni Unite e come ribadito nella risoluzione 1368 (2001)” (Risoluzione del Consiglio di sicurezza 1373 (2001)).
Nella sua risoluzione 1368 (2001), adottata il giorno dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti, il Consiglio di Sicurezza invoca il diritto all’autodifesa invitando la comunità internazionale a combattere contro il terrorismo.
In nessuna di questa risoluzioni il Consiglio di sicurezza ha limitato l’applicazione solo ad attacchi terroristici condotti da Stati, né questa limitazione era implicita nelle risoluzioni citate. In realtà, valeva il contrario (vedi Thomas Franck, “Terrorismo ed il diritto all’autodifesa” American Journal of International law, Vol 95, 2001, pp. 839-840)

In secondo luogo, Israele sostiene di avere diritto all’autodifesa contro gli attacchi terroristici che provengono dal di fuori della Linea Verde e sono diretti contro il suo territorio e che nel fare questo essa eserciti il suo diritto intrinseco all’autodifesa. Per valutare la correttezza di questa asserzione non è rilevante il fatto che si supponga che Israele eserciti il suo controllo sul Territorio Palestinese Occupato – qualsiasi cosa la parola “controllo” significhi considerati gli attacchi a cui Israele è sottoposta a partire da questo territorio – o che gli attacchi non abbiano origine al di fuori del territorio israeliano.
Nella misura in cui la Linea Verde è accettata dalla Corte come il limite che divide Israele dal Territorio Palestinese Occupato, gli attacchi contro Israele provengono da un territorio che non è parte dello stato di Israele. Perciò gli attacchi contro Israele provenienti dal territorio al di là della Linea Verde devono permetter ad Israele di esercitare il suo diritto di autodifesa contro di essi, purché le misure adottate siano consistenti con l’esercizio legittimo di questo diritto. Per giudicare questo, cioè per valutare se la costruzione del muro da parte di Israele, nella sua tonalità o in parti di esso, soddisfi a questi requisiti, tutti gli elementi fondamentali relativi al problema della necessità e della proporzionalità devono essere analizzati. L’approccio formalistico della Corte al problema dell’autodifesa gli consente di evitare di affrontare il nodo vero che è al centro di questo caso.

7. Nel riassumere la sua sentenza che il muro viola la legge umanitaria internazionale e la legge internazionale dei diritti umani, la Corte afferma :

“In sintesi la Corte, dal materiale a sua disposizione, non è convinta che l’itinerario specifico scelto da Israele per il muro sia necessario per raggiungere i suoi obiettivi di sicurezza. Il muro, lungo il tracciato scelto e con la gestione ad esso associata, inficia gravemente un certo numero di diritti dei Palestinesi residenti nel territorio occupato da Israele e le violazioni che derivano dal tracciato non possono essere giustificate da esigenze militari o da necessità di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. Di conseguenza la costruzione di questo tipo di muro costituisce da parte di Israele la violazione di diversi suoi obblighi rispetto alla legge umanitaria internazionale ed all’insieme delle norme sui diritti umani.” (Para. 137)

La Corte supporta questa conclusione con estese citazioni della legislazione pertinente e con prove che si riferiscono alla sofferenze che il muro ha causato in alcuni punti del suo tracciato. Ma nel raggiungere la sua conclusione la Corte non riesce a mostrare alcun fatto o prova che dimostrino che le affermazioni di Israele in relazione ad esigenze militari o necessità di sicurezza nazionale siano senza fondamento. È vero che nel trattare questo tema la Corte sostiene di essersi basata sul sommario basato su fatti fornito dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e su altri rapporti della stessa organizzazione. È altrettanto vero, tuttavia, che la Corte prende a mala pena in considerazione il sunto delle posizioni israeliane su questo tema allegato al rapporto del Segretario Generale che contraddice o pone dubbi sul materiale su cui la Corte dice di basarsi. Al contrario, tutto quello che abbiamo dalla Corte è una descrizione dei problemi che il muro causa ed una descrizione delle leggi umanitarie internazionali vigenti e dell’insieme delle norme per i diritti umani seguita dalla conclusione che questa legge è stata violata.
Manca un esame dei fatti che avrebbero potuto mostrare perché le dichiarate esigenze di difesa o militari, di sicurezza nazionale o di ordine pubblico non siano applicabili al muro nel suo insieme o a tratti particolari del suo percorso. La Corte dice che “non è convinta” ma non è capace di dimostrare perché non è convinta, e questa è la ragione per cui le sue conclusioni non sono convincenti.

8. È vero che alcune delle leggi umanitarie internazionali vigenti che la corte cita non ammettono eccezioni, nemmeno per esigenze militari. Perciò, l’articolo 46 delle norme dell’Aja stabilisce che la proprietà privata deve essere rispettata e non può essere confiscata. Nel sommario della posizione legale del Governo di Israele, Allegato I al rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite, A/ES-10/248, p. 8, il Segretario Generale riferisce la posizione di Israele su questo tema come segue :”Il Governo di Israele sostiene: non c’è cambio di proprietà della terra; è disponibile un compenso per l’uso della terra, per il taglio del raccolto o per danni al terreno; i residenti possono appellarsi alla Corte Suprema per fermare o modificare la costruzione e mantengono lo stato di residenti”. La Corte non prende in considerazione questi argomenti. Anche se queste tesi di Israele non fossero state necessariamente determinanti per il tema trattato, la Corte avrebbe dovuto comunque prenderle in considerazione ed avrebbe dovuto collegarle all’ulteriore asserzione israeliana che il muro è una struttura temporanea, cosa di cui la Corte prende nota come di una “assicurazione fornita da Israele” (Para. 121).

9. Anche il Paragrafo 6 dell’Articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra non ammette eccezioni per esigenze militari o di sicurezza. Esso prevede che: “la Potenza Occupante non dovrebbe espellere o trasferire parte della sua popolazione civile nel territorio che esso occupa”. Io sono d’accordo sul fatto che questa legge vigente si applichi agli insediamenti israeliani nella Cisgiordania e che la loro esistenza violi l’Articolo 49, paragrafo 6. Di conseguenza, i segmenti di muro che Israele sta costruendo per proteggere gli insediamenti sono ipso facto in violazione della legge internazionale umanitaria. Inoltre, considerate le grandi privazioni dimostrabili a cui la popolazione Palestinese interessata è soggetta dentro e fuori dalle enclavi create da questi segmenti del muro, dubito seriamente che in questo caso il muro soddisferebbe le richieste di proporzionalità necessarie per qualificarlo come una misura legittima di autodifesa.

10. Un’ultima parola in relazione alla mia opinione che la Corte avrebbe dovuto rifiutare, nell’esercizio della sua discrezionalità, di affrontare questo caso. Si potrebbe obiettare che la Corte non disponeva di molti dati di fatto pertinenti alla costruzione del muro perché Israele non li ha presentati e che la Corte quindi ha avuto ragione nell’appoggiarsi quasi esclusivamente ai rapporti delle Nazioni Unite che le sono stati presentati. Quest’affermazione sarebbe stata valida se, invece di avere a che fare con una richiesta di opinione consultiva, la Corte avesse avuto a che fare con un contenzioso in cui ciascuna delle due parti avesse il dovere di provare le sue rivendicazioni. Ma questa regola non si applica alla procedura di opinioni consultive che non hanno parti in causa. Nel momento in cui la Corte ha riconosciuto che l’accettazione da parte di Israele di questa azione legale non era necessaria perché non si trattava di un processo contro Israele, e che questi quindi non era una delle parti in causa, Israele non aveva un obbligo legale di partecipare a questi dibattiti o di portare prove che sostenessero la sua rivendicazione della legalità del muro. Anche se io posso avere le mie opinioni personali se sia stato saggio da parte di Israele di non fornire le informazioni necessarie, questo non è un problema su cui io debba emettere una decisione. Resta il fatto che non c’era l’obbligo. La Corte perciò non può trarre una conclusione negativa dal fatto che Israele non ha partecipato al dibattito, o decidere, senza fare essa stessa un’analisi approfondita, che le informazioni e le prove ricevute fossero sufficienti per sostenere tutte e ciascuna delle sue radicali conclusioni legali.

Firmato: Thomas Buergenthal

(Si ringrazia Donatella Misler)

Nella foto in alto: il giudice Buergenthal