Lo stallo che penalizza Israele

L’Occidente si culla nell’illusione di proteggersi dal terrorismo jihadista gettandogli in pasto qualche “progresso” diplomatico a spese di Israele

Di Dan Margalit

Dan Margalit, autore di questo articolo

Dan Margalit, autore di questo articolo

Israele e Autorità palestinese sono bloccati in un braccio di ferro: situazione che appare un enorme spreco enorme di tempo ed energie, e piuttosto noiosa. Israele non deve nulla al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), a dispetto del parlamentare arabo-israeliano Ahmad Tibi che cerca di spiegare alla popolazione ebraica d’Israele che, se non fosse per Abu Mazen, gli abitanti di Tel Aviv non potrebbero sorseggiare in pace il caffè nei bar della città. Israele non gli deve nulla perché è stato proprio Abu Mazen ad avviare il fallimento dei colloqui di pace con i primi ministri israeliani Ehud Barak ed Ehud Olmert, ed è lui che ha voltato le spalle primo ministro Benjamin Netanyahu.

Il risultato diplomatico è una vana impasse, che sembrerebbe un pareggio. In realtà Abu Mazen trae vantaggio della situazione bloccata, mentre Netanyahu perde. Questo perché il punteggio politico finale non si conteggia nella vita reale a Gerusalemme e Ramallah, a Tel Aviv o a Gaza, quanto piuttosto nelle capitali d’Europa e del nord America. E là Israele rischia di pagarla cara.

Dabiq

La bandiera nera dell’ISIS issata sopra la croce in cima all’obelisco di Piazza San Pietro a Roma, nel fotomontaggio sulla copertina dell’ultimo numero della rivista on-line Dabiq, organo del gruppo jihadista “Stato Islamico”

Naturalmente non è giusto. Europei e americani sanno bene che il caos in giro per il mondo non è causato dal conflitto israelo-palestinese, ed anzi casomai il caso in Medio Oriente si sviluppa nonostante il conflitto israelo-palestinese. Migliaia di musulmani sono partiti dall’Europa per andare a infoltire i ranghi dello “Stato Islamico” (ISIS) non certo per aiutare i palestinesi di Gaza, ma a causa della lancinante dissonanza tra l’abbondanza democratica di cui godevano in Occidente e il senso di inferiorità e alienazione che vi hanno sviluppato, forse più in Inghilterra che altrove.

Il ribrezzo e l’odio di ISIS, al-Qaeda, Hezbollah e Hamas verso Israele in particolare, e verso l’Occidente in generale, non verrebbe minimamente attenuato se le Forze di Difesa israeliane si ritirassero non solo da Yitzhar e Ariel, ma neanche dai luoghi santi di Gerusalemme.

Ma nelle capitali occidentali amiche Israele deve pagare il prezzo di questa situazione di stallo con Abu Mazen. In Olanda e in Germania, ma anche in Francia e in Inghilterra, le autorità hanno paura di permettere agli ebrei di costruire la sukkah (la capanna provvisoria costruita per la festa di Sukkot) perché la cosa potrebbe irritare masse di giovani musulmani inclini al tumulto violento per le strade. Molti Stati tremano come foglie di fronte al potere, in fondo insignificante, dello “Stato Islamico” e combattono con mano malferma mentre si cullano nella dolce illusione di poter promuovere i loro interessi strategici nei confronti di Iran e gruppi terroristici gettando loro in pasto qualche “progresso” a loro gradito sulla scena israelo-palestinese. E’ un errore (il solito errore), e Israele è costretto a pagarne il prezzo.

(Da: Israel HaYom, 14.10.14)