Lo stato sovrano di Palestina, che i palestinesi rifiutarono

“C’è un'onda di marea nelle faccende umane che, colta al flusso, porta alla fortuna; mancata, s’incaglia su fondali di miserie”

Di Neville Teller

Neville Teller, autore di questo articolo

Neville Teller, autore di questo articolo

“Fare la storia coi se…” può essere un gioco affascinante: costringe a usare l’immaginazione, riflettere su un argomento, sondare le possibilità, considerazione le diverse opzioni.

L’11 luglio del 2000 il primo ministro israeliano Ehud Barak e il presidente dell’Autorità Palestinese Yasser Arafat si incontrarono a Camp David sotto l’egida del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Il loro obiettivo dichiarato era quello di arrivare a un accordo su tutte le questioni in sospeso tra Israele e palestinesi: il cosiddetto accordo sullo status finale. Il vertice si concluse il 25 luglio senza alcun accordo.

Che cosa sarebbe accaduto se quelle trattative avessero avuto successo? Oggi gli archivi delle tv sarebbero pieni di immagini di Barak e Arafat che si stringono la mano, sostenuti da una raggiante Bill Clinton, e il 25 luglio 2015 avremmo potuto celebrare il quindicesimo anniversario della fondazione di uno stato indipendente e sovrano di Palestina.

Che genere di Palestina sarebbe stata? Non esistono rapporti ufficiali sulla posizione finale delle due parti, e i resoconti ufficiosi differiscono su aspetti importanti. Così bisogna fare ricorso a qualche congettura e a un po’ di fantasia creativa. L’accordo si sarebbe probabilmente basato del set finale di raccomandazioni (noto come “parametri di Clinton”) formalmente sottoposto alle due parti nel gennaio 2001. Israele accettò quel piano in linea di principio, i palestinesi no.

Lo stato palestinese che esisterebbe da 15 anni se i palestinesi non avessero rifiutato i "parametri Clinton"

Lo stato palestinese che esisterebbe da 15 anni se i palestinesi non avessero rifiutato i “parametri Clinton” (clicca per ingrandire)

E se lo avessero accettato? Beh, oggi uno stato sovrano di Palestina controllerebbe il 97% della Cisgiordania oltre a una striscia di Gaza più grande di circa un terzo di quella attuale per compensare il 3% si Cisgiordania annessa da Israele. Israele si sarebbe ritirato da 63 insediamenti in Cisgiordania e Gaza, tutti passati nelle mani dei palestinesi, e il territorio palestinese in Cisgiordania avrebbe goduto della richiesta continuità, senza “cantoni” separati fra loro. La Cisgiordania sarebbe collegata con Gaza con una strada e una ferrovia sopraelevate attraverso la regione israeliana del Negev.

La Palestina sovrana avrebbe come sua capitale una nuova municipalità: Al Quds. I confini di Gerusalemme sarebbero stati ridisegnati. Al-Quds avrebbe incorporato i quartieri arabi che in precedenza si trovavano all’interno dei confini di Gerusalemme, insieme alle aree adiacenti di Abu Dis, el-Azaria, Beit Jala, Anata e A-Ram. Nella Città Vecchia entro le mura lo stato palestinese avrebbe goduto di autonomia religiosa sul Monte del Tempio, mentre i quartieri musulmani e cristiani, sebbene autonomi, sarebbero rimasti sotto la sovranità formale di Israele.

Oggi la nuova Palestina sarebbe già diventata la patria di centinaia di migliaia di ex-profughi (e discendenti di profughi), tutti titolari del diritto al ritorno nello stato palestinese. E avrebbero ricevuto indennizzi da un fondo internazionale di 30 miliardi di dollari appositamente istituito per risarcirli.

Quanto sarebbero stati diversi gli eventi di questi ultimi 15 anni? Naturalmente non ci sarebbe la seconda intifada, il che significa che non ci sarebbe stata quella tragica e improvvisa ondata di attentati terroristici contro la popolazione all’interno di Israele, e dunque non ci sarebbe stata la necessità da parte israeliana di reagire con azioni antiterrorismo nelle città palestinesi e con la costruzione di muri e barriere di sicurezza.

Yasser Arafat avrebbe mantenuto una salda presa sulla politica palestinese. Quello che diceva ad uso e consumo del pubblico arabo differiva abbastanza radicalmente dalle sue dichiarazioni pubbliche in inglese e dalle sue prese di posizione sulla scena mondiale. Ad esempio, a Stoccolma nel 1996 Arafat disse a un pubblico arabo: “Abbiamo in programma di eliminare lo stato di Israele e stabilire uno stato puramente palestinese. Renderemo la vita insopportabile agli ebrei con la guerra psicologica e l’esplosione demografica. Noi palestinesi ci prenderemo tutto, compresa tutta Gerusalemme”. Il suo collega Faisal al-Husseini fu ancora più esplicito. Descrisse il processo di Oslo come un “cavallo di Troia” concepito per promuovere l’obiettivo strategico di una “Palestina dal fiume al mare”: in altri termini, la sostituzione di Israele con la Palestina.

Pienamente consapevole dei veri piani di Arafat, Hamas non avrebbe cercato di opporsi a una transazione da lui approvata, tanto più che i palestinesi, avendo ottenuto uno stato sovrano, probabilmente non avrebbero sostenuto in massa Hamas. Quindi non ci sarebbe stata la presa del potere di Hamas a Gaza né i lanci indiscriminati di razzi sui cittadini israeliani, non ci sarebbero state le reazioni israeliane nella forma di operazioni come “Piombo fuso”, “Colonna di nube difensiva” e “Margine protettivo”. Non ci sarebbe stato nessun blocco navale di Gaza da parte di Israele e di conseguenza nessuna “flottiglia della libertà” e nessun incidente come quello della Mavi Marmara. Forse nemmeno il congelamento dei rapporti turco-israeliani.

Naturalmente non ci sarebbe stato bisogno dei tentativi di ottenere un riconoscimento unilaterale della Palestina sovrana da parte delle Nazioni Unite perché ormai la Palestina sarebbe già da tempo un membro dell’Onu a pieno titolo. La Palestina sarebbe entrata all’Onu subito dopo la Serbia (ammessa nel novembre 2000) e prima di Timor Est (settembre 2002).

La mappa delle rivendicazioni palestinesi disegnata durante una manifestazione a Ramallah nel 2013: Israele è cancellato dalla carta geografica

La mappa delle rivendicazioni palestinesi disegnata durante una manifestazione a Ramallah nel 2013: Israele è cancellato dalla carta geografica

La nuova Palestina sovrana sarebbe forse diventata una base per attacchi terroristici contro Israele, nel perseguimento dell’obiettivo a lungo termine enunciato da Arafat? O le realtà politiche ed economiche a breve termine avrebbero fatto valere la loro logica? Il criterio dell’interesse concreto avrebbe spinto il nascente stato a cooperare sul piano industriale, commerciale, economico, militare e anche culturale con il suo fiorente vicino? Oggi la Palestina si starebbe sviluppando grazie a trattati reciprocamente vantaggiosi non solo con Israele, ma forse anche con Giordania ed Egitto? La Palestina sovrana starebbe oggi coltivando un’economia prospera, ben avviata a divenire parte del mondo sviluppato? Chi può dirlo? È certamente uno scenario possibile.

Una scuola del pensiero storiografico tende a rifiutare le ipotesi della “storia fatta coi se…”, sostenendo che esiste una sorta di ineluttabilità dei principali eventi storici a prescindere dalle possibili variazioni minori. Secondo questa lettura, la morte di Arafat nel 2004 avrebbe portato Abu Mazen ad essere eletto presidente della Palestina, ma il suo tentativo di formare un governo di unità nazionale si sarebbe comunque arenato sulla spaccatura fra Fatah e Hamas. Hamas avrebbe comunque preso il potere a Gaza, e gli eventi successivi non sarebbero stati molto diversi. Con l’obiettivo di cancellare completamente Israele dal Medio Oriente, vi sarebbero state comunque ondate di attentati, i razzi sarebbero sono stati sparati, Israele avrebbe dovuto rispondere, e noi ci saremmo comunque ritrovati più o meno dove ci siamo trovati nell’estate 2015. In effetti anche questo è uno scenario possibile, seppure eccessivamente pessimista.

Ma si prenda anche solo in considerazione l’opportunità che venne sciaguratamente sprecata ai negoziati di Camp David del 2000, e tutte le evitabili morti e distruzioni dei 15 anni successivi, sia palestinesi che israeliane.

Una concatenazione di circostanze così favorevole, dal punto di vista palestinese, è improbabile che si presenti di nuovo nel futuro prevedibile. La ruota politica ha fatto il suo giro. E così non siamo in condizione di augurare un felice quindicesimo compleanno alla Palestina sovrana. Quindici anni fa la dirigenza palestinese fallì clamorosamente – e non era la prima volta – nel riconoscere questa verità, espressa così bene da William Shakespeare: “C’è un’onda di marea nelle faccende degli uomini che, colta al flusso, porta alla fortuna; mancata, tutto il viaggio della vita s’incaglia su fondali di miserie”. (Giulio Cesare, Atto 4, Scena 3).

(Da: Jerusalem Post, 17.8.15)