Lonere della prova

Dopo questo bagno di sangue, lopinione pubblica israeliana avverte che lonere della prova ricade oggi sulla dirigenza palestinese.

Da un editoriale di Haaretz

image_243In un’intervista rilasciata l’11 giugno ad Ha’aretz, l’ex capo dell’intelligence militare israeliana Amos Malka ha affermato che se Israele offrisse oggi ad Arafat uno stato sul 97% dei territori con capitale a Gerusalemme, e scambi di territori con il ritorno di 20-30.000 profughi palestinesi all’interno di Israele, il leader palestinese firmerebbe l’accordo e ordinerebbe ai suoi uomini di deporre le armi.
In altre parole, secondo l’opinione di Malka, c’è un interlocutore per la pace e si chiama Arafat. La categorica valutazione di Malka risulta totalmente opposta a quella che sta alla base del piano di disimpegno del primo ministro israeliano Ariel Sharon. Secondo Sharon, oggi non c’è nessun interlocutore palestinese affidabile con cui fare la pace (e sicuramente non lo è Arafat). Stando così le cose, Israele deve procedere con misure unilaterali.
All’interno dell’intelligence militare queste opposte opinioni non diedero vita a una discussione all’epoca in cui Malka ne era alla guida e il suo sottoposto Amos Gilad ne comandava il dipartimento ricerche. A quei tempi la dirigenza politica d’Israele giunse alla conclusione che il paese aveva effettivamente un interlocutore negoziale, e che era Arafat.
Questa convinzione trovò espressione nella partecipazione dell’allora primo ministro e ministro della difesa Ehud Barak al summit di Camp David (luglio 2000), mediato dall’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Barak, con il pieno appoggio del suo ministro degli esteri Shlomo Ben Ami, spinse per la convocazione del vertice di Camp David appunto perché era convinto che vi fosse una reale opportunità di arrivare a un accordo di compromesso con Arafat.
Fermo su questa convincimento, Barak sostanzialmente scartò i dubbi che circolavano tra alcuni consiglieri dell’intelligence secondo i quali le condizioni che aveva in mente Arafat erano inaccettabili per Israele e alla fine sarebbe scoppiato un conflitto armato con i palestinesi. Mentre Barak era convinto che vi fosse un interlocutore palestinese, le Forze di Difesa israeliane si preparavano a uno scontro, basandosi sulle previsioni e i moniti trasmessi dal capo del dipartimento ricerche Gilad.
L’asserzione che non vi fosse alcun interlocutore affidabile per il negoziato emerse dopo e in conseguenza del fallimento di Camp David. La dirigenza politica israeliana ne diede piena espressione con le dichiarazioni fatte a posteriori da Barak e con le valutazioni espresse dall’ex ministro degli esteri Ben Ami in un’intervista ad Ha’aretz del 14 settembre 2001. In quell’intervista Ben Ami affermò che “Arafat non è un interlocutore. Peggio: è una minaccia strategica. Mette in pericolo la pace in Medio Oriente e la pace mondiale”. Questa tesi venne interamente adottata dal primo ministro israeliano Ariel Sharon, e Sharon cerca oggi di tradurla in azione politica con il suo piano di disimpegno.
Ora l’ex capo dell’intelligence militare Malka sostiene che, nonostante tutto e supponendo che Israele accetti alcune condizioni, un interlocutore per il negoziato esiste.
Ma dopo questo ininterrotto bagno di sangue che ha già mietuto mille vite fra gli israeliani e tremila fra i palestinesi, l’opinione pubblica israeliana avverte che l’onere della prova ricade sulla dirigenza palestinese. Quella dirigenza deve dimostrare d’essere veramente alla ricerca di una composizione del conflitto basata sulle linee guida di Clinton (dicembre 2000), essenzialmente le stesse che Malka ha esposto nella sua recente intervista. Questa dimostrazione di buona volontà potrebbe creare una nuova opportunità per resuscitare il processo negoziale tra le due parti di un potenziale accordo di pace, un accordo che preveda un ritiro israeliano su grande scala e che ponga fine all’occupazione e al controllo su un altro popolo da parte di Israele.

(Ha’aretz, 14.06.04)