L’opinione della piazza araba

Ma cosa pensa l’uomo della strada arabo-musulmano?

di Emmanuel Sivan

image_2772Cosa pensa la piazza araba (e musulmana)? Chi detesta e chi, invece, ammira? Sono domande che risuonano tra noi dai giorni di Gamal Abdel Nasser fino all’oggi di Hassan Nasrallah. Ma chi parla a nome della “piazza” araba?
A causa della totale mancanza di affidabili votazioni e sondaggi dell’opinione pubblica, dei regimi autoritari e di mass-media ben ammaestrati su ciò che devono dire, non sorprende che le opinioni dell’uomo della strada siano così poco comprensibili e basate meramente su impressioni viscerali.
È su questo arido sfondo che il Global Attitudes Project del Pew Research Center ha pubblicato la scorsa settimana una ricerca condotta nei paesi musulmani. L’istituto, che ha sede a Washington, ha investito grandi sforzi in questa sua analisi delle questioni islamiche, la seconda che abbia finora condotto, prendendo in esame nazioni e popolazioni arabe in Egitto, Libano, Autorità Palestinese e arabi d’Israele, nonché in paesi musulmani non arabi come Turchia, Nigeria, Pakistan e Indonesia. In ogni paese sono state intervistate fra 1.000 e 1.200 persone, uomini e donne sopra i 18 anni, secondo una campionatura selezionata con criteri scientifici. Le interviste sono state effettuate, nella lingua madre degli intervistati, fra maggio e luglio dello scorso anno.
Ciò che colpisce innanzitutto il lettore israeliano sono i risultati circa l’atteggiamento negativo verso gli ebrei. In Egitto, Libano e Autorità Palestinese tra il 95 e il 98% degli intervistati ha opinioni negative di questo genere. Ci troviamo dunque di fronte ad una evidenza significativa delle dimensioni dell’antisemitismo arabo. Tali sentimenti di ostilità anti-ebraica risultano prevalenti anche nei paesi musulmani non arabi: riguarda tre quarti dei cittadini in Turchia, Pakistan e Indonesia, e il 60% dei musulmani in Nigeria.
Ma ciò che preoccupa di più gli intervistati è la spaccatura fra musulmani sunniti e musulmani sciiti: una frattura che, per quanto li riguarda, esiste dappertutto. La pensano così il 95% circa dei musulmani in Libano, tre quarti dei palestinesi, pressappoco il 60% di quelli in Egitto e Giordania, circa metà dei turchi e persino il 42 % degli arabi d’Israele.
A questo riguardo, il paese più diviso, oltre all’Iraq, risulta il Libano. E la frattura risulta sempre più profonda se confrontata son la ricerca condotta dal Pew Research Center due anni fa. Hezbollah gode del supporto di tutti gli sciiti e del 2% (!) dei sunniti (contro il 95% di loro che gli è ostile). Fra i cristiani, un quarto lo appoggia e gli altri lo osteggiano.
Naturalmente questo fenomeno è collegato al drammatico cambiamento nelle alleanze politiche. Se prima della guerra civile libanese (1975-1990) i sunniti erano ostili ai cristiani e tendevano a favorire l’idea di una Grande Siria, vent’anni più tardi essi sono diventati patrioti libanesi ostili alla Siria, soprattutto dopo l’assassinio nel 2005 dell’ex primo ministro Rafik Hariri. E sono sospettosi verso Hezbollah, alleato di Damasco.
Un’altra importante frattura, sebbene minore, si registra in Egitto. Nonostante il mito ufficiale dell’antica unità della nazione, metà dei musulmani egiziani guardano negativamente e con sospetto ai cristiani copti.
Ovviamente l’importanza dell’opinione pubblica nei regimi non democratici è limitata. Al massimo, delinea i confini di “ciò che è ragionevole” e come tale esercita una pressione indiretta sui governanti. Ma sulla questione di cosa i governanti considerino materia di supremo interesse, l’opinione pubblica è totalmente insignificante. Così, ad esempio, più della metà degli intervistati in Egitto e Giordania esprimono un atteggiamento positivo verso Hamas, ma questo non ha impedito al presidente Hosni Mubarak di erigere un “muro di acciaio” fra Egitto e striscia di Gaza. Né lui né re Abdullah di Giordania hanno accettato di troncare i rapporti diplomatici con Israele durante l’operazione anti-Hamas a Gaza del gennaio 2009. Ciò nondimeno questa generalizzata ostilità comporta infauste conseguenze per le possibilità d’Israele di integrarsi nella regione, perlomeno con i suoi vicini più prossimi, anche dopo l’eventuale firma di un accordo di pace con Siria e Autorità Palestinese.
In conclusione, alla luce della crisi nei rapporti fra Israele e Turchia, è interessante notare che il 60% dei turchi considera negativamente il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e il suo regime. Il che può essere connesso al fatto che la maggior parte dei turchi è sunnita. Ma come si può spiegare il fatto che il 70% di loro risulta ostile a Hamas e solo il 5% lo appoggia? Quello che emerge è che l’opinione pubblica araba e musulmana è divisa dal punto di vista etnico, ma unita nel suo antisemitismo.

(Da: Ha’aretz, 12.3.10)

Nella foto in alto: Sulla maglietta si legge “Hamas, Hamas, Jews to the gas”.