L’unica vera risposta: realizzare il sionismo

Non c'è niente che possiamo fare per impedire ai palestinesi di optare troppo spesso per la violenza rispetto al compromesso, per la distruzione rispetto alla costruzione

Da un editoriale del Jerusalem Post

Dalla pagina Facebook di Fatah del 2 luglio 2014: «Mia madre mi ha insegnato che la mia pietra è la mia arma / che io sono palestinese solo attraverso la mia lotta / mi ha insegnato a gridare che questa è la mia terra, per cui: andatevene!»

Dalla pagina Facebook di Fatah del 2 luglio 2014: «Mia madre mi ha insegnato che la mia pietra è la mia arma / che io sono palestinese solo attraverso la mia lotta / mi ha insegnato a gridare che questa è la mia terra, per cui: andatevene!»

In fondo poco importa se i due terroristi di Hamas Amer Abu Aysha e Marwan Kawasme hanno assassinato i tre ragazzi israeliani con o senza un ordine preciso da parte dei capi dell’organizzazione. Quello che hanno fatto, l’hanno fatto nella piena consapevolezza di rispondere perfettamente allo spirito e alle scelte di Hamas.

Questo rapimento e assassinio non fa che ricordarci che ampissimi strati della società palestinese continuano ad essere irriducibilmente votati alla distruzione di Israele, e per questo sono disposti a giustificare anche i più abominevoli atti di violenza: anche al prezzo di condannare all’oblio, così facendo, qualsiasi loro concerta possibilità di autodeterminazione nazionale.

Sin dalla sua nascita, il movimento nazionalista palestinese ha scelto più e più volte la violenza rispetto al compromesso, una strategia che è sempre fallita arrecando rovina e lutti agli stessi palestinesi. Si può risalire al massacro di Hebron del 1929, che causò la morte violenta di 67 ebrei, fra cui donne e bambini sotto i cinque anni (e che pose fine per quasi quattro decenni all’antichissima presenza ebraica nella città). Si prosegue con la serie di sommosse scatenate dai palestinesi tra il 1936 e il 1939 che provocarono la morte di diverse centinaia di ebrei. Alla fine, però, i palestinesi subirono le conseguenze delle loro azioni con la dura repressione delle forze del Mandato Britannico, ed emersero pesantemente indeboliti dalle violenze che avevano scatenato. Il che pose le basi per la successiva debacle palestinese: il rifiuto del piano di spartizione approvato dalle Nazioni Unite nel 1947 e la decisione clamorosamente sbagliata di lanciare un’offensiva militare contro il nascente stato ebraico. Il risultato, comprensibilmente ricordato da arabi e palestinesi come una “nakba” (disastro), fu il risultato diretto della loro scelta per la violenza contro il compromesso.

Dopo la guerra dei sei giorni, le scelte politiche dei palestinesi hanno sortito ulteriori sconfitte. La decisione di Yasser Arafat di tornare al terrorismo dopo la rottura dei colloqui di Camp David del luglio 2000 comportò effetti altrettanto disastrosi. E lo stesso fece la decisione dei palestinesi di votare in massa per Hamas alle elezioni legislative dell’Autorità Palestinese del 2006. Decine di attentati suicidi, di attacchi e cecchinaggi, migliaia di razzi Qassam e di manifestazioni violente con pietre e molotov non hanno mai portato a un solo risultato positivo per i palestinesi.

Nel frattempo, lo stato ebraico ha continuato a svilupparsi e a fiorire ad ogni livello. E ha prodotto persone straordinarie come Naftali, Gilad, Eyal e le loro famiglie, e ne produrrà molte altre ancora. Mentre i palestinesi concentravano tutte le loro energie nel vittimismo, nell’odio e nelle calunnie verso il nemico, nella distruzione come metodo e come fine, Israele diventava una delle economie più innovative al mondo, producendo tecnologie all’avanguardia in ogni campo, dalla medicina ai computer all’agricoltura.

Non c’è niente che possiamo fare per impedire ai palestinesi di optare troppo spesso per la violenza rispetto al compromesso, per distruzione rispetto alla costruzione. Né dobbiamo illuderci di poterlo fare. Tutto quello che possiamo fare è piangere la terribile perdita di persone come Naftali, Gilad e Eyal e continuare a portare avanti lo straordinario progetto del sionismo. Questa è la nostra unica “vendetta”, il nostro modo di onorare la memoria dei tre ragazzi. Questa è la missione di Israele.

(Da: Jerusalem Post, 1.7.14)