L’Unrwa non merita ulteriori finanziamenti se non cambia completamente metodi e obiettivi

Onu e ideologia palestinese promuovono la condizione di “profughi eterni”, anche dentro lo “stato palestinese” che vorrebbero creare senza accordo né pace con Israele

Editoriale del Jerusalem Post

Philippe Lazzarini, Commissario generale Unrwa

Giovedì scorso, mentre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite teneva il suo abituale dibattito mensile sul conflitto israelo-palestinese, il commissario generale dell’Unrwa (l’agenzia Onu per i profughi palestinesi) Philippe Lazzarini ha lanciato un severo avvertimento, in vista del rinnovo del mandato dell’Unrwa in autunno, dichiarando che l’agenzia corre un rischio “esistenziale” a causa del calo dei finanziamenti.

Ma facciamo un passo indietro e consideriamo il contesto in cui stava parlando: il dibattito che ogni mese si tiene al Consiglio di Sicurezza. Nonostante i cruciali drammi di profughi che si registrano in tutto il mondo a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, della presa di potere dei talebani in Afghanistan, del conflitto Etiopia-Tigrai, tanto per fare solo alcuni esempi, soltanto i palestinesi meritano una ribalta fissa ogni mese al Consiglio di Sicurezza, oltre agli altri dibattiti obbligatori in altri organismi delle Nazioni Unite. Questo perché l’Onu ha conferito ai palestinesi lo status unico di “profughi perpetui” che viene tramandato di generazione in generazione, e ha incaricato l’Unrwa di prendersi cura dei loro bisogni e soltanto dei loro bisogni, mentre tutti gli altri profughi nel mondo vengono assistiti dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati.

A rendere la cosa ancora più assurda, quello stesso giorno l’ambasciatore palestinese presso le Nazioni Unite, Riad Mansour, ha annunciato ai giornalisti che l’Autorità Palestinese sta rilanciando la sua iniziativa per ottenere la piena adesione all’Onu come “stato membro”, anziché “stato non-membro” come è oggi. Il che garantirebbe unilateralmente ai palestinesi il pieno riconoscimento internazionale della loro statualità senza doversi prendere il disturbo di negoziare un accordo con Israele su confini, sicurezza e altre questioni cruciali. A tal proposito, Mansour ha espresso “cauto ottimismo”. Le due dichiarazioni rivelano un paradosso intrinseco: infatti, in base alla definizione delle Nazioni Unite e all’ideologia palestinese le stesse persone verrebbero considerate “profughi” anche se vivono in un loro stato pienamente riconosciuto. Già oggi i “profughi” palestinesi che vivono in qualsiasi parte del mondo mantengono eccezionalmente il loro status di “profugo” anche quando hanno la cittadinanza di un paese e possono votare.

Palestinesi ricevono la periodica razione di farina gratis in un centro di distribuzione Unrwa nel campo di Rafah (striscia di Gaza). “L’Unrwa non ha aiutato un solo profugo palestinese a uscire dallo status ufficiale di profugo”

Tornando alla richiesta di fondi per l’Unrwa fatta da Lazzarini, come ha riferito Tovah Lazaroff sul Jerusalem Post, l’agenzia attualmente serve 5,6 milioni di “profughi” tra Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme est, Giordania, Libano e Siria. Per il 2022 ha un bilancio di 1,6 miliardi di dollari, di cui 817 milioni di dollari per i programmi di base. Ad oggi, ha ricevuto 838 milioni di dollari. Lazzarini attribuisce in parte la cronica carenza di fondi a quelle che ha definito “campagne coordinate per delegittimare l’Unrwa con lo scopo di erodere i diritti dei profughi palestinesi”. E’ proprio così? Proviamo a considerare per un momento le vere ragioni per cui viene messa in discussione la necessità dell’Unrwa, e come mai il tema palestinese non sembra godere della priorità su cui poteva contare una volta nonostante tutti i dibattiti obbligatori alle Nazioni Unite.

L’Unrwa è stata fondata nel 1949 per fornire quella che doveva essere una soluzione temporanea fino a quando il “problema dei profughi palestinesi” non fosse stato risolto. A quel tempo erano circa 726.000 (secondo i dati delle Nazioni Unite) gli arabi registrati sotto il patrocinio dell’Unrwa. Oggi, il numero dei “profughi palestinesi” affidati alle cure dell’Unrwa supera i 5,5 milioni. In modo sorprendente, negli ultimi settant’anni il numero è aumentato nell’ordine di milioni. L’Unrwa non ha aiutato un solo profugo palestinese a risolvere il proprio status ufficiale di profugo, al contrario. E’ così strano che qualche donatore si chieda se i suoi soldi sono stati spesi bene?

Altre ragioni per il calo dei finanziamenti hanno a che fare con svariati rapporti che mostrano dove stanno andando quei soldi. Diverse ong che esaminano sistematicamente i libri di testo e il materiale didattico usati nelle scuole gestite dall’Unrwa hanno documentato la continua presenza di sostegno al terrorismo e culto del martirio violento, nonché istigazione all’odio contro Israele ed ebrei. Per non parlare dei casi accertati di tunnel terroristici e depositi di armi scavati da Hamas sotto scuole dell’Unrwa a Gaza. E si potrebbe continuare.

Sono passati più di settant’anni da quando il rifiuto del mondo arabo di uno stato arabo palestinese e dello stato ebraico d’Israele generò la crisi dei profughi palestinesi. Da allora, diversi paesi arabi hanno mutato posizione e hanno firmato accordi di pace con lo stato ebraico. Ma i palestinesi sperano ancora di ottenere il riconoscimento internazionale come stato indipendente senza firmare alcun accordo con Israele, e di mantenere allo stesso tempo gli aiuti internazionali come profughi eterni.

Lungi dal trasformare i profughi palestinesi in individui autosufficienti, l’Unrwa promuove la loro dipendenza e la mentalità dell’avere titolo all’elemosina internazionale permanente, offre ai palestinesi un buon motivo per non tornare in buona fede al tavolo dei negoziati e alimenta vagheggiamenti infondati circa un presunto “diritto al ritorno” per distruggere Israele, invece di assisterli nel costruirsi una vita basata sulla pace e sulla sicurezza economica accanto allo stato ebraico.

L’Unrwa non merita ulteriori finanziamenti se non verrà sottoposta innanzitutto a una riforma radicale tale da garantire che si occupi davvero di alleviare la situazione dei profughi palestinesi e non di perpetuarla all’infinito.

(Da: Jerusalem Post, 29.8.22)