L’utile lezione di Natalie Portman

Coloro che oggi ci spingono a fare concessioni territoriali non saranno esattamente al nostro fianco quando dovremo fare i conti con le conseguenze

Da un articolo di Eitan Orkibi

Eitan Orkibi

A parte ogni altra considerazione, c’è un aspetto importante della decisione di Natalie Portman di boicottare il Premio Genesis “a causa dei recenti eventi” al confine fra Gaza e Israele, che è sfuggito nel discorso pubblico. A quanto pare, infatti, prima di motivare il boicottaggio con il desiderio di “non apparire una sostenitrice di Benjamin Netanyahu”, Portman lo aveva spiegato alludendo ai fatti di Gaza, poi definiti anche “atrocità”. E qui c’è qui una lezione di cui dovremmo fare tesoro: sia a proposito della velocità vertiginosa con cui prende piede la propaganda anti-israeliana, sia della capricciosa inaffidabilità dei nostri amici che predicano a favore di concessioni territoriali.

Vi sono molti pacifisti, israeliani e no, evidentemente convinti che il pubblico israeliano soffra di pessima memoria circa il ritiro da Gaza e tutte le garanzie e promesse che erano state fatte sulla legittimità e libertà d’azione di cui avrebbero goduto le Forze di Difesa israeliane una volta che avessimo sgomberato la striscia e ci fossimo attestati sui confini “internazionali”. Ritiratevi da Gaza – garantivano – dopodiché i soldati potranno schierarsi lungo un confine sovrano, legittimo e riconosciuto, sul quale potranno difendere Israele e i suoi abitanti senza doversi scusare col mondo, anzi sostenuti dalla solidarietà di tutti i veri amanti della pace.

È abbastanza ironico come il disimpegno da Gaza, che venne commercializzato come un “test-pilota” per il successo di un futuro ritiro da Giudea e Samaria (Cisgiordania), si sia  effettivamente tradotto in un precursore. Non solo ha prefigurato lo scatenarsi immediato della violenza palestinese contro i “confini internazionali”, rivelando i loro piani e le loro intenzioni per il giorno dopo la “fine dell’occupazione”. Il ritiro da Gaza ha anche perfettamente prefigurato, in tutti questi anni, quello che sarà il comportamento dei sedicenti pacifisti. La gente in Israele si sta chiedendo cosa deve pensare dalla reazione di costoro alla condotta dei soldati sul confine di Gaza, e cosa accadrà il giorno in cui dovessimo fare i conti con uno scenario simile, o peggiore, su un confine ben diverso: per esempio alle porte di una città come Modiin (che sorge a metà strada fra Tel Aviv e Gerusalemme, appena al di qua della ex Linea Verde, a 10 km dall’aeroporto internazionale).

L’aeroporto internazionale Ben Gurion visto da un villaggio palestinese di Cisgiordania. Sulla sinistra, il terminal e la torre di controllo; sulla destra, una pista. Sullo sfondo, sobborghi di Tel Aviv e il mar Mediterraneo (clicca per ingrandire)

I palestinesi tentano spesso di prenderci alla sprovvista: un razzo qui, un tunnel là e assalti alla recinzione di confine. Intanto, coloro che premevano tanto perché lasciassimo Gaza avallano una sceneggiatura alquanto ripetitiva: prima compare qualche post provocatorio sui social network, subito seguito dalla comparsa di commenti e petizioni contro la brutalità militare di Israele; ben presto, questo stato d’animo si traduce in accorate dichiarazioni che approdano sulle pagine di importanti testate occidentali o in qualche pungente intervista su Al-Jazeera. A quel punto non mancheranno svariate personalità che si sentiranno in dovere di prendere posizione. Contro Israele, naturalmente. Ciò che non finisce di stupire è la velocità con cui le Forze di Difesa israeliane vengono accusate di crimini di guerra. Sembra che, tra un incidente e l’altro, il tempo necessario per passare dalle generiche accuse di “risposta sproporzionata” a quelle di “massacrare innocenti” diventi sempre più breve. Senza porsi troppe domande, senza bisogno di verifiche.

Tutto questo non vuol dire che i pacifisti non abbiano il diritto di protestare, o che sia vietato criticare le Forze di Difesa israeliane. Tra un round all’altro, però, certi comportamenti e certe reazioni sono diventati sempre più facilmente prevedibili. Gran parte dell’avversione del pubblico israeliano verso future concessioni territoriali non deriva solo dalla violenza che dobbiamo aspettarci dai palestinesi. Deriva anche dal fatto che sappiamo che coloro che oggi ci spingono a ulteriori ritiri non saranno esattamente al nostro fianco quando dovremo fare i conti con le conseguenze. Quando i soldati dovranno difenderci, loro ci volteranno le spalle. E questo messaggio è arrivato forte e chiaro, signora Portman.

(Da: Israel HaYom, israele.net, 24.4.18)

Secondo un reportage di Channel 2 News, in una e-mail inviata il 2 aprile alla Fondazione Genesis Prize un rappresentante dell’attrice israelo-americana Natalie Portman disse agli organizzatori del premio che erano le azioni israeliane al confine con Gaza, e non la presenza del primo ministro Benjamin Netanyahu, ciò che metteva a disagio l’attrice circa l’imminente cerimonia di premiazione a Gerusalemme. Venerdì scorso la Fondazione ha comunicato che Portman aveva scelto di non presentarsi, non lasciando loro altra possibilità che annullare la cerimonia. La Fondazione citava le preoccupazioni dell’attrice riguardo “ai recenti eventi in Israele”. Più tardi Natalie Portman è intervenuta su Instagram per dire che ha scelto di boicottare la cerimonia per non essere vista come sostenitrice di Netanyahu. “Il maltrattamento di chi soffre le atrocità odierne – ha scritto Natalie Portman – non è in linea con i miei valori ebraici”. (Da: Jerusalem Post, 24.4.18)