L’utile lezione di un vertice inutile

Continuando a etichettare Israele come l’ostacolo a stabilità e pace, la Lega Araba relega se stessa nell’irrilevanza ma avalla il rifiuto palestinese di negoziare la pace

Di Zalman Shoval

Zalman Shoval, autore di questo articolo

Durante il 28esimo vertice della Lega Araba concluso in Giordania lo scorso fine settimana, re Abdullah di Giordania ha affermato che non vi sarà stabilità nella regione senza risolvere la questione palestinese e ha indicato Israele come uno dei maggiori ostacoli alla pace.

Dal momento che il re verosimilmente conosce meglio di chiunque altro quali sono le vere fonti dell’instabilità regionale, tanto più che coinvolgono direttamente il suo paese, quella che in fin dei conti è emersa dal summit è la conferma che la Lega Araba non è granché significativa e che, nel bene e nel male, non gestisce alcuna reale autorità esecutiva. Si tratta semplicemente di un club al quale i membri sentono il dovere di appartenere, ma alle cui decisioni non si sentono necessariamente tenuti a prestare attenzione.

Tuttavia, insieme all’irrilevanza di questo ente arcaico bisogna anche considerare il fatto che, nonostante l’intenzione di diversi partecipanti tra cui l’Egitto di apportare modifiche all’Iniziativa Araba in modo da renderla rilevante come base negoziale e concretamente attuabile, alla fine il vertice arabo ha deciso di accogliere l’appello del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di tornare alla vecchia versione del 2002, che prevedeva un completo ritiro israeliano sulle linee del ‘67 e la creazione di uno stato palestinese con Gerusalemme come capitale, oltre al cosiddetto “diritto al ritorno”. Anche se questa risoluzione non riflette necessariamente la vera posizione di tutti i partecipanti al summit, essa sicuramente dimostra ancora una volta che la dirigenza palestinese insiste con la sua strategia di non condurre reali negoziati di pace con Israele, preferendo invece appuntare tutte le speranze sul fatto che l’Onu e altri organismi internazionali producano convenienti dati di fatto, esonerando i palestinesi dalla necessità di accettare dei compromessi che pongano fine alle rivendicazioni e al conflitto. In altre parole, l’ovvia conclusione è che ciò che era vero in passato rimane vero anche oggi: Israele non ha di fronte un vero e autentico interlocutore palestinese per fare la pace.

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) accolto da re Abdullah di Giordania

Tra l’altro, sarebbe interessante sapere se i partecipanti al vertice arabo sono stati informati di un recente sondaggio del Jerusalem Center for Public Affairs dal quale risulta che la maggioranza del pubblico israeliano vede uno stato palestinese sulle linee del ‘67 come un’opzione inaccettabile soprattutto per ragioni di sicurezza. Un dato che non deve essere letto come il rifiuto in sé di una futura soluzione a due stati, se mutassero le circostanze. Il punto è che, alla luce della situazione attuale in Medio Oriente e della reiterata dimostrazione che i palestinesi intendono comunque tenere accesa l’ostilità verso Israele, la soluzione a due stati non gode del favore della maggioranza degli israeliani come invece avveniva fino a un recente passato. Al momento sembra che le parti tendano piuttosto a cercare di arrivare un qualche accomodamento provvisorio che comporterebbe, in quanto tale, un superamento dell’attuale status quo.

Gli osservatori più maliziosi, o forse solo realistici, potrebbero anche trarre un’altra conclusione dal vertice di Amman, e cioè che i leader dei paesi arabi sono semplicemente arrivati alla conclusione che le varie risoluzioni della Lega Araba non hanno alcun significato reale al di là dell’espressione di pubblica solidarietà per il popolo palestinese che i capi devono fare per ragioni interne, per poi tornare tutti a occuparsi dei loro veri interessi quando sul summit è calato il sipario. E questi interessi sono innanzitutto i loro rapporti con la nuova amministrazione americana e la necessità di arginare la minaccia iraniana.

(Da: Israel HaYom, 3.4.17)