Ma chi fa gli interessi degli arabi israeliani?

Tutto si può dire del parlamentare arabo israeliano Ahmed Tibi tranne che sia incoerente

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2731Tutto si può dire del parlamentare arabo israeliano Ahmed Tibi (Lista Araba Unita- Ta’al), tranne che sia incoerente o ambiguo. Il malanimo dell’on. Tibi verso lo Stato ebraico è incrollabile, almeno quanto la sua veemenza. Raramente questo ex consigliere di Yasser Arafat perde un’occasione per nuocere agli interessi dello Stato ebraico, per battersi contro Israele su tutti i fronti possibili.
Così, la scorsa settimana, si è avvalso di una visita senza precedenti di giornalisti palestinesi alla Knesset – organizzata dal Mideast Press Club, ospitata da Tzahi Hanegbi (Kadima) e alla quale ha parlato, fra gli altri, il presidente della Knesset Reuven Rivlin – per esortare l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OSCE) a non permettere l’ingresso di Israele. Approfittando del fatto che era presente una schiera di telecamere venute a riprendere l’evento – un raro caso di interazione fra giornalisti israeliani e palestinesi che si teneva eccezionalmente alla presenza di diversi autorevoli legislatori all’interno del parlamento – l’on. Tibi ha avanzato la sua perorazione ben sapendo che avrebbe avuto ampia eco. Questa volta che non ha invocato il vecchio boicottaggio della Lega Araba; ha invece sostenuto che l’OCSE dovrebbe bandire Israele finché I cittadini arabi israeliani non godranno di piena eguaglianza. Detto così sembra una posizione improntata ai più nobili sentimenti. Ma il concetto di eguaglianza potrebbe dipendere dal punto di vista di chi osserva, e può anche essere soggetta a travisamenti e distorsioni.
Per l’on. Tibi – uno che invoca apertamente lo smantellamento di Israele in quanto Stato nazionale del popolo ebraico e la sua sostituzione con uno Stato teoricamente “di tutti i cittadini” – nulla può essere definito eguaglianza finché non saranno stati eliminati tutti i simboli ebraici: la bandiera, l’inno nazionale, lo stemma dello Stato, la dichiarazione d’indipendenza. Il concetto di eguaglianza che ha l’on. Tibi non può essere soddisfatto finché non verrà tagliata l’immigrazione ebraica e non verrà attuato il “diritto al ritorno” (dei profughi palestinesi e loro discendenti) invadendo con milioni di arabi ostili quello che a quel punto sarà l’ex-Stato ebraico.
Come che sia, in base ad ogni misurabile criterio socio- economico bisogna riconoscere che i cittadini arabi d’Israele godono di uno standard di vita più alto e di libertà incomparabilmente maggiori di tutti i loro fratelli nel mondo arabo. Certo, un conflitto che dura da un secolo innalza e consolida barriere psicologiche. Le cose potrebbero essere incredibilmente migliori se cadessero i muri dell’ostilità e del sospetto, e se i vicini fossero soltanto vicini e non anche nemici. Ma c’è chi trae vantaggi dall’attizzare le fiamme.
Purtroppo la retorica incendiaria in seno al settore arabo israeliano paga molto bene in termini di profitti politici. In recenti sondaggi condotti dai tre maggiori quotidiani arabi d’Israele l’on. Tibi emerge vincente con ampio margine. La tragedia è che i politici arabo-israeliani come l’on. Tibi – che siede nel parlamento israeliano, ma si definisce arabo-palestinese e viene regolarmente incluso nelle delegazioni palestinesi all’estero – estremizzano il loro elettorato. Da parte sua la comunità araba fanatizzata vota per rappresentanti sempre più oltranzisti, che a loro volta trovano conveniente versare altra benzina sul fuoco. Si innesca così un circolo vizioso che inesorabilmente peggiora le prospettive per i cittadini arabi d’Israele. Questo attizzare lo scontro da parte dei politici arabi israeliani, anziché favorire la coesistenza e la conseguente rimozione di ciò che può essere considerato discriminatorio, non fa che alimentare odi e sventure. Il paradosso è che in questo modo essi arrecano gravi danni proprio alla popolazione che dicono di voler difendere tutelare.
Se l’on. Tibi si preoccupasse sinceramente del benessere del suo elettorato, chiederebbe all’OCSE di accogliere al più presto Israele a braccia aperte. In fondo, tutto ciò che migliora l’economia d’Israele inevitabilmente migliora anche la quota parte degli arabi israeliani. Viceversa, un’economia in difficoltà, con scarse risorse e poche opportunità di lavoro, non avvantaggia nessun israeliano, ebreo o arabo. Con il suo appello per l’esclusione di Israele, l’on. Tibi dimostra che il suo vero obiettivo non è il pacifico progresso economico. Denigrare Israele fa premio sulla cooperazione con Israele (anche a scapito degli interessi della componente araba della popolazione israeliana).
D’altra parte, la stessa biografia dell’on. Tib, smentisce certe sue recriminazioni. Lo Stato che egli tanto depreca non gli ha impedito di studiare medicina nella prestigiosa Scuola Medica dell’Università Ebraica di Gerusalemme, dove invece molti aspiranti candidati ebrei israeliani si vedono respinti (fra i quali, ad esempio, l’attuale vice ministro degli esteri Danny Ayalon, col quale l’on. Tibi si è duramente scontrato durante l’incontro della scorsa settimana alla Knesset). L’on. Tibi afferma che nessuno gli ha “fatto un favore”. “Ho superato gli esami – dice – e questo non ha nulla a che fare con l’eguaglianza”.
C’è l’ha invece, e sostanziale. L’eguaglianza esiste proprio là dove l’unica cosa che conta è il merito personale. Si ha ineguaglianza quando si viene squalificati a dispetto delle proprie qualità personali.
Semmai l’esperienza dell’on. Tibi mette in evidenza la sproporzionata liberalità israeliana. Da interno, egli venne allontanato dopo che aveva fatto a botte con l’agente di guardia del suo ospedale, dal quale sosteneva d’esser stato apostrofato con un termine razzista; ma poi venne reintegrato. Successivamente fu consigliere di Arafat durante tutta una serie di ondate terroristiche, e rappresentò i palestinesi nelle sessioni negoziali. Nel 2003 la Corte Suprema abrogò una decisione della Commissione Elettorale Centrale che escludeva la sua candidatura al parlamento israeliano.

(Da: Jerusalem Post, 23.10.10)

Nella foto in alto: Il parlamentare arabo israeliano Ahmed Tibi (a destra) e il ministro degli esteri palestinese Riad al-Malki durante un convegno di Fatah a Betlemme (Cisgiordania) lo scorso agosto.