Ma cosa aspetta la NATO?

La crisi libica offre l’occasione di ridisegnare la politica in MO, ridando credibilità e deterrenza all’occidente.

Di Giora Eiland

image_3075Gli eventi in corso in Libia stanno creando un’opportunità di intervento per Stati Uniti e occidente che potrebbe dare dei vantaggi. Stranamente, però, Washington ancora non sembra aver colto questo elemento.
Allo stato attuale le cose in Libia stanno in questo modo. Il leader Muammar Gheddafi si è rivelato al mondo, e alla sua stessa gente, come uno psicopatico pronto a qualunque sacrificio pur di non arrendersi in nessuna circostanza. I suoi fedelissimi fucilano i soldati che si rifiutano di sparare sui propri connazionali. Da questo punto di vista, il comportamento di Gheddafi ricorda niente meno che quello di Hitler nel 1945, quando era pronto a sacrificare la vita dei tedeschi fino all’ultimo di loro in una guerra senza alcuna speranza. La parte orientale della Libia è già controllata dai ribelli. Alcuni uomini di governo hanno già disertato e lo stesso hanno fatto alcune truppe.
Ma questa fragile situazione potrebbe persistere per diverse settimane, e questo è esattamente il pericolo da scongiurare. Nel corso di queste settimane verrebbero uccisi altri innocenti, si verificherebbe una grave penuria di medicinali e beni di prima necessità, e i pozzi petroliferi potrebbero risultare seriamente danneggiati. Oltre a tutto questo, ci sono parecchie forze che potrebbero farsi largo nel vuoto di potere: non stupisce che al-Qaeda abbia già proclamato il proprio sostegno alla rivoluzione anti-Gheddafi.
Stati Uniti e paesi europei non possono correre il rischio che la Libia cada alla fine in mani così pericolose, e questo per almeno per tre buone ragioni: la posizione della Libia vicina all’Europa, il suo petrolio, e la possibilità che possa disporre di armi chimiche.
A quanto pare, è dalla caduta dell’Unione Sovietica che la NATO non si trovava di fronte ad un obiettivo più appropriato e più giustificato di quello di garantire equilibrio e stabilità in Libia. D’altra parte, perché mai i paesi della NATO dovrebbero investire risorse così ingenti per mantenere una forza militare così grande e moderna se non è per affrontare questo genere di eventi?
La NATO ha la capacità di cambiare le cose in Libia in un tempo piuttosto breve. La prima cosa che si potrebbe fare subito è creare una “superiorità aerea” sulla Libia che impedisca a Gheddafi di usare la sua aviazione per attaccare civili o spostare truppe. Tale mossa comporterebbe rischi minimi (vedi la no-fly zone sull’Iraq del nord per più di dieci anni), e avrebbe il vantaggio di indicare rapidamente e con forza a tutti i soggetti in Libia da che parte stare. Non sarebbe poi troppo complicato inviare nel paese delle forze di terra. A differenza di tanti esempi del recente passato (Somalia, Afghanistan e Iran), questa volta non c’è da temere che tali truppe vengano percepite come forze d’occupazione straniere dal momento che è la stessa popolazione libica che invoca questo aiuto. Una risoluzione delle Nazioni Unite che richieda tale intervento d’aiuto militare sarebbe utile, ma non deve essere per forza una condizione necessaria. Come nella guerra dei Balcani (fine anni ’90), anche in questo caso i paesi della NATO possono decidere di operare per proprio contro. Non sembra che qualcuno possa impedire loro di farlo.
Questo atto avrebbe un valore che andrebbe molto ad di là dell’assistenza diretta nel rovesciare il regime di Gheddafi. Sarebbe fondamentale per conferire ad America ed occidente una capacità deterrente nella regione. Se Gheddafi dovesse continuare a governare la Libia anche solo per diverse settimane, mentre nel frattempo molti altri libici continuerebbero a morire, gli Stati Uniti avrebbero grossi problemi a far pervenire messaggi dissuasivi molto importanti a fronte degli altri regimi soggetti a processi di destabilizzazione (Giordania, Bahrain, forse la stessa Arabia Saudita). Altre forze che non si fanno scrupolo di entrare in azione, come l’Iran da una parte o al-Qaeda dall’altra, sarebbero ben felici di guadagnare influenza sui regini di ciascuno di questi paesi. Gli Stati Uniti non devono opporsi a movimenti di democratizzazione che fanno cadere dei leader che non sono mai stati eletti; ma devono comunque porsi il problema al dopo.
La posizione debole dell’America di fronte agli eventi in Iran un anno e mezzo fa, la passività che abbiamo visto finora rispetto alla Libia, i continui preparativi per ritirarsi dall’Iraq: tutto questo prepara il terreno per l’egemonia dell’Iran sul Medio Oriente. Per questo è difficile capire come mai la crisi libica, che offre una buona occasione per ridisegnare la politica americana, non venga opportunamente utilizzata.

(Da: YnetrNews, 1.3.11)

Nella foto in alto: Giora Eiland, autore di questo articolo