Ma quale J Street? Occorre una “A Street”

Troppa inutile agitazione attorno al nuovo gruppo della sinistra pacifista ebraica negli Stati Uniti

di David Suissa

image_2658Davvero non capisco tutta l’agitazione che si è creata nel mondo ebraico attorno a “J Street”. Alcuni ebrei sono convinti che questa nuova organizzazione (della sinistra pacifista ebraica americana) ponga una vera minaccia agli interessi di Israele; altri sono altrettanto convinti della necessità di questa nuova organizzazione che contrasti la storica AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) criticando la politica di Israele in nome della pace.
Ho ascoltato tutte le critiche mosse a J Street e concordo con molte di esse. Ma quello che ancora non riesco a capire è perché la gente si agiti tanto per un’organizzazione il cui messaggio è così obsoleto e stereotipato. Si ascoltino alcune delle sue asserzioni e mi si dica se non equivalgono a una tripla dose di Valium. Avreste mai immaginato, ad esempio, che J Street confida nelle soluzioni diplomatiche più che in quelle militari? E nella fine negoziata dei conflitti arabo-israeliano e israelo-palestinese? E poi –udite, udite – essi credono nella soluzione a due stati! Due stati che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza! Perché, dicono, porre fine al conflitto palestinese è nell’interesse di Israele, degli Stati Uniti, dei palestinesi e del Medio Oriente nel suo complesso. E per uscire dal seminato, J Street crede che sia realmente importante che il conflitto israelo-palestinese venga risolto: dico sul serio, non sto scherzando. E qual è la loro geniale trovata per farlo? “Un impegno diplomatico coerente e concertato da parte degli Stati Uniti”.
Ma, un momento: non l’abbiamo già sentita da qualche parte? Tipo una trentina di anni fa, e da allora puntualmente in occasione di ogni fallito meeting per la pace? Beh, sì. Ma J Street ha dato una bella verniciata di fresco al rudere. Hanno appreso l’arte di predicare cliché di una noia mortale come se avessero scoperto il Sacro Graal. Si guardi, ad esempio, al cliché secondo cui “l’impegno diplomatico coerente e concertato” – un vecchio eufemismo per dire: pressioni su Israele – eserciterebbe un impatto positivo sul processo di pace. Un buon esempio di questo impegno è stata la richiesta a Israele di congelare tutte le attività edilizie in tutti gli insediamenti: una politica che J Street ha attivamente promosso. E cosa ha prodotto, finora, questo impegno? Basti dire che, da quando gli Stati Uniti hanno avanzato questa richiesta sei mesi fa, i palestinesi vi si sono buttati sopra come un pit-bull su un osso succulento. C’è qualcuno che si ricorda che, in precedenza, i palestinesi si erano seduti al tavolo dei negoziati senza pretendere nessun congelamento delle attività edilizie negli insediamenti già esistenti? E che solo un anno fa Mahmoud Abbas (Abu Mazen) era profondamente immerso fino al collo nei negoziati con Israele? J Street è così sicuro di sé che continua a premere per questo congelamento anche dopo che è apparso chiaro che esso non ha fatto che allontanare ulteriormente le parti, e dopo che gli stessi Stati Uniti hanno ammorbidito la richiesta.
Il che non deve sorprendere, giacché i gruppi come J Street sono ancora fermi al vecchio paradigma secondo cui la chiave per arrivare alla pace sta tutta nel fatto che Israele faccia sempre più concessioni. Ma la storia ci racconta una cosa diversa. Se l’altra parte è stata avvelenata al punto da desiderare la nostra distruzione più di quanto non desideri la pace, fare concessioni unilaterali peggiora solo le cose, come si visto dopo il ritiro dalla striscia di Gaza. Ma ammettere questa sobria realtà devasterebbe il marketing e la raccolta fondi di J Street. Troppo difficile e scomodo. Richiederebbe lo sforzo di produrre un pensiero più originale. Molto meglio attenersi pavidamente a slogan come “per la pace e per Israele” e alla necessità di “un dibattito politico ampio e pubblico”.
Questa idea che ciò che mancherebbe in questo preciso momento in Medio Oriente sarebbe un “sano dibattito” fra ebrei americani è una fantasia narcisistica. Molti ebrei americani “pro-pace e pro-Israele”, incluso me stesso, hanno fatto il pieno di dibattiti quando hanno sostenuto le tante concessioni per la pace fatte da Israele nel corso degli anni. Ora che la società israeliana ha deciso di procedere più cautamente, il fatto che non critichiamo il governo israeliano non significa che ci accodiamo ciecamente: significa semplicemente che siamo d’accordo. E il motivo per cui non gridiamo ad alta voce per la pace non è perché non disponiamo di un gruppo come J Street che ci aiuti ad esprimerci, ma perché vorremmo tanto vedere – giusto per cambiare – qualcuno dall’altra parte che grida per l’avvento della pace.
Se si vuole il mio parere su quale sia la cosa di cui ha più bisogno, oggi, il Medio Oriente, ebbene non è una J Street, bensì una “A Street”. Vale a dire una organizzazione Araba che faccia ciò che nessuna organizzazione ebraica – di sinistra, di destra o di centro – potrebbe mai fare: mobilitare gli arabi moderati che vogliono la pace in nome della causa della coesistenza pacifica con lo stato del popolo ebraico. Se gli ebrei possono mobilitare i loro per la pace, perché mai non potrebbero farlo anche gli arabi? Perché mai gli ebrei dovrebbero avere l’esclusiva dell’autocritica e della pressione interna?
Si immagini quale trasformazione verrebbe impressa da un’organizzazione di alto profilo “pro-arabi e pro-pace” che facesse apertamente pressione sui leader palestinesi affinché demoliscano il sistema di indottrinamento all’odio anti-ebraico che opera nella società palestinese, un odio che si è fatto beffe di tutte le mosse verso la pace. Si immagini quale impatto sul processo di pace avrebbero 1.500 attivisti pacifisti palestinesi che si riunissero a Washington per una grande conferenza contro le campagne di odio?
Certo, suona come una pia illusione. Ma non più di quanto lo siano le obsolete illusioni partorite dal congresso di J Street.

(Da: JewishJournal.com, 5.11.09)

Nella foto in alto: David Suissa, autore di questo articolo