«Magari potessimo rimanere qui»

Feriti siriani curati in Israele: «Esitavamo a venire, ci hanno sempre detto che Israele è un nemico spietato»

La coppia di giovani siriani nell’ospedale israeliano di Poriah (Tiberiade)

Una giovane coppia di siriani è stata portata giovedì scorso dai soldati israeliani all’ospedale Poriah, vicino a Tiberiade, nel nord di Israele. I due, originari di un villaggio della zona di Daraa duramente colpita dai combattimenti della guerra civile siriana, sono arrivati in Israele con ferite d’arma da fuoco alle gambe. L’uomo ha 27 anni. Sua moglie ne ha 23 ed è ai primi mesi di gravidanza.

Le ferite che hanno riportato non li mettono in pericolo di vita, ma i due giovani sono recentemente passati attraverso una tragica serie di disgrazie. Pochi mesi fa la coppia ha perso una figlia di due sole settimane di vita. “A causa dei combattimenti e dell’assedio imposto a Daraa, il capoluogo della nostra zona – spiega la ragazza – non abbiamo avuto altra scelta che affrontare il parto in casa, ma le condizioni di salute della nostra bambina si sono deteriorate. A nulla sono servite tutte le nostre suppliche ai posti di blocco dell’esercito siriano perché ci lasciassero raggiungere l’ospedale. Siamo tornati a casa e lì nostra figlia è morta”. Otto giorni fa la coppia è stata colpita da un’altra tragedia. Il loro villaggio è stato attaccato. “Bombardamenti d’artiglieria, sparatorie con armi automatiche, e gli aerei che bombardavano dall’alto – racconta la donna – Una sera mio fratello è venuto a prendere noi, mia madre e altri due feriti e abbiamo cercato di fuggire dal villaggio. Mentre cercavano di allontanarci, l’esercito ci ha sparato addosso e mio fratello è stato ucciso davanti ai miei occhi. Siamo riusciti a malapena a rientrare nel villaggio e siamo stati assistiti in un ospedale da campo. Ma le ferite peggioravano. Finché mio cugino è riuscito a portarci al confine e siamo passati in Israele per farci curare”. Il fratello, 19 anni, militava con i ribelli che cercano di rovesciare il regime del presidente Bashar Assad. Attualmente i due giovani sono ricoverati insieme, nella stessa stanza. La donna patisce la lontananza dalla famiglia, ma aggiunge che non si aspettava un trattamento così amichevole da parte del “nemico”. “Siamo rimasti sorpresi dal trattamento e dalla calorosa assistenza medica che abbiamo ricevuto qui – dice – Avevamo esitato a venire in Israele perché ci hanno sempre insegnato a odiarlo. Ci hanno sempre detto che questo è uno spietato paese nemico, ma adesso abbiamo visto che la realtà è diversa. Le persone qui hanno una coscienza. Il nostro nemico è in Siria, non in Israele. Magari potessimo rimanere qui”. (Da: Israel HaYom, 19.1.14)

Il Rambam Medical Center di Haifa

Il Rambam Medical Center di Haifa

Una petizione è stata inoltrata nei giorni scorsi all’Alta Corte di Giustizia israeliana a nome di un’adolescente siriana, ricoverata presso il Rambam Medical Center di Haifa, che chiede di non essere rimandata al suo paese. Nel ricorso la ragazza afferma che, tornando nella sua terra natale, potrebbe rischiare la vita, e spiega d’aver già perduto diversi membri della sua famiglia nei combattimenti in cui anch’ella è rimasta ferita. La ragazza chiede di essere portata in un altro paese arabo in cui risiedono dei suoi parenti. Il ricorso, presentato dagli avvocati Tamir Blanc e Adi Lustigman dell’organizzazione “Medici per i Diritti Umani”, spiega che, come da prassi, degli ufficiali della Difesa israeliana si sono già presentanti all’ospedale chiedendo di riportare la 17enne in Siria, dove nel frattempo è stata rintracciata la sua famiglia, “al più presto” appena ripresasi dalle ferite: una procedura che, secondo i ricorrenti, non le lascia tuttavia il tempo di inoltrare regolare domanda di asilo o la richiesta di essere trasferita in un paese terzo, e questo “potrebbe mettere a repentaglio la sua vita”. Il ricorso all’Alta Corte afferma che la ragazza, rimasta ferita negli scontri in Siria che sono costati la vita a sua madre e a diversi membri della sua famiglia, teme per la propria vita e chiede di essere inviata in un altro paese dove vivono dei parenti che sono già stati informati del problema. (Da: YnetNews, 21.1.14)