È mai esistita una nazionalità palestinese?

L’odio per Israele non può supplire da solo alla mancanza di una consolidata identità nazionale

Da un articolo di Ofir Haivry

image_1751La crescente spaccatura politica e culturale fra gli arabi della striscia di Gaza e quelli che vivono in Giudea e Samaria (Cisgiordania) ha innescato un dibattito sull’eventualità di istituire due entità politiche distinte e sul futuro del nazionalismo palestinese in generale. Tuttavia dovremmo innanzitutto domandarci se sia mai veramente esistita una “nazione” palestinese.
In molti posti del mondo, confini arbitrariamente fissati dalle potenze coloniali definiscono nazioni che in pratica non esistono. Esiste forse una “nazione sudanese” o una “nazione irachena”? O non stiamo piuttosto parlando in questi casi di aggregati di tribù, gruppi e persino popoli diversi, con stili di vita e valori molto distanti fra loro, raggruppati a caso e che a causa di questo pagano ancora oggi un alto prezzo di sangue?
Anche i confini del Mandato Britannico sulla Palestina vennero fissati, esattamente come quelli dei suoi vicini, sulla base di interessi coloniali. In molte zone il confine venne tracciato in modo casuale. Se fosse stato fissato in modo appena un poco diverso, forse che gli arabi di Marjayoun, nel Libano meridionale, sarebbero stati palestinesi? Forse che gli arabi di Tarshiha, in Galilea settentrionale, sarebbero stati libanesi? E gli arabi che vivono in Transgiordania, che inizialmente faceva parte del Mandato sulla Palestina per poi diventare, pochi anni dopo, regno di Giordania, sono palestinesi o giordani?
Nell’arco di meno di trent’anni di esistenza di quel Mandato dal quale i palestinesi traggono il loro nome, non si ebbe nessun segnale significativo di una originale identità nazionale unitaria. Il leader degli arabi del Mandato fu il mufti Haj Amin al-Husseini, che considerava se stesso un leader pan-arabo, impose il suo comando con la violenza e l’assassinio dei rivali e guidò un’alleanza variegata di clan, tribù e interessi locali uniti per lo più dall’odio verso gli ebrei e, in misura minore, verso i britannici.
Così, nei sanguinosi scontri del 1936-39 che apparentemente vedevano gli arabi battersi contro i britannici (e intanto, naturalmente, uccidevano quanti più ebrei possibile), di fatto vennero uccise più persone nelle violenze fra arabi che per mano degli inglesi.
Anche nel 1947-49 gli arabi combatterono contro la nascita dello stato degli ebrei in modo disgregato e divisi fra loro, ostacolandosi in vari luoghi come i monti di Gerusalemme, la Galilea, Giaffa e così via.
Dopo la fine del Mandato è ancora più difficile trovare un esempio di azione o percezione nazionale unitaria, a parte l’odio verso Israele. Sotto il regime egiziano nella striscia di Gaza e quello giordano in Giudea e Samaria (Cisgiordania) non vi furono né tentativi di sostanziale sviluppo culturale, né iniziative nazionali, né alcuna rivendicazione volta a istituire uno stato in quei territori. Il solo obiettivo che trovava sostegno e spingeva all’azione – tanto che a tale scopo vennero create Fatah e l’Olp – era l’istituzione di uno stato arabo al posto di Israele.
Dopo il 1967 l’unificazione di fatto, sotto amministrazione israeliana, creò l’illusione di un’identità nazionale unitaria. Ma le caratteristiche della leadership di Yasser Arafat non fecero che replicare quelle del mufti: autocrazia di un uomo solo, focalizzata sull’ostilità verso Israele e fondata su equilibri regionali e di clan unitamente a persecuzione e assassinio dei rivali.
La morte di Arafat e il ritiro di Israele dai centri abitati arabi (in Cisgiordania e striscia di Gaza) svelò come l’unificazione artefatta e l’ostilità verso Israele fossero a quanto pare le uniche caratteristiche comuni alla “nazione palestinese”.
Può darsi che, quando uno stato esiste entro confini artificiali per un lungo periodo di tempo, abbia senso preservarlo nonostante sia privo di una genuina identità nazionale. Ma la Palestina Mandataria è durata solo trent’anni e ha cessato di esistere sessant’anni fa: l’odio verso Israele da solo non è in grado di supplire alla mancanza di una consolidata identità nazionale.
Questo dato di fatto dovrebbe indurci a porci nuove domande circa la vera essenza del conflitto, i modi per affrontarlo e i possibili obiettivi.

(Da: YnetNews, 29.06.07)

Nella foto in alto: L’autore di questo articolo, Ofir Haivry, del Shalem Center’s Institute for Philosophy, Politics, and Religion di Gerusalemme