Mai più (e mai più soli)

La storia insegna quanto è difficile e precaria una politica di alleanze a tutela del popolo ebraico.

Editoriale di Ha'aretz

image_3705Sono passati ottant’anni da quando il partito nazista guidato da Adolf Hitler salì al potere in Germania. Quattro generazioni hanno vissuto la Shoà e la nascita dello Stato d’Israele, e poi le guerre e le crisi che Israele ha dovuto attraversare nei suoi sessantacinque anni di indipendenza.
L’esperienza che abbiamo accumulato dovrebbe insegnarci una lezione che è il contrario della profezia “una nazione che dimora da sola e non è annoverata fra le nazioni”: per preservare la nostra esistenza nazionale non c’è alternativa a una politica di alleanze internazionali con i paesi nella nostra regione e con le potenze globali. In un mondo instabile, la saggezza nell’arte di governare consiste nell’individuare in tempo i cambiamenti e adoperarsi per acquisire supporto.
Purtroppo, come applicare nella pratica questa lezione è cosa tutt’altro che scontata. Persino quando la Germania di Hitler rappresentava il peggiore nemico del popolo ebraico, vi fu qualcuno fra gli ebrei nella Palestina pre-indipendenza che si illuse di poter fare delle aperture verso di essa nel tentativo di indebolire la potenza britannica, che allora controllava la Terra d’Israele.
Altri, che vedevano nell’Unione Sovietica la guida della rivoluzione mondiale, trascurarono il pregnante significato del patto Molotov-Ribbentrop (di fatto, un patto fra Stalin e Hitler) che aveva dato al Terzo Reich mano libera in Europa portando alla sconfitta della Francia e quasi anche a quella dell’Inghilterra. Soltanto dopo che Hitler si volse contro Stalin, i sovietici finirono con lo schierarsi dalla parte giusta nella seconda guerra mondiale. Dopodiché contribuirono alla nascita dello stato di Israele, salvo poi decidere poco dopo di sostenere e armare i suoi nemici e accelerare l’escalation delle tensioni.
Il governo degli Stati Uniti restò a lungo apatico davanti alle notizie che giungevano sulla carneficina degli ebrei in Europa, ma la sua entrata in campo quando Germania e Giappone gli dichiararono guerra è stata alla fine decisiva per le sorti del conflitto. La tormentata coscienza della società americana e della sua leadership giocò poi un ruolo significativo per l’approvazione da parte di Washington della nascita dello Stato d’Israele e, successivamente, per il suo sostegno diplomatico, economico e di sicurezza allo stato ebraico.
Altri esempi di quanto sia difficile, per la diplomazia israeliana, applicare la lezione sulle necessarie alleanze sono i completi ribaltamenti nei rapporti con la Francia, con la Turchia e soprattutto, in senso opposto, con la Germania.
Ma il titolo a tutta pagina è stato offerto il mese scorso dal presidente americano Barack Obama quando, qui a Gerusalemme, ha dichiarato che gli israeliani, o forse gli ebrei, “non sono soli”. Impedire un’altra Shoà, infatti, è l’obiettivo supremo del Governo e delle Forze di Difesa israeliane, ma per conseguirlo sono necessarie politiche sobrie e misurate capaci di impedire che Israele resti pericolosamente isolato.

(Da. Ha’aretz, 8.4.13)

Nella foto in alto: Il Memoriale della Shoà a Berlino