Messaggio da Israele: prima evitare che l’Egitto vada a pezzi, poi pensare alla sua democrazia

Fonte governativa israeliana: l’esercito è l’unico fattore in grado di evitare che l’Egitto faccia la fine della Siria

Di Herb Keinon, Yoav Limor

Soldati egiziani al Cairo

Soldati egiziani al Cairo

Il messaggio di Israele a Washington e alle più importanti capitali europee per quanto riguarda l’Egitto è che la questione chiave in questo momento è semplicemente quella di evitare che il paese cada a pezzi. “La partita in questo momento non è la democrazia – ha detto domenica al Jerusalem Post un’alta fonte governativa israeliana parlando della posizione di Gerusalemme circa le turbolenze in Egitto – La partita in questo momento è che ci deve essere uno stato funzionante. Dopo aver messo di nuovo l’Egitto in carreggiata, allora si parlerà di riavviare il processo democratico”.

Spiega il funzionario che, nella realtà attuale, l’unico soggetto in grado di affermare la propria autorità in Egitto senza farlo precipitare nel caos sono i militari. “Se si abbandona questo soggetto, l’Egitto farà la fine della Siria o della Libia. Piaccia o non piaccia, nessun altro può governare il paese in questo momento”.

Secondo la fonte, Gerusalemme sta comunicando questo messaggio ai governi che sono interessati a conoscere la valutazione di Israele: un paese che, a differenza degli Stati Uniti e dei paesi europei, si trova a ridosso dell’Egitto e subirà direttamente le conseguenze degli sviluppi che vi avranno luogo. Un conto è stare seduti a Washington o a Bruxelles e fare valutazioni “a freddo”; tutt’altro è trovarsi sul confine con l’Egitto e affrontare la prospettiva di un paese vicino e di fondamentale importanza che precipita nell’anarchia.

Il funzionario israeliano riconosce che la situazione in Egitto è “davvero brutta” e che a Israele “non piace affatto” quello che sta accadendo, ma aggiunge: “Si può sgridare il generale al-Sisi quanto si vuole, ma alla fine occorre un governo funzionale che diriga il paese”. Altrimenti, dice, l’Egitto rischia di cadere in una situazione di anarchia che verrebbe sfruttata da forze jihadiste sia locali che globali.

Il messaggio di Israele è che il mondo deve guardare in faccia la situazione egiziana così com’è, e non pensare a quel che si sarebbe potuto fare diversamente. “Questa è la situazione in cui ci troviamo ora, non ci troviamo da qualche altra parte nel mondo dei sogni o delle illusioni. E ci troviamo in una brutta situazione. Si può sostenere che due mesi fa si sarebbe potuto fare questo o quello, ma ora bisogna pensare a come uscirne. E se non lo si fa, le cose non faranno che peggiorare”.

Dice il funzionario israeliano che l’esercito egiziano va sostenuto per aiutare il paese a rimettersi in carreggiata. Alla domanda su cosa intenda esattamente per sostenere i militari, risponde: “Non sottrargli le cose, non danneggiarli, non minacciarli”. Allo stesso tempo, aggiunge, bisogna affermare che ci si aspetta una riduzione significativa delle violenze. Senza dimenticare, tuttavia, che sono stati uccise “decine” di soldati e poliziotti egiziani nella scorsa settimana. (Da: Jerusalem Post, 18.8.13)

 

Poliziotti egiziani trucidati lunedì nel Sinai settentrionale

Poliziotti egiziani trucidati lunedì nel Sinai settentrionale

Scrive Yoav Limor, su Israel HaYom: «Per la seconda volta in un anno, l’islamismo estremista ha ricordato agli egiziani e al resto del mondo la differenza tra il male necessario e il male genuino allo stato puro. Mentre i rappresentanti delle capitali occidentali condannavano il governo egiziano sostenuto dai militari per l’uso della forza nel disperdere le violente proteste al Cairo, elementi islamici estremisti davano un’ulteriore dimostrazione del loro grado di immoralità, mettendo bene in evidenza i pericoli che comporta l’alternativa che rischia di emergere dal caos dilagante nelle strade d’Egitto. La strage a sangue freddo di 25 poliziotti fuori servizio vicino a Rafah (e alla striscia di Gaza) – uno spettacolo che ci si aspetterebbe di vedere per le strade di Baghdad o nei vicoli di Damasco – ha indicato ancora una volta al mondo che una rete terroristica violenta e spietata si è installata nella penisola del Sinai e considera legittimo qualsiasi obiettivo. Anche se non vi è un collegamento operativo diretto tra l’allarme terrorismo che ha indotto gli Stati Uniti nelle ultime settimane a chiudere le ambasciate nella regione, il razzo Grad intercettato da Israele sopra Eilat la scorsa settimana e il massacro di poliziotti lunedì nel Sinai, tutti questi incidenti condividono un chiaro collegamento ideologico: israeliani, egiziani e stranieri sono tutti bersagli buoni per il terrorismo islamista». (Da: Israel HaYom, 20.8.13)