Ministro della difesa Ya’alon: «Perché i palestinesi insistono a volere un territorio senza ebrei?»

Intanto trapelano indiscrezioni sull’accordo-quadro che gli americani stanno elaborando

Il ministro della difesa israeliano Moshe Ya'alon alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza

Il ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza

Il conflitto israelo-palestinese non verte sulla questione territoriale, ma sul rifiuto da parte palestinese di accettare Israele come stato nazionale del popolo ebraico e di dichiarare la fine del conflitto e di ogni ulteriore rivendicazione se e quando si arrivasse a un ritiro concordato dalla Cisgiordania. Lo ha detto il ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon intervenendo domenica alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza.

“Il cuore del conflitto – ha spiegato Ya’alon – non è il territorio che è stato preso o liberato o occupato nel 1967. Il conflitto iniziò molto prima, sin dagli albori del sionismo, e purtroppo non vedo sul versante palestinese una dirigenza che sia disposta a dichiarare che, se arrivassimo a un compromesso sul territorio, ciò rappresenterebbe la fine di ogni ulteriore rivendicazione”.

Tutta le mappe della propaganda nazionalista palestinese indicano come obiettivo la cancellazione di Israele dalla carta geografica

Tutta le mappe della propaganda nazionalista palestinese indicano come obiettivo la cancellazione di Israele dalla carta geografica

Ya’alon ha affermato d’essere favorevole ai negoziati con i palestinesi, anche se non è disposto a discutere di un ritiro israeliano nemmeno “da un centimetro” della Cisgiordania fino a quando il governo di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) non sarà disposto a riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico. “Sostengo i negoziati – ha detto – e sostengo ogni impegno politico, ma dobbiamo dirci la verità senza farci illusioni né ingannare noi stessi per quanto riguarda le intenzioni di Abu Mazen. Sarà pronto, prima o poi, a riconoscere il nostro diritto ad esistere come stato nazionale del popolo ebraico? Abbiamo già ricevuto una risposta chiara: mai. Naturalmente – ha specificato Ya’alon – mi auguro che si possa raggiungere un accordo con i palestinesi. Ma se ciò non sarà possibile, sopravvivremo lo stesso”.

Il ministro della difesa ha anche respinto l’idea che le attività edilizie israeliane negli insediamenti al di là della ex linea armistiziale rappresentino un indizio che il governo di Gerusalemme non sarebbe sincero nel negoziare un accordo con i palestinesi. “Gli insediamenti non sono l’ostacolo alla pace – ha detto Ya’alon – Gli insediamenti costituiscono oggi meno del 5% del territorio nell’arena palestinese. Abbiamo arabi che vivono con noi in Israele fianco a fianco in Galilea, a Jaffa, ad Acri e nessuno si sogna di negare loro questo diritto. Se dobbiamo fare la pace, perché la dirigenza palestinese insiste a volere un territorio senza ebrei? Se dobbiamo vivere insieme, possiamo beneficiare gli uni dagli altri”. (Da: Jerusalem Post, YnetNews, 2.2.14)

 

Il Negev

Porzioni di Negev in cambio dei blocchi di insediamenti, vero riconoscimento reciproco, indennizzi per profughi arabi ed ebrei. Il piano delle Nazioni Unite del 1947 per la spartizione della Palestina Mandataria in due stati per i “due popoli palestinesi”, quello “ebraico” e quello “arabo” (così recita testualmente la risoluzione 181) destinava allo “stato ebraico”, oltre alla costa mediterranea e alla valle di Jezreel nel nord, anche il Negev meridionale: un’ampia zona arida in gran parte disabitata che divenne il 60% del territorio di Israele. Israele, infatti, a differenza dello “stato arabo” previsto dalla risoluzione (e la cui nascita fu impedita dall’attacco militare dei paesi circostanti), avrebbe dovuto accogliere centinaia di migliaia di immigrati. Oggi, quasi settant’anni dopo, nel tentativo di garantire il successo dei colloqui di pace, l’amministrazione americana avrebbe deciso di far tornare indietro l’orologio e mettere nuovamente il Negev sul tavolo delle trattative: questa volta, però, viene offerto ai palestinesi.

Secondo questo piano, i profughi (e discendenti di profughi) palestinesi potrebbero insediarsi in alcune aree del Negev governate dall’Autorità Palestinese, nel quadro di uno scambio concordato di territori. Secondo l’inviato di pace statunitense in Medio Oriente Martin Indyk, grazie allo scambio di territori si potrebbe lasciare nelle loro case circa il 75-85% dei coloni ebrei che oggi vivono in Cisgiordania. In cambio Israele cederebbe appunto dei territori in gran parte ritagliati dal Negev (come si sa, l’ipotesi che Israele ceda invece al futuro stato palestinese città e villaggi abitati da arabi israeliani, che pure amano definirsi “palestinesi”, incontra una fortissima opposizione da parte degli stessi interessati).

L’accordo-quadro dovrebbe essere presentato dagli americani nelle prossime settimane e, stando a varie indiscrezioni, comprenderà anche il riconoscimento di Israele come “stato nazionale del popolo ebraico e della Palestina come stato nazionale del popolo palestinese”.

Il Segretario di stato Usa John Kerry e l’inviato in Medio Oriente Martin Indyk

Il Segretario di stato Usa John Kerry e l’inviato in Medio Oriente Martin Indyk

L’accordo prevedrebbe inoltre accordi sulla sicurezza tali da creare una zona-cuscinetto tra la Giordania e la Cisgiordania con barriere difensive, sensori e veicoli tele-pilotati finanziati dagli Stati Uniti nel quadro dei loro aiuti a sostegno del rispetto dell’accordo di pace.

I colloqui si starebbero poi occupando di indennizzi per i profughi palestinesi del 1948, ma per la prima volta verrebbero previsti anche risarcimenti per gli ebrei che furono costretti ad abbandonare case e beni nei paesi arabi, negli anni della nascita dello stato di Israele. Isaac Herzog, leader laburista e capo dell’opposizione in Israele, la cui madre fu cacciata dall’Egitto perdendo tutti ciò che aveva, ha detto che già da molto tempo si sarebbe dovuta sollevare la questione di questi indennizzi. “E’ triste – ha detto – che le storie [degli ebrei cacciati dai paesi arabi] non siano note al resto del mondo ed è bene che vengano finalmente raccontate”.

Fonti governative a Gerusalemme giudicano positivamente il concetto di scambio di territori, aggiungendo che ciò potrebbe anche contribuire a contenere le richieste di risarcimento da parte di profughi o discendenti di profughi palestinesi.

L’accordo-quadro dovrebbe infine contenere un articolo che preveda la cessazione delle campagne palestinesi di indottrinamento e istigazione all’odio contro Israele e l’avvio di programmi educativi per i giovani palestinesi orientati alla convivenza e alla pace.

Altre questioni estremamente delicate, come quella di Gerusalemme, verrebbero lasciate nel vago, in questo accordo-quadro, in attesa dell’accordo definitivo vero e proprio. (Da: YnetNews, israele.net, 2.2.14)