Minorenni palestinesi arrestati: i dati che i mass-media non riportano

Intanto un ex-detenuto racconta alla tv dell’Autorità Palestinese la "terribile" giornata-tipo nel carcere israeliano

Un giovane palestinese lancia una bomba molotov

In un’intervista esclusiva, il procuratore capo delle Forze di Difesa israeliane in Cisgiordania, Maurice Hirsch, ha fornito al Jerusalem Post statistiche ufficiali che smentiscono la generica accusa di massicce violazioni dei diritti dei minorenni palestinesi da parte dei militari israeliani.

Uno dei dati più notevoli che emerge dalle statistiche di Hirsch è che nel 2013 i pubblici ministeri militari hanno archiviato di propria iniziativa circa il 15% dei casi di minorenni palestinesi arrestati con l’accusa d’aver commesso un crimine, vale a dire circa 100 su 660. I dati di Hirsch dunque smentiscono l’accusa spesso ripetuta secondo cui le Forze di Difesa israeliane procederebbero con arresti massicci e indiscriminati, addirittura fino a 200 al mese (che significherebbe la cifra totalmente infondata di 2.400 all’anno), e che i pubblici ministeri militari procederebbero contro i minorenni come schiacciasassi senza valutare minimamente le circostanze di ogni singolo caso. È vero il contrario, afferma Hirsch, il che spiega il numero molto contenuto di reclami inoltrati per conto di minorenni arrestati: solo 30 su 1.000. Dati che contrastano con l’immagine delle Forze di Difesa israeliane diffusa da molti accusatori, basata unicamente su elementi aneddotici, secondo cui un grandissimo numero di minorenni palestinesi avanzerebbe ricorsi contro le inchieste dei pubblici ministeri israeliani.

Hirsch dice d’aver recentemente consegnato i suoi dati ad altri mass-media, ma di non essere sicuro che siano stati effettivamente pubblicati. Da una rapida ricerca fatta dal Jerusalem Post non sono emersi casi di mass-media che abbiano finora ripreso queste statistiche. Dalle quali emerge che su 1.000 minorenni palestinesi arrestati dai militari nel 2013, 350 sono stati direttamente consegnati alla polizia palestinese e 650 alle forze di polizia e di sicurezza israeliane. Di questi ultimi, 466 sono stati incriminati mentre per gli altri il caso è stato archiviato o le indagini sono ancora in corso. Stando a queste cifre, meno della metà dei minorenni palestinesi fermati nel 2013 sono stati incriminati (ma il dato potrebbe salire sin quasi a metà, a seconda degli esiti delle indagini ancora in corso).

Eden Atias, recluta di 19 anni, ucciso a coltellate lo scorso novembre da un 16enne palestinese, mentre era assopito su un autobus in sosta ad Afula

La recluta Eden Atias, 19 anni, ucciso a coltellate lo scorso novembre da un 16enne palestinese, mentre era assopito su un autobus in sosta ad Afula

A proposito dell’accusa a Israele di accanirsi in particolare contro ragazzini giovanissimi, dai dati forniti da Hirsch risultano solo 16 rinvii a giudizio di 12-13enni fermati in flagranza di reato (fra i quali il caso di un ragazzino incriminato in tre diverse occasioni avendo “reiterato reati più gravi”). Hirsch sottolinea che l’82% dei casi che hanno visto il coinvolgimento di minorenni nel 2013 riguardava reati di “natura violenta” e che purtroppo “un gran numero di minorenni è coinvolto in incidenti di vero e proprio terrorismo”. Alla richiesta di specificare, Hirsch spiega che quell’82% di reati violenti va da crimini come l’assassinio lo scorso novembre di Eden Atias ad opera di un 16enne, ai numerosi casi di tentato omicidio, sparatorie, possesso di armi illegali e affiliazione a organizzazioni terroristiche, fino al lancio di bombe molotov e di pietre contro veicoli civili in transito.

Hirsch sottolinea inoltre i tempi di “fermo cautelare” per minorenni attualmente in vigore nei territori della Cisgiordania affidati alle Forze di Difesa israeliane: al massimo fino a 24 ore per i 12-13enni, fino a 48 ore per i 14-15enni e per i 16-17enni accusati di reati ordinari, fino a un massino di 96 ore per i 16-17enni accusati di gravi reati contro la sicurezza: tempi paragonabili a quelli previsti dalla legge per i minorenni all’interno di Israele.

Lo scorso ottobre, il Procuratore di Stato ha registrato progressi anche nella riduzione dei tempi della successiva fase di udienze pre-incriminazione per il rinnovo della “custodia cautelare” per i minorenni dei territori di Cisgiordania, che però, nel caso dei 16-18enni, non sono ancora paragonabili ai tribunali civili israeliani, anche se la tendenza è di muoversi in quella direzione. (Da: Jerusalem Post, 19.2.14)

 

L’ex detenuto palestinese: «Si chiacchierava, si parlava, si mangiava, si beveva, si scherzava»

Nel quadro della sua costante opera di glorificazione degli “eroi” terroristi, la televisione ufficiale dell’Autorità Palestinese intervista spesso i detenuti palestinesi scarcerati da Israele chiedendo loro di raccontare le crudeli condizioni patite nelle carceri israeliane. Questi i brani salienti dell’intervista rilasciata da uno di loro, trasmessa dalla tv dell’Autorità Palestinese il 4 maggio 2013 e diffusa con sottotitoli in inglese da PMW Bulletin, 4.12.13. Di seguito, la traduzione in italiano.

Detenuto scarcerato Muhammad Hilal: «La cosa peggiore della prigione israeliana è il tragitto tormentoso dentro “la Posta” [mezzo di trasporto], quando uno viene portato in tribunale o in ospedale o in un altro tragitto fuori dal carcere. Noi prigionieri lo chiamiamo “il tragitto del tormento”, e non “la Posta” o “il tragitto”. Va al di là di ogni immaginazione. Per quanto io ne parli, è difficile dare un’idea della sofferenza: i prigionieri siedono su una sedia di metallo, fatta interamente di metallo, dentro non c’è altro che metallo».

Intervistatrice: «Descrivi una giornata della vostra vita in carcere. Ci hai passato dieci anni».

Muhammad Hilal: «Al mattino facevamo ginnastica dalle 7.00 alle 8.00. Poi i ragazzi si riunivano nel cortile della prigione e si chiacchierava, si parlava, si mangiava, si beveva, si scherzava, si giocava eccetera per tutto il giorno. A mezzogiorno i ragazzi andavano nelle loro stanze per l’appello. L’appello di mezzogiorno è dalle 11.00 alle 13.30. L’ora dell’appello è tempo per riposare nelle stanze. Ogni gruppo ha una routine all’interno delle stanze. Tempo per la siesta, tempo per la lettura, tempo per lo studio. Alcuni dormono, alcuni leggono. Alle 13.30 o alle 12.30 ci portavano di nuovo nel cortile dove passavamo [del tempo] con i ragazzi camminando, ridendo, giocando, scherzando eccetera, fino a sera. Poi si tornava nelle stanze. Ci chiudevano dentro fino alle 6:00, ora dell’appello».